martedì 28 dicembre 2010

Recensione: Giustizia - il nostro bene comune

“Giustizia – Il nostro bene comune”, titolo originale “Justice – What’s the right thing to do?”, di Michael Sandel, edizioni Feltrinelli, ISBN 978-88-07-10454-1. Il saggio, bellissimo ed attuale cerca di spiegare il significato della parola “giustizia” in termini sociali e morali. Che cosa deve intendersi per “Società giusta”? Che cosa significa agire “giustamente” o meglio, “fare la cosa giusta”? Si chiede l’autore? Il tema, piuttosto impegnativo a ben vedere, viene sviluppato progressivamente in maniera non noiosa, partendo da aneddoti ed esempi, per poi svelare una trama lucida ed organica. L’autore, ben sapendo di non poter fornire una spiegazione univoca e definitiva di queste categorie del pensiero per altro, da sempre dibattute e sviluppate nell’ambito delle scienze sociali e dalla filosofia, perviene infine ad una sua definizione; non prima però di aver fornito una descrizione di come alcune delle principali correnti filosofiche del pensiero occidentale abbiano affrontato il tema cercando di fornire giustificazioni e risposte.
Toccando argomenti di forte attualità quali quello della solidarietà, del welfare, della distribuzione dei redditi, del sistema fiscale, del servizio militare; temi più sensibili quale quello delle libertà di pensiero, del diritto al dissenso, del rispetto delle minoranze; nonché aspetti ancora più personali, afferenti la sfera sessuale e religiosa dei gruppi e degli individui, ci si spinge fino ad analizzare le ragioni etiche dalle quali nasce il dibattito relativo alla legittimità di alcuni diritti individuali “estremi” quali quelli relativi alla vita ed alla morte propria o altrui, come ad esempio nel caso dell’aborto e dell’eutanasia. Nel frattempo il saggio si dipana esponendo la tesi del pensiero utilitaristico di Bentham e di Stuart Mill, passando attraverso le idee dei cosiddetti “liberisti”, per poi esporre il punto di vista Kant, di Aristotele fino ai contribuiti più moderni, quali ad esempio quello del filosofo americano John Rawls e di Alasdair MacIntyre, dal quale l’autore, con un vero e proprio “colpo di teatro” trae la nozione di “esseri narranti” che applica ai singoli individui; poetica e nel contempo efficace definizione che egli usa per giustificare il suo personale punto di vista su questi argomenti e che sembra improvvisamente accordarsi con le riflessioni e le istanze sviluppate nel corso di tutta l’opera. Il libro stimola il lettore a porsi domande molto profonde riguardo alla propria condizione di essere umano e di cittadino ed alla fine fornisce una risposta attiva e ottimistica circa il possibile ruolo di ognuno di noi nel contribuire a dibattere e sviluppare i temi della “politica” e della “giustizia” ovvero, parafrasando Aristotele, per vivere consapevolmente quella “vita buona”che sarebbe nostro dovere promuovere.

Recensione: l'odore dei soldi - origini e misteri

“L’odore dei soldi – origini e misteri”, di Elio Veltri e Marco Travaglio, Edizioni Editori Riuniti, ISBN 978-88-359-8008-7.
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Commento da IBS.it per “L’odore dei soldi – origini e misteri”
Questo libro illustra alcuni aspetti cruciali della storia di Silvio Berlusconi attraverso una scelta commentata di documenti. L'intervista che Paolo Borsellino rilasciò, due mesi prima di morire, a una TV francese sulle indagini della sua Procura sui rapporti tra Berlusconi, Marcello Dell'Utri e Vittorio Mangano. I rapporti stilati da un funzionario della Banca d'Italia e da un ufficiale della Dia, per conto della Procura antimafia di Palermo, su centinaia di miliardi di investimento al gruppo Fininvest. Gli interrogatori di Berlusconi e Dell'Utri al processo di Torino per le fatture false di Publitalia. E, per finire, la legge Tremonti, come "prova su strada" del conflitto di interessi.

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Si tratta di un libro famosissimo, uscito per la prima volta nel 2001 appena prima delle elezioni politiche e recentemente rivisto ed aggiornato dagli autori. Il libro si occupa principalmente di fare luce sulle origini e sulle fortune dell’attuale Primo Ministro Silvio Berlusconi. E’ bene ricordare che sono stati avviati procedimenti di cause civili sia nei confronti della casa editrice sia nei confronti degli autori da parte della persona di Silvio Berlusconi, Fedele Confalonieri per conto Mediaset, Aldo Bonomo per conto Fininvest, Giulio Tremonti per un totale di otto cause. Tutti i procedimenti si sono conclusi dinanzi alla I° sezione civile del Tribunale di Roma che ha dato torto agli attori e ragione ai convenuti (la casa editrice, gli autori e Daniele Fabbri, alias Daniele Luttazzi, per quanto sostenuto durante il programma televisivo “Satyricon”) condannando i primi al pagamento delle spese processuali. Gli attori (ad eccezione di Giulio Tremonti) hanno fatto ricorso. Secondo gli stessi autori: “….. particolarmente significative le due sentenze che danno torto a Silvio Berlusconi. Perché affermano entrambe che tutti i fatti raccontati nel libro e nel programma [sic “Satyricon”] sono, molto semplicemente veri.”.
Secondo me il libro è interessante, ben ricostruito e purtroppo, dato l’attento dosaggio delle parole e l’attenzione ai particolari messa dagli autori, anche piuttosto noioso!
Per quanto mi riguarda, sono stato particolarmente interessato alla ricostruzione di tutti i movimenti di denaro transitati sulle innumerevoli società fiduciarie ed holding riconducibili a Berlusconi, sui quali si è anche svolta una perizia da parte di personale incaricato dalla Banca d’Italia e dai quali risulta evidente la dubbia provenienza di tali ingentissime somme di denaro. Si tratta, infatti, di svariati miliardi di lire dell’epoca pervenuti per lo più in contanti o con assegni circolari! (in modo da renderne impossibile la tracciabilità).
A mio avviso, da una lettura indipendente e disincantata non può che scaturire una piena condanna morale di Silvio Berlusconi e di tutti i principali attori citati nell’opera, che appaiono non solo coinvolti in innumerevoli pratiche finanziarie e ragionieristiche scorrette o illecite, ma anche coscientemente e pienamente collusi con il potere mafioso.
Al fine quindi, la lettura del libro è altamente raccomandata a tutti coloro che vogliono provare, da destra o da sinistra, a risolvere l’empasse che attanaglia il panorama politico italiano. Il libro ha infatti una valenza “terapeutica” perché ricorda a quanti non si nascondono i fatti e le verità, che Berlusconi e la sua creatura politica Forza Italia (ora PDL) sono un’anomalia inaccettabile in un Paese democratico. Tale anomalia va rimossa in quanto completamente fuori dalle regole di un qualsiasi ordinamento democratico, ed in modo che il dibattito politico possa riprendere da una dialettica “normale”, ovvero basata su un minimo di contenuti etici condivisi da tutti i cittadini.

Recensione: Il Miracolo - L'epica ascesa dell'Asia alla conquista del benessere

"Il Miracolo - L'epica ascesa dell'Asia alla conquista del benessere", di Michael Schuman, editore Tropea, ISBN 978-88-588-0135-5, titolo originale “The Miracle”. L’autore cerca di fornire la motivazione dell’ascesa dell’Asia come centro dello sviluppo economico mondiale facendo una panoramica dei principali Paesi del continente. Viene dunque analizzata la situazione socioeconomica a partire dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale fino ai giorni d’oggi per Corea del sud, Giappone, Taiwan, Singapore, Indonesia, Cina (Hong Kong e Cina continentale), India, Malaysia e Thailandia; i risultati dell’analisi sono noti e sconcertanti: L’Asia è riuscita a trovare la via di uno sviluppo accelerato, robusto (superando non poche crisi valutarie e di riconversione) e diffuso in un contesto fortemente globalizzato ed anche tecnologicamente avanzato. Nella sua globalità, o anche solo per il tramite di alcuni grandi Paesi dell’area, l’Asia si pone come un primo attore sulle scene di un’economia vivace ed in ascesa e fornisce termini di paragone, alternative ed elementi di riflessione che mettono in discussione i modelli di sviluppo e di civiltà proposti dall’Occidente. Ma perché l’Asia? Si chiede l’autore, come si spiega che proprio lì e non in altri luoghi, abbia avuto origine quest’ affascinante rinascita? (perché per molti Paesi in fondo di questo si tratta!). L’autore non trascura ovviamente di riassumere tutti i fattori di sviluppo che già sono stati presi in considerazione da altri per spiegare questa straordinaria ascesa e che attengono alle variabili tipiche della cosiddetta “globalizzazione”, in altre parole: fattori geografici, storici, culturali, sociali ed economici; ma quello che da vera originalità all’opera è soprattutto la scelta di porre l’accento sui primi attori del “miracolo”, ovvero su quel manipolo di industriali, ma soprattutto di uomini politici che fortemente vollero avviare i loro rispettivi Paesi sulla via dello sviluppo. Il libro ci ricorda che, anche dietro fenomeni complicati, spesso difformi, dovuti a molteplici variabili e persino al “caso”, come la globalizzazione e lo sviluppo socioeconomico di una nazione, spesso si cela una causa prima, ovvero l’opera e la volontà di singole persone che perseguono con tenacia i propri obiettivi. Proprio la più o meno armonizzazione di queste scelte volitive con le esigenze di una certa società portano a situazioni di benessere oppure a stagnazione. L’Asia, contrariamente ad altri luoghi è riuscita a produrre non pochi leader, governanti e imprenditori che nonostante i difetti, le gravi colpe o le violazioni di alcuni (e forse della maggior parte!) di essi, hanno saputo coniugare la loro sete di potere, di fama e di ricchezza con il benessere del proprio Paese.

mercoledì 24 novembre 2010

Recensione: Imperi del mare

“Imperi del mare ”, di Roger Crowley, edizioni Bruno Mondadori. L’autore descrive la lotta avvenuta nel corso del 1500 fra l’impero turco ed i suoi alleati contrapposti alle potenze cristiane per il dominio del mare Mediterraneo. Simbolicamente i fatti partono dall’assedio dell’isola di Rodi del 1522, roccaforte dei cavalieri di S. Giovanni e si concludono con la disfatta della flotta ottomana a Lepanto, al largo delle isole Curzolari, nella giornata del 7 ottobre 1571. Nel corso dell’opera vengono comunque passati in rassegna tutti i fatti salienti della strenua lotta che oppose i due gruppi di contendenti. Vengono quindi descritti nei dettagli l’eroica e vittoriosa resistenza degli Ospitalieri durante l’assedio di Malta, il disastro di Djerba, la presa di Tunisi, l’assedio di Famagosta e la conquista di Cipro, e molti altri fatti e personaggi più o meno importanti che caratterizzarono questo straordinario periodo di guerra corsara e di lotta sui mari e che tanto ha influito sulla società, la coscienza e sul folklore dei popoli del mediterraneo (si pensi anche solo all’istintivo sospetto che ancora ispira “il turco” nelle popolazioni rivierasche). Bellissimo il libro nell’insieme, ed educativa la morale finale; entrambi i contendenti uscirono dalla lotta stremati e sostanzialmente in una posizione di stallo, mentre l’oro e l’argento americani cominciavano a fare sentire i loro effetti sull’economia globale spostando il potere economico dal bacino del Mediterraneo al nord Europa, il nostro mare perse la sua centralità, la galea, incontrastata dominatrice fino ad allora, perse il suo primato di fronte ad altri legni capaci di solcare i mari oceanici e, a partire dal secolo successivo, sarebbero stati altri Imperi a dominare il mare.

lunedì 15 novembre 2010

Recensione: Collasso - come le società scelgono di morire o vivere

“Collasso – come le società scelgono di morire o vivere”, di Jared Diamond, edizioni Einaudi, ISBN 978-88-06-18642-5. Il libro è dello stesso autore di “Armi, acciaio e malattie” e ne costituisce in un certo senso il complemento; mentre, infatti, il primo parla delle ragioni che favoriscono lo sviluppo della civiltà, “Collasso” indaga sulle ragioni che possono metterla in crisi. Le ragioni delle crisi sono ovviamente complesse, ma in estrema sintesi dipendono da un intreccio di cause delle quali solo una minima parte risultano non controllabili. Il libro quindi cerca di dimostrare, e secondo me lo fa in maniera convincente, come il successo o l’insuccesso di molte delle nostre società sia strettamente correlato alla relativa capacità non solo di conformarsi all’ambiente, ma soprattutto di saperlo gestire e conservare nel corso del tempo. Il chiaro messaggio dell’autore è che questa capacità di garantire la sostenibilità da sempre dipende dalla presa di coscienza sia dei singoli individui, ma soprattutto delle elite dominanti, riguardo alla necessità di gestione e dalla comprensione dell’evoluzione delle proprie problematiche “ambientali”. Il termine non si riferisce solo alla capacità di mantenere e di non compromettere la produttività di un certo territorio in un arco temporale di lungo periodo e rispetto ad una popolazione potenzialmente in crescita, ma tiene anche conto delle opportunità e dei pericoli derivanti dall’instaurarsi di relazioni più o meno amichevoli con altre comunità umane con le quali si entra in contatto. Ecco quindi che attraverso lo studio dei successi e degli insuccessi di collettività aventi caratteristiche di partenza simili, ma esiti completamente diversi, si possano trarre utili insegnamenti sulle ragioni che hanno portato tali società al collasso oppure al raggiungimento di un equilibrio sostenibile. L’elenco dei successi e dei fallimenti è lungo, e gli esempi, in parte noti sono classificati in base ai presumibili diversi fattori che sono intervenuti a determinarne il successo o la caduta. L’autore si sofferma sull’analisi delle popolazioni polinesiane dell’isola di Pasqua, di Mangareva, di Pitcairn, delle isole Henderson e di Tikopia, delle comunità vichinghe dell’Islanda, delle Orcadi, e della Groenlandia, degli antichi Maya, degli Anasazi e degli Zuni dell’America Settentrionale, per passare ad illustrare casi più recenti, cercando di spiegare i successi giapponesi e neo-guineiani nel controllo del proprio territorio, il genocidio del Ruanda, la diversa evoluzione di Haiti e Santo Domingo ed illustrando alcuni fattori di criticità dell’ambiente australiano o della società cinese. Il messaggio centrale dell’autore è duplice, egli prevede l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo oramai per altro globalizzato, ma finisce con un messaggio di ottimismo; il genere umano ha le capacità di contrastare il progressivo deterioramento dell’ambiente e per sfuggire all’incubo malthusiano, purché si acquisisca consapevolezza, è si cominci a gestire attivamente il cambiamento verso un modello di sviluppo sostenibile, tramite scelte ponderate, illuminate e lungimiranti.

mercoledì 10 novembre 2010

Il cerchio si stringe

Mi sembra che Berlusconi sia sempre più in difficoltà, ieri, seppure su temi non fondamentali, il Governo è andato sotto tre volte grazie all'iniziativa di FLI e UDC che mandano così al "divino" di Arcore il loro avvertimento mafioso. Il cerchio si stringe intorno al leader! Adesso manca solo il chiaro segnale della Chiesa cattolica che inviti i fedeli al cambio di regime. Ovviamente saranno ...... Casini! Già infatti cominciano le indicazioni della CEI: "Attenti topolini! Mentre abbandonate la nave badate bene su quale nuovo bastimento vi imbarcherete! Quello giusto non è quello del laico Fini e nemmeno quello di Bossi (troppo instabile ed anche in odore di neo-paganesimo!), la nave giusta è quella di Casini (e di Rutelli)".
Che squallore! Ovviamente sono felicissimo di vedere all'orizzonte la giubilazione del nostro leader maximo, il modo però è sempre quello "de noi altri", ovvero quello dei filibustieri! Infatti il ribaltone non nasce da una genuina presa di consapevolezza dell'opinione pubblica, ma da una scelta strategica dei nostri "capibastone", in tipico stile Top-down!

giovedì 28 ottobre 2010

Recensione: Il medio oriente cristiano

"Il Medio Oriente cristiano", di Antonio Picasso, edizioni Cooper, ISBN 978-88-7394-166-8. Il libro parla della situazione in cui attualmente versa la cristianità negli stessi luoghi che ne hanno visto i natali. In Medio Oriente, da sempre il cristianesimo è diviso in innumerevoli chiese e sette cristallizzate intorno ai loro particolari distinguo dottrinali, ma mai come adesso i fedeli cristiani sono stati percentualmente così pochi rispetto alla popolazione locale, e il trend prevede per giunta un ulteriore calo. L’autore, attraverso un’attenta analisi svolta nei principali Paesi della regione: Israele, ANP, Striscia di Gaza, Libano, Giordania, Siria, Iraq ed Egitto, cerca di spiegare la situazione e il perché di questo regresso. Le cause principali sembrano soprattutto dovute alla eccessiva frammentazione e litigiosità delle varie Chiese, quasi sempre incapaci di gestire collegialmente e pacificamente gli spazi comuni nonché di affrontare insieme i problemi politici; alla diaspora costante verso Occidente, non solo causata dal clima di discriminazione ed instabilità politica e sociale che caratterizza i Paesi dell’area, ma anche paradossalmente favorita dal maggior tasso medio di scolarizzazione dei giovani di famiglia cristiana rispetto alla media. Vi sono poi da includere altri fattori sociali, quali ad esempio la differenza relativa del tasso di natalità fra cristiani e musulmani, la crescita della secolarizzazione e il progressivo disgregamento delle comunità cristiane dovute al fenomeno dei matrimoni misti. Vanno infine ricordati i non pochi errori politici e le ingerenze delle elite politiche e religiose (questo soprattutto nel caso del Libano) locali ed occidentali. In sintesi, in Medio Oriente, il cristianesimo sembra oggi avviato sul viale del tramonto, uno strano destino per una fede di duraturo successo, che però rischia l’estinzione proprio in quei luoghi dove ne è iniziata la predicazione.

lunedì 18 ottobre 2010

Recensiene: Palazzo Yacoubian

“Palazzo Yacoubian”, di ‘Ala Al-Aswani, edizioni Feltrinelli. La storia è incentrata sulle vicende di una serie di personaggi che vivono e lavorano in uno storico e lussuoso palazzo del Cairo costruito negli anni 30 e forse un po’ decaduto. L’autore, raccontando delle esperienze dei soggetti facenti parte di questo microcosmo e delle loro esistenze che spesso si intrecciano, cerca di portare alla luce alcune caratteristiche della società egiziana e delle sue intime contraddizioni. L’Egitto è quindi trattato dal punto di vista storico e sociale, attraverso il vissuto dei protagonisti del romanzo. Emerge il quadro di una società perennemente sospesa fra modernità e tradizione, retta da una democrazia di facciata, ma in sostanza dominata da una dittatura puntellata da lobbies politiche e religiose potenti e corrotte che tutto possono e che impediscono lo sviluppo sociale e il realizzarsi di ogni reale aspirazione e miglioramento dei singoli anche se meritevoli, i quali, finiscono magari per convogliare le proprie frustrazioni nell’estremismo politico e religioso. Attraverso i temi dell’omosessualità e della condizione femminile, sono svelate le contraddizioni fra moralità di facciata e vizi e inclinazioni private ed emergono i tipici temi di conflitto fra le aspirazioni individuali e il conformismo tipico delle società tradizionaliste e patriarcali. Il romanzo è gradevole e scorrevole, ma la conclusione lascia un po’ sorpresi, la mia impressione è che in un certo senso le vite di alcuni dei personaggi rimangano come sospese e che il lavoro dell’autore risulti parzialmente incompiuto.

mercoledì 13 ottobre 2010

Missione in Afghanistan fra impegno e disimpegno

L’Afghanistan continua a fare vittime nel contingente italiano e nel frattempo la situazione sembra ben lungi dallo stabilizzarsi; sarebbe quindi doveroso ripensare seriamente al ruolo e agli obiettivi del nostro corpo di spedizione. Nel farlo però sarebbe anche necessario rivedere un po’ tutto il processo che ha portato alla degenerazione della situazione afghana. Penso che si possa sostenere che tutto sia iniziato con l’invasione sovietica nell’ormai lontano 1979; in risposta a questa mossa dell’allora URSS l’amministrazione americana infine decise un massiccio piano di aiuti militari ai ribelli avvalendosi della collaborazione dei servizi segreti pakistani, appoggiandosi pertanto ad un Paese lungamente governato da un succedersi di dittature militari fortemente orientate anch’esse al fondamentalismo islamico, impegnate in un vasto programma di destabilizzazione dell’area e costantemente coinvolte in un cruento confronto con la vicina India finalizzato al controllo del Kashmir. L’influenza dell’ISI (i servizi segreti pakistani), il ricorso ai finanziamenti Sauditi che implicavano però come contropartita una crescente penetrazione delle dottrine fondamentaliste orientate al Wahabismo e l’acquiescenza e gli errori di valutazione della CIA, permisero il radicamento dell’estremismo di matrice religiosa in un area dove tutto sommato questo fenomeno era storicamente non molto rilevante. Tutto ciò, non solo presso i ribelli e la popolazione afghana, ma in tutta l’area circostante e proprio nel momento in cui, anche nel vicino Iran veniva ad insediarsi la repubblica islamica. Dopo il ritiro sovietico, avvenuto nel 1989 e una breve resistenza del regime filocomunista del presidente Najibullah, l’Afghanistan rimase sotto il controllo della cosiddetta Alleanza del nord, che raccoglieva sotto un’unica etichetta, un gruppo eterogeneo di organizzazioni guidate da una serie di capi partigiani e signori della guerra di etnie, moralità e ideologie diverse ma in genere accomunati dalla propensione alla ricerca del potere e dell’arricchimento personale. Dopo l’esito positivo della guerra, l’amministrazione americana si è defilata rapidamente tagliando drasticamente i finanziamenti che invece avrebbero dovuto essere dirottati allo scopo di ricostruire il Paese ormai completamente devastato; nel frattempo le tensioni fra i signori della guerra vincitori esplodeva in guerra civile e dal caos risultante emerse il movimento talebano, sempre supportato dall’ingerenza straniera di Pakistan ed Arabia Saudita, ma anche originato dalla genuina disperazione della popolazione di fronte alla prospettiva degli scontri senza fine fra i vari signori della guerra. Gli studenti coranici (per altro figli essi stessi dell’Afghanistan!), almeno in primo tempo, furono accettati se non proprio con simpatia almeno con un certo sollievo poiché portatori di un qualche tipo di ordine. Essi si ponevano a salvaguardia della morale islamica e delle tradizioni e agivano per lo più in rappresentaza dell’etnia Pashtun, storicamente dominante ma sottorappresentata all’interno delle forze dell’Alleanza del nord e per altro, profondamente legata alle aree tribali presenti anche in territorio pakistano. Il Paese, nell’indifferenza dell’occidente, ha continuato la sua progressiva deriva fondamentalista accentuando la sua caratteristica di stato fallito o “canaglia” accogliendo le basi di addestramento del terrorismo islamico in funzione anti occidentale e anti indiana e portando al collasso la già provata economia sempre più isolata e comunque orientata verso i traffici illeciti come il contrabbando o la produzione l’esportazione di oppio e di eroina. Dopo l’episodio delle torri gemelle, il regime talebano viene rovesciato ma la vittoria è di nuovo incompleta infatti, da una parte il ruolo doppiogiochista del Pakistan impedisce di sferrare il colpo mortale sia contro il movimento talebano che contro Al-Qaida perché i ribelli trovano riparo ed appoggio in territorio pakistano, dall’altra parte l’impegno militare viene diluito a seguito del discutibile intervento in Iraq contro Saddam Hussein. Il destino dell’Afghanistan è messo nelle mani del presidente Karzai, attualmente in carica, il cui regime “democratico” viene attualmente puntellato dal contingente NATO. Fino ad adesso non sembra che il presidente Karzai sia riuscito a raggiungere i risultati auspicati e anzi, in più di un episodio anch’esso si è invischiato con una politica tollerante verso la corruzione e orientata verso il familismo (si veda ad esempio le ultime vicende riguardanti le fallimentari speculazioni della famiglia Karzai in Dubai) impedendo per giunta fino ad ora la nascita e lo sviluppo di partiti politici realmente rappresentativi. Soprattutto, almeno fino a pochi giorni fa, si è trascurato di tentare di cooptare i talebani nel governo del Paese, cosa che difficilmente può essere impedita indefinitamente se realmente ci si pone l’obiettivo di instaurare un regime realmente rappresentativo. Nel frattempo il Pakistan si sta disintegrando a causa delle sue stesse politiche e tensioni etniche e deve fronteggiare una pesante situazione umanitaria a seguito delle recenti disastrose inondazioni.
A questo punto viene veramente da domandarsi perché dobbiamo correre dei rischi dopo tutti gli errori delle varie amministrazioni americane che si sono via via succedute e dei loro servizi di sicurezza e tenendo conto altresì che ci sono parecchie ragioni per diffidare delle capacità dell’attuale esecutivo afghano. Immagino che ai normali cittadini italiani non sia per niente chiaro quale sia il nostro ruolo la nostra funzione e i nostri interessi in questo ginepraio. Non è neppure certo se il nostro governo (e quelli che l’hanno preceduto) abbia formulato dei chiari obiettivi, limiti temporali e condizioni per l’appoggio all’attuale governo afghano, nonché per l’intervento l’impiego operativo e ancora meglio per il ritiro del nostro contingente. A me infatti sembra evidente che i tempi per vincere (o meglio non perdere) la guerra saranno ancora lunghi, ma nel contempo è altrettanto evidente che per stroncare la resistenza talebana è senza dubbio necessario combattere duramente smettendo di fare finta di essere solo un contingente di peacekeeping (ma questo più o meno segretamente lo stiamo già facendo) , ma soprattutto è necessario spingere l’attuale governo afghano e magari anche l’amministrazione americana ad accettare un accordo con i talebani tenendone almeno in conto parte delle istanze sociali e politiche. Nel migliore dei casi quindi è probabile che non assisteremo alla nascita di una pacifica democrazia perfetta (ne abbiamo forse da qualche parte?) e ciò, perché buona parte della popolazione semplicemente non la vuole e noi evidentemente non siamo in grado di imporla, sarà quindi necessario scendere in qualche modo a compromessi con la profonda e ormai esasperata cultura islamica del Paese e del sempre più turbolento e instabile vicino, il Pakistan. Se però non siamo veramente intenzionati o come più probabile, abbastanza autorevoli e forti per poter portare avanti questo doppio obiettivo necessario alla stabilizzazione dell’intera area, sarebbe forse meglio che ammettessimo la sconfitta e levassimo le tende, limitando il più possibile i danni e le nostre perdite umane, con buona pace dei nostri alleati americani, per i quali deve essere chiaro che non possono contare su di noi alla stregua di mera forza militare per procura e che venga posta allo stesso livello dei loro contractors.

giovedì 7 ottobre 2010

Recensione: Caduta libera

“Caduta libera”, di Nicolai Lilin, edizioni Einaudi, ISBN 978-88-06-20063-3. Il romanzo autobiografico descrive l’esperienza di cecchino dell’autore in un’unità d’assalto e infiltrazione dell’esercito russo durante la seconda campagna della guerra cecena (cominciata nell’agosto del 1999). Il libro da un’idea assolutamente realistica di come sono combattute tutte le recenti guerre di attrito, ben rappresentate proprio dai continui scontri nel Caucaso o dall’eterna guerra afghana. Davanti agli occhi del lettore scorrono scene di un’efferatezza inimmaginabile alle “persone normali”, violenza, morte, paura, sangue e brandelli di corpi dilaniati da armi micidiali. Un’azione continua, sincopata e istintiva dove l’uomo regredisce totalmente ai suoi istinti primordiali. Nessuno spazio per pensare, per distrarsi, per riposare o persino per mangiare. Niente prigionieri, nessuna pietà e nessun rimorso in una realtà allucinante dove gli unici legami sono quelli del clan, del gruppo o meglio, del branco. Il peggio però viene alla fine perché una volta sfuggito indenne all’inferno ceceno all’autore toccherà ritornare alla vita civile dove niente gli sembrerà come prima. Un libro che spiega molte cose sulle guerre, sulla violenza e sugli uomini e che tutti dovrebbero leggere.

lunedì 4 ottobre 2010

Recensione: Mossadeq – L’Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica

“Mossadeq – L’Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica”, di Stefano Beltrame, edizioni Rubbettino. Il libro cerca di ricostruire i fatti che, nel corso del 1953, portarono al rovesciamento dell’allora capo del governo iraniano Mossadeq. Nel frattempo l'autore istaura un collegamento fra quei fatti e la rivoluzione islamica del 1979 che portò al rovesciamento dello scià e all’ascesa al potere dell’Ayatollah Khomeini e alla conseguente proclamazione della repubblica islamica, che ispirandosi alle teorie del Velayat e Faqi (governo del giureconsulto) tuttora regge il Paese. Beltrame sviluppa una tesi moderna ed interessante che cerca di dimostrare come la rimozione di Mossadeq fu causata non tanto dalla bontà della realizzazione del piano Ajax/Boot, progettato congiuntamente da CIA e SIS (i servizi segreti britannici), quanto dalla crescente divergenza di obiettivi e punti di vista che opposero il capo del governo iraniano al clero sciita militante allora rappresentato dall’Ayatollah Kashani. Il clero sciita, ferocemente antibritannico, in un primo tempo aveva appoggiato Mossadeq nella sua lotta contro gli inglesi e a favore della nazionalizzazione dell’industria petrolifera, in seguito, però aveva cominciato a dubitare delle velleità populiste di Mossadeq e ne temeva i progetti riformatori improntati ad una matrice laica e filo occidentale. L’autore, molto intelligentemente cerca anche di mettere nella giusta luce il diverso ruolo degli inglesi e degli americani nei loro rapporti con l’Iran degli anni 50; mentre i primi agirono in una stretta logica neocolonialista che ora ci appare ingiusta e miope oltre che anacronistica, gli americani cercarono più volte un compromesso che potesse genuinamente risolvere il contenzioso con la AIOC (ora BP) e il Paese mediorientale. Fu in ultima analisi l’intransigenza di Mossadeq, il suo errato calcolo politico e l’eccessiva fiducia nel supporto popolare a farlo sembrare agli USA inaffidabile facendone spostare la visione da una posizione di benevola neutralità a quella di supporto ai piani golpisti di matrice britannica. Mossadeq non tenne in dovuto conto il rapido evolversi della situazione politica mondiale che vedeva gli americani, in parte accecati dal fenomeno del maccartismo, assumere un ruolo sempre più attivo nella lotta al comunismo e pertanto sempre più preoccupati dal rapporto apparentemente sempre più stretto, ma in realtà inesistente, fra Mossadeq e le forze del Tudeh (PC iraniano). In sintesi il bilancio sia dell’operazione Ajax che dell’operato di Mossadeq non è edificante, ancora adesso il grande, ma forse eccessivo leader iraniano rimane un’icona dell’antiamericanismo e un simbolo della lotta contro il neocolonialismo occidentale, mentre l’Iran appare ancora carente di quella credibilità, stabilità e maturità politica ed economica che meriterebbe nonché ancora in cerca di una via in grado di riconciliarsi con l’occidente.

martedì 28 settembre 2010

Sulla religione - qualche premessa

Ero sicuro che alla fine avrei finito per inaugurare anche questo tema, tale necessità infatti non ha solamente aspetti personali ma nasce anche dalla ovvia constatazione che molte delle vicende umane dipendano o siano in qualche modo intrecciate con questo argomento. Fin dall’origine dell’uomo le varie credenze religiose hanno influenzato l’agire e i pensieri degli individui agendo sullo sviluppo del pensiero, dell’etica e del sapere umano nonché sulle forme delle strutture sociali ed economiche in cui viviamo. Anche oggi, nonostante l’affermazione del metodo scientifico che ha modificato profondamente le nostre categorie del pensiero, la religione continua ad essere centrale nelle nostre vite e nelle società che ci siamo dati. Anche solo la necessità di decidere se collocarsi in macrocategorie come quelle degli atei, degli agnostici o dei credenti finisce per essere un riconoscimento quanto meno implicito dell’importanza di questo argomento nelle nostre vita. Inoltre gli aspetti religiosi rimangono ancora adesso termini di riferimento che non possono essere semplicemente ignorati nel momento in cui s’intenda rapportarsi con singole realtà, intere culture, Paesi, gruppi o individui.
Da qui, per quanto mi riguarda, scaturisce la necessità di cominciare un’analisi che mi permetta di rapportarmi coscientemente con questi argomenti. In passato ho ricevuto un’educazione cristiano-cattolica che allora era semplicemente impartita e assimilata come un dato di fatto, adesso si tratta di sapere quanto e perché di ciò che è stato passivamente assimilato vada ritenuto o rigettato. Alla fine si tratta di partire da domande semplici, ad esempio se sia utile, auspicabile o persino inderogabile impartire ai propri figli un insegnamento cristiano o comunque religioso. La risposta non è così scontata come lo era “ai miei tempi”, ora moltissimi bambini non frequentano il catechismo e tantissimi chiedono di essere esentati dalla frequenza scolastica, per altro verso, per le famiglie che optano per questa scelta viene di norma richiesto un maggior coinvolgimento, se non un atteggiamento apertamente “militante”. Intanto cresce l’”offerta” in materia religiosa (si veda ad esempio “la Santa ignoranza - Religioni senza cultura", di Oliver Roy, ed. Feltrinelli, uno degli ultimi saggi sull’argomento) che vede un proliferare di sette e credi vecchi e nuovi, autoctoni oppure esotici, importati come mode da paesi lontani o arrivati a noi al seguito degli immigranti. Cresce anche la tribù di coloro che si definiscono atei, categoria che finalmente comincia ad essere sdoganata come forma rispettabile di moralità e di pensiero.
Nel corso dei miei ultimi anni mi è capitato più volte di leggere testi attinenti al tema della “spiritualità”, ma solo ultimamente ho avvertito la necessità di ripartire da quanto avrei già dovuto conoscere. Ecco quindi il mio programma che prevede la rilettura dei quattro Vangeli canonici, seguita da quelli apocrifi (ma trascurerò invece i cosiddetti “Vangeli gnostici”), dagli atti degli apostoli per poi tornare sul vecchio testamento, tutto ciò senza pretesa di estrapolare da solo chissà quale idea teologica, ma con il solo fine di riacquisire la conoscenza di testi dei quali molti parlano, ma che pochi hanno letto davvero. Mi piace pensare poi, che sarò in grado di formulare un giudizio sui contenuti di queste opere esattamente come mi sento in grado di farlo per la maggior parte delle letture che ho affrontato ultimamente.

Recensione: Robustezza e fragilità

"Robustezza e fragilità - Che fare? Il cigno nero tre anni dopo", di Nassim Nicholas Taleb, edizioni Il Saggiatore. La continuazione de "Il cigno nero", del quale ho già parlato. L'autore analizza gli effetti della recente crisi finanziaria nell'ottica delle teorie riguardanti la fallacità di molti dei nostri modelli previsivi. Il libro è totalmente illeggibile per coloro che non hanno affrontato l'opera precedente, in pratica si tratta di una serie di capitoli aggiunti; invece, per quelli che l'hanno fatto, questa integrazione fornisce un'ulteriore iniezione di convincente buon senso. Spero vivamente che qualcosa di tutto ciò sia percepito e recepito nelle cosiddette "sedi istituzionali".

mercoledì 22 settembre 2010

Recensione: Il segreto di Padre Pio

“Il segreto di Padre Pio”, di Antonio Socci, edizioni Bur, ISBN 978-88-17-02864-6. Questa estate mi era casualmente capitato di leggere un libro dell’editrice Kaos (Dossier Padre Pio - cronologia e documenti di un grande inganno) fortemente critico riguardo alla figura del monaco canonizzato, avendo in seguito letto un libro di Socci (Caterina - Diario di un padre nella tempes) che mi aveva rivelato le posizioni fortemente religiose dell’autore e costatata la presenza di un’opera sullo stesso argomento fra la sua bibliografia, mi ero messo in testa di eseguire una comparazione fra le due pubblicazioni su di un argomento “neutro”. Decisamente si è trattato di una pessima idea, il bilancio dell’operazione è stato fallimentare e il tutto si è concluso con una perdita di tempo, mitigata solo dal fatto che a metà del libro di Socci ho deciso di interromperne la lettura (in vita mia, fino ad ora mi era capitato solo una volta!). Ammetto quindi di non poter dare un giudizio basato su di una lettura completa, a me, però è parso inutile continuare a leggere qualcosa che semplicemente mi è sembrata priva di qualsiasi “valore aggiunto”. Mentre infatti le tesi della Kaos, magari anche faziose, vengono comunque abilmente documentate tanto da costruire razionalmente quantomeno un quadro verosimile, il taglio dato da Socci sembra dare tutto per scontato per verità di fede, compreso il continuo ed attivo intervento divino che fin dall’introduzione sembra quasi riprodurre scenografie da B movie cinese (nell’introduzione il fallimento dell’attentato a Giovanni Paolo II viene spiegato con l’intervento salvifico di una suora con il dono dell’ubiquità che in forma eterea ha distratto la mano assassina di Alì Agca mentre la Madonna deviava per suo conto il corso della pallottola potenzialmente mortale:-)!). Errore mio! Non si possono confrontare i punti di vista di due universi che si poggiano su regole differenti e potenzialmente antitetiche. Per altro, anche lo stile di scrittura dell’autore non è mi è conforme, a me, infatti, è stata trasmessa più che una sensazione di noia e scetticismo, una’impressione di ansia e disagio di fronte a un approccio narrativo dal quale trasuda più che altro fanatica esaltazione rispetto a una maggiormente comprensibile tensione mistica o partecipazione emotiva di fronte ad un possibile mistero di fede.

martedì 21 settembre 2010

Recensione: Il libro dei cinque anelli

"Il libro dei cinque anelli", di Miyamoto Musashi, edizioni Mondadori, ISBN 978-88-04-58658-6.
Miyamoto Musashi è stato riconosciuto come il più grande spadaccino giapponese della storia, visse in Giappone fra la fine del del 1500 e la metà del 1600. Il libro dei cinque anelli (o libro dei cinque elementi) è l'opera che ricomprende tutta la sua esperienza di guerriero riassunta nella scuola e stile schermistico Niten Ichi-Ryu, letteralmente "due cieli, una scuola" per la ragione che veniva raccomandato l'uso contemporaneo di entrambe le spade (la Katana ed il Wakizashi). Per chi non abbia pratica con le arti marziali e nonostante il tentativo di farne una specie di compendio per manager rampanti da guidare sulla via successo (come già è successo alle opere di Sun Tzu!), sostanzialmente il libro non ha molto interesse e non risulta neanche molto comprensibile perchè l'autore si sforza di produrre non solo molti esempi pratici di guardie, parate e tipologie di attacco e difesa, ma anche di effettuare una sorta di comparazione fra le sue opinioni e la via insegnata da altre scuole schermistiche. Per chi invece ha quantomeno un po' di esperienza pratica può essere interessante constatare la potenzialità del combattimento con due spade (che però richiede un grande allenamento fisico) che stranamente, a quanto mi risulta, è stato sostanzialmente abbandonato.
A me è piaciuto rileggere quest'opera dopo ben 25 anni dal nostro primo incontro, purtroppo però non sono riuscito a trovare una particolare frase ed un concetto che mi ricordavo fosse li annidato da qualche parte nel testo, purtroppo però mi sbagliavo, evidentemente era invece in un'altro libro! Poco male! Il concetto rimane comunque valido, anche se ormai dispero dal poterlo supportare con qualche dotta fonte:-)!

lunedì 20 settembre 2010

Recensione: Cuore di tenebra

“Cuore di tenebra”, di Joseph Conrad, edizioni Bur, ISBN 978-88-17-00053-6. Forse il più noto fra le opere di Conrad (ha anche ispirato il famoso film ambientato durante la guerra del Vietnam “Apocalypse now”). Il romanzo s’incentra sul racconto fatto in prima persona dal protagonista, un marinaio di nome Marlow, che riporta la sua esperienza nell’allora Congo belga come comandante di un vaporetto fluviale operante sull’omonimo fiume al servizio di una compagnia commerciale. Il narratore viene coinvolto nell’operazione di recupero di uno degli agenti territoriali della compagnia, un uomo circondato da un alone di mistero di nome Kurtz ed insieme ad una squadra partecipa ad una spedizione che, risalendo il fiume, si inoltra nel profondo dell’Africa Nera. La trama di per se è molto scarna, ma l’obiettivo dell’autore è quello di rendere l’atmosfera onirica o meglio da incubo che pervade l’ambiente e che incombe sul protagonista. La profondità e il mistero della foresta pluviale finiscono quasi per assumere la fisionomia e l’essenza di un’oscura creatura senziente, tanto reale e vitale quanto misteriosa e diabolica che, insinuandosi nella mente degli uomini, cerca di trascinarli in un abisso di orrori ancestrali. Kurtz rimarrà vittima di tali incubi, nello stesso tempo deliranti e illuminanti, mentre Marlow si salverà per un pelo, rimanendone però segnato. Il racconto è geniale perché l’autore sostanzialmente non descrive mai precisamente i fatti vissuti e le azioni compiute da Kurtz e che lo trascineranno al delirio e alla morte, invece, induce il lettore a immaginarseli finendo così per fornirgli la possibilità di specchiarsi nella propria soggettiva e personale interpretazione del lato oscuro. Sicuramente educativo!

giovedì 16 settembre 2010

Recensione: Pakistan - il santuario di Al-Qaida

Pakistan, il santuario di al-Qaida, di Gian Micalessin, Boroli Editore, Il libro riassume in forma sintetica ma nello stesso tempo efficace e suggestiva gli ultimi quarant’anni di coinvolgimento dei servizi segreti pakistani (l’ISI) nelle trame internazionali, nei traffici nucleari e nell’opera di appoggio ai movimenti terroristici e di insorgenza attivi nella regione. L’autore da prova di essere veramente informato riguardo alla situazione del Paese e fornisce un quadro assolutamente convincente riguardo all’operato dell’ISI. Vengono quindi dipanati tutti gli intrecci che porteranno il Pakistan a sviluppare tecnologia nucleare bellica servendosi di know how tecnologico sottratto all’industria europea e che per giunta verrà rivenduto ed usato come base di partenza per impostare progetti analoghi in Iran (ormai i fase avanzata di realizzazione) e in Libia (presumibilmente abortiti). Vengono evidenziati i traffici con altri Stati canaglia come la Corea del Nord, allo scopo di acquisire l’indispensabile e correlata tecnologia legata ai missili balistici (anch’essa condivisa con l’alleato persiano), ma soprattutto viene ampliamente svelata la politica doppiogiochista nei confronti degli alleati occidentali, imperniata sul sostanziale supporto del movimento terroristico di Al-Quaida e dei numerosi movimenti affiliati invischiati nella guerra segreta contro l’India per il controllo del Kashmir. Micalessin mette dunque a fuoco i complessi legami esistenti fra il padre dell’atomica pakistana Abdul Qadeer Khan, l’assassinio del presidente Benazir Bhutto, l’attentato a Mumbai e lo stato d’insorgenza nelle aree tribali della North West frontier e nel frattempo, fra le righe, svela gli errori delle agenzie di sicurezza occidentali, prima fra tutte la Cia, sostanzialmente inefficaci nel loro tentativo di capire e di sventare per tempo le trame dell’ISI.
Per chi è interessato ad approfondire l'argomento segnalo: "Talebani", "Nel cuore dell'islam" e "Caos Asia", editi da Feltrinelli e di Ahmed Rashid, opere per altro citate spesso dallo stesso Micalessin.

martedì 14 settembre 2010

Media ed autocensura

Chissà se tutti i network che si sono scalmanati per enfatizzare le intenzioni a bruciare il Corano da parte di un irrilevante pastore evangelico (secondo il Corriere i fedeli della sua "Chiesa" non riempirebbero un'aula scolastica!) daranno altrettanto spazio nel documentare quanti morti e distruzioni saranno direttamente riconducibili a tanta indesiderabile pubblicità? Ad oggi sono già tre le scuole cristiane bruciate in Kashmir da estremisti islamici inferociti, ieri il conto era già di 18 morti.
Io sono contrario alla censura, sono però anche convinto che una qualsiasi redazione dovrebbe mostrare maggiore buonsenso e valutare con più attenzione quantomeno la rilevanza (oltre che ovviamente il potenziale impatto sull'opinione pubblica) delle opinioni che vengono divulgate. Non ha senso mettere tutte le notizie sullo stesso piano o peggio sovvertirne l'importanza. In un mondo "normale" nessuno avrebbe semplicemente mai sentito parlare del pastore Jones.

venerdì 10 settembre 2010

Recensione: Ammutinamento - La vera storia della corazzata Potemkin

“Ammutinamento – La vera storia della corazzata Potemkin”, di Neal Bascomb, edizioni Mondadori, ISBN 978-88-04-59134-4. Il libro racconta la storia di quello che forse è il più noto ammutinamento di tutti i tempi .
Qui di seguito allego una breve descrizione della trama tratta da http://libreriarizzoli.corriere.it
Nel 1905, anno cruciale per la Russia moderna, l'ammutinamento della corazzata Potemkin fu un evento di portata epocale perché mostrò al mondo la debolezza dell'impero zarista, ormai entrato in una crisi irreversibile, e perché fu il primo passo verso quella rivoluzione che dodici anni dopo avrebbe modificato il corso del XX secolo. E forse per questo che il clamoroso gesto di ribellione a bordo della più potente e moderna nave da guerra dello zar diede ben presto vita a un'epopea in cui l'esaltazione delle virtù eroiche e del fervore rivoluzionario di chi lo compì finì per oscurarne le cause profonde e la reale dinamica. A ristabilire la verità storica attraverso una scrupolosa ricostruzione dei fatti, e a una loro efficace drammatizzazione in un intreccio appassionante, provvede ora il documentato libro di Neal Bascomb. Pur non sottacendo l'abnegazione e l'audacia delle centinaia di semplici marinai e delle poche decine di rivoluzionari convinti di aver sposato una "causa sacrosanta", scopo dichiarato dell'autore è radicare la loro vicenda nel variegato contesto sociale e politico in cui si svolse. Innanzitutto, il graduale disfacimento del potere autocratico russo, sconfitto qualche settimana prima, proprio sui mari, dai giapponesi e minacciato dalle insurrezioni del proletariato di contadini inurbati. Ma anche i tormenti del tentennante zar Nicola II che, spaventato dal nuovo, reprimeva nel sangue le istanze di un popolo che aveva ancora fiducia in lui.


Aggiungo a queste descrizioni il mio giudizio. Il libro mi è piaciuto molto, è avvincente e scorrevole, l’autore riesce effettivamente a spiegare molto bene il contesto politico,economico e sociale in cui si trovava la Russia al momento dei fatti narrati, ma riesce anche a coinvolgere emotivamente il lettore nelle vicissitudini dei marinai coinvolti nell’ammutinamento. Nel libro emergono degli aspetti noti ma comunque interessanti, in altre parole come il ruolo di pochi elementi fortemente ideologizzati e dotati di un minimo di organizzazione fosse sufficiente ad influenzare la grande massa di marinai dubbiosi. Dall’altra emerge non solo lo stato di tremenda arretratezza che ormai caratterizzava l’autocrazia zarista, estremamente bisognosa di riforme politiche ed economiche, ma viene anche ben stigmatizzata l’inconsistenza e l’immobilismo della cosiddetta leadership intellettuale di area socialdemocratica che appare più che altro presa da inutili dibattiti, diatribe dottrinali e distinguo interni piuttosto che impegnata a svolgere un ruolo di organizzazione e di sostegno dei movimenti insurrezionali che invece emergevano spontaneamente a seguito dell’oggettiva situazione socio-economica e che spesso si coagulavano (come avverrà nel caso dell’ammutinamento) attorno alle figure di pochi disperati e/o coraggiosi soggetti. Si ha dunque l’impressione che effettivamente i moti popolari avessero luogo nonostante e non grazie ai proseliti di questi personaggi che poi alla fine finirono per acquisire in Russia le leve del potere. Condivido infine le ultime battute dell’autore che si duole del fatto che uomini come i marinai della Potemkin, che cercavano la libertà e una vita migliore, trovarono la morte in una lotta rivoluzionaria dalla quale scaturì una Russia che avrebbe avversato tali ideali in maniera altrettanto radicale di quella contro la quale essi stavano combattendo.

mercoledì 1 settembre 2010

Recensione: Tortuga

“Tortuga”, di Valerio Evangelisti, edizioni Mondadori, ISBN 978-88-04-58338-7. Dopo aver letto “La vera storia del pirata Long John Silver” di Larsson, mi ero messo, senza successo, alla ricerca della “Storia della pirateria” di Defoe, nell’attesa di reperirlo in libreria mi sono ricordato di questo libro acquistato tempo fa ed abbandonato in attesa di lettura nella pila dei libri da leggere. Il romanzo tratta degli ultimi giorni dei fratelli della costa, i corsari basati a Tortuga ed al servizio della corona francese, diventati “scomodi” dopo la stipula della pace fra Francia e Spagna. La storia s’incentra su Rogerio de Campos, un ex gesuita che viene catturato ed arruolato a forza come nostromo dal pirata Lorencillo e da questi avviato al mestiere di pirata. La trama del romanzo non ha a mio avviso una grande consistenza, ma l’autore riesce invece a rendere molto bene l’ambiente della pirateria, con le sue strane regole, magari feroci ma anche genuinamente democratiche e perfino “moderne” e che finiscono per affascinare e coinvolgere anche il protagonista del racconto. Complessivamente la storia finisce per essere divertente e interessante.

Recensione: Khyber Pass

"Khyber Pass, Una storia di imperi ed invasioni", di Docherty Paddy, Edizioni Il Saggiatore. Focalizzando il punto di vista sullo strategico passaggio che adesso divide l'Afghanistan dal Pakistan e che, di fatto, apre la strada alla valle dell'Indo, il libro racconta in breve il succedersi d’imperi e invasioni che si sono avvicendate dal periodo precedente all'impero achemenide per giungere fino ai giorni nostri. Lo spazio riservato a ogni rivolgimento, alle sue cause e alle sue conseguenze è forzatamente limitato, pertanto il libro è da una parte interessante perché fornisce una visione d'insieme del "continuum" storico relativo a quell'area, mentre dall'altra lascia un po' con l'amaro in bocca. Su una serie di punti in particolare l'opera sembra particolarmente riuscita, l'autore riesce a trasmettere l'importanza strategica e culturale dell'area e a fare emergere i profondi e storici legami che da sempre sussistono fra quelle terre e la nostra cultura. Quelli, infatti, non sono luoghi alieni, ma fin dai tempi di Alessandro Magno costituiscono un naturale luogo di contatto e scambio fra Oriente ed Occidente.

lunedì 23 agosto 2010

Recensione: La vera storia del pirata Long John Silver

“La vera storia del pirata Long John Silver”, di Bjorn Larsson, edizioni Iperborea, ISBN 978-88-7091-075-9. Il romanzo racconta la vita del pirata co-protagonista, insieme a Jim Hawkins, de “L’isola del Tesoro” di Stevenson e fatto cavallerescamente sparire da questi alla fine del romanzo. Larsson ci fa ritrovare l’ormai anziano, ricco e impenitente pirata intento a vergare le proprie memorie dal suo rifugio in Madagascar, dove si è ritirato dopo l’infruttuoso tentativo di recupero del tesoro di Flint.
Il libro mi é stato consigliato da mia moglie Luisa, che evidentemente ben mi conosce, con le seguenti parole: “E’ un romanzo che ti piacerà, ma non so se dovresti leggerlo!”. Dopo una presentazione così ambigua e invitante, mi sono ovviamente precipitato a farlo e prima di averlo finito mi sono reso conto di quanto il suo giudizio fosse azzeccato. In effetti, Il libro è semplicemente bellissimo! Ed è ben introdotto dall’istruttiva ed intelligente prefazione, il problema semmai (e questo mia moglie l’aveva previsto) è che sono rimasto contagiato dallo spirito anarchico e ribelle che permea il racconto.
Larsson riesce a mantenere intatto l’intrigante fascino del personaggio, Silver non appare mai come un eroe, mai viene idealizzato e anzi appare realisticamente in accordo con la professione che si è scelto, un pirata egocentrico amante della libertà, asociale ma dotato di un eloquio convincente e di un forte carisma da leader naturale, gradasso, presuntuoso, anticonvenzionale e anticonformista risulta insofferente verso ogni forma di autorità, gerarchia ufficiale, ordine sociale e costrizione. In ogni caso comunque si distingue dalla massa per l’intelligenza, una certa cultura e per un originale tipo di pragmatica temperanza. In ogni caso nella sua immaginata autobiografia egli si descrive persino più cinico, opportunista e privo di scrupoli di quanto poi traspaia dai suoi gesti, dai quali invece emergono uno spirito guascone ed anche una certa istintiva generosità che finisce per prevalere sulla sua, per altro solo millantata, fredda razionalità.
A Silver manca qualcosa per essere considerato un eroe, ma soprattutto per essere felice o anche solo appagato, il suo problema sta forse proprio nel suo amore eccessivo nei confronti della vita e nel suo concetto troppo estremo di libertà che gli preclude l’accettazione di qualsiasi principio d’interdipendenza con gli altri esseri umani; a lui manca un metro, un’etica, un credo o un’ideologia per giustificare in qualche modo la propria esistenza e le sue azioni, alla fine tutte le sue invidiabili gesta appaiano a lui stesso vuote davanti al prevedibile oblio ed alla solitudine; ed è per questo che infine il vecchio pirata si decide a scrivere le sue memorie ed ad inviarle a Jim Hawkins, davanti alla morte Silver decide di salvare la sua essenza, i suoi ricordi dal grande Nulla che per lui costituisce la fine dell’esistenza.
E’ chiaro che nei fatti Silver vorrebbe lasciare una traccia di se; a riprova di ciò, durante tutto il racconto egli tiene un comportamento ambiguo, da una parte, infatti, mette in atto stratagemmi e sotterfugi per nascondere le tracce della sua vita e per mimetizzarsi: si protegge le mani per evitare che vengano segnate dalla vita di mare, cancella il suo nome dai registri dell’ammiragliato, impedisce a Defoe di citare il proprio nome nella sua storia della pirateria, ma poi, in più di un episodio non sa resistere al bisogno di rivendicare pubblicamente il suo nome ed il suo ruolo, ed è sempre così che si mette nei guai!
Per me una chiave di lettura illuminante del carattere del personaggio e della sua incapacità di capire di completarsi come essere umano e come leader è rintracciabile nelle fasi finali del romanzo, in una conversazione fra il pirata e il fedele ex schiavo sakalava Jack, che proprio da questi è stato affrancato insieme ad altri membri della stessa tribù. Silver rievoca con nostalgia gli ultimi anni di attività piratesca al seguito di Flint e pensando di condividere gli stessi sentimenti con il compagno si stupisce che questi ne abbia un opinione totalmente diversa:
[Silver] “Credevo che vi trovaste bene a bordo.” Dice Silver parlando a Jack ed alludendo allo stesso ed ai compagni ex schiavi della stessa tribù; questi risponde:
[Jack] ”Stavamo meglio che nelle piantagioni. Ma noi non siamo come te.”. Ed è da questo punto in poi che emerge un aspetto interessante riguardo al tema della libertà, il dialogo infatti continua:
[ Silver] “No”, ho esclamato con una risata, nonostante tutto. “Mi sono reso conto che non ne esistono molti, come me.”
[Jack] “Volevo dire noi sakalava e voi pirati. Noi abbiamo una terra e siamo un popolo. Di queste cose, voi ve ne infischiate, come dicevi sempre tu.”
[Silver] “Perché non ve ne siete andati, allora, se era quell’inferno che dici?”
[Jack] “Non era l’inferno. Non era niente.”
[Silver] “Niente?”
[Jack] “Si, non c’era anima.”
[Silver] “Non c’era anima? E la libertà? Avere tutto il tempo che si vuole davanti a sé. Non avere problemi, lasciare passare i giorni senza fretta. Diventare ricchi e poter fare di se stessi quello che si vuole, alla fine. Non è anima, questa? O come altro la chiameresti?”
[Jack] “Non si può avere un’anima, se si è soli. Non si è niente.”
[Silver] “Non eravamo soli a bordo. Eravamo in centotrenta.”
[Jack] “Non insieme. Noi sakalava combattevamo l’uno per l’altro. Voi, per voi stessi. Ognuno per sé. Quanti sono morti, quell’anno? Come si chiamavano? Da dove venivano? Dove volevano andare? Non ha nessuna importanza, come diresti tu. Quelli che morivano venivano dimenticati il giorno dopo. Erano morti per una buona causa, dicevi. La tua! No, voi eravate soli, mai insieme. Che anima c’è in questo?”


[Silver] “Non ho mai capito, cosa intendete per anima.”, ho aggiunto.
[Jack] “No”, ha risposto Jack.
[Silver] “Eppure hai continuato a chiamarmi fratello.”
[Jack] “Si. Siamo fratelli. Tu non hai bisogno di me. Io posso fare a meno di te. Ma abbiamo bisogno l’uno dell’altro.”
Ma nonostante tanta chiarezza Silver continuerà a non capire ne le parole di Jack, ne tanto meno le motivazioni della sua discreta ma profonda lealtà.
Ultima sorpresa di questo splendido romanzo è costituita dall’epilogo, aperto a più morali ed interpretazioni. A me piace pensare che Larsson sia stato indulgente e abbia adottato lo stesso metro di Stevenson dando al vecchio pirata una via di uscita rocambolesca e una seconda possibilità per andarsene in pace.

Nucleare iraniano: qualche spunto di riflessione

L’entrata in funzione della centrale nucleare iraniana segna un passo importante sia per la politica sia per l’economia di quel Paese. Dal punto di vista politico si tratta di un importante risultato per il regime che ne esce rafforzato sia sul fronte interno che su quello internazionale. Questa, se vogliamo, non è esattamente una buona notizia né per i Paesi occidentali, né per l’opposizione interna che sta faticosamente lottando per ottenere delle riforme. Invece, riguardo alla valutazione degli impatti economici, soprattutto se valutati in un’ottica di lungo periodo, bisognerebbe forse cercare di essere maggiormente indulgenti nel tentativo di giustificare le scelte del regime di Teheran. Riguardo alla vicenda del nucleare iraniano si è infatti sempre enfatizzato l'aspetto legato ai programmi militari, trascurando invece di analizzare le eventuali ragioni che renderebbero questa scelta ragionevole per perseguire scopi civili. Se si parla dei primi è indubbio che questi possano costituire un pericolo per la comunità internazionale, per altro, volendo accogliere anche il punto di vista iraniano, costituirebbero anche una garanzia ed un forte elemento di dissuasione nei confronti di eventuali aggressioni esterne, rischio per loro tutto sommato da non sottovalutare. Quando invece si parla dei programmi nucleari a scopi civili è abbastanza facile arrivare alla conclusione che questi siano effettivamente di una certa importanza per lo sviluppo a lungo termine del Paese. La valutazione dell’impatto di tali scelte dovrebbe partire dall’osservazione dell’attuale situazione dei giacimenti d’idrocarburi in Iran e soprattutto della loro prevedibile evoluzione nel prossimo futuro, tenendo conto anche dello sviluppo dei consumi interni. Ora l’Iran si pone fra i grandi esportatori sia di petrolio che, in prospettiva, di gas naturale, ma i giacimenti di greggio del Paese stanno cominciando a giungere in una fase matura e richiederebbero interventi per garantirne la conservazione, tra i quali ad esempio, i processi di ri-gassificazione che finirebbero per distogliere parte dello stock di gas naturale dal quantitativo esportabile o destinabile al crescente fabbisogno interno per la produzione di energia. Da qui l’esigenza di trovare alternative energetiche per garantire lo sviluppo interno senza possibilmente dirottare una quota crescente della produzione petrolifera ai consumi nazionali. In conclusione, se si vuole evitare di guardare solo alle implicazioni politiche, propagandistiche ed ideologiche che sottendono alla decisione di rincorrere la tecnologia nucleare, la scelta di soddisfare parte del fabbisogno prospettico di energia per il tramite di un programma nucleare non appare poi tanto incomprensibile o irragionevole.

giovedì 5 agosto 2010

Nuovi scontri sulla frontiera libanese

Ieri sulla frontiera fra Libano e Israele si è ripreso a sparare, oggi fortunatamente la situazione è tranquilla, ma il breve scontro ha lasciato sul terreno alcuni morti da entrambe le parti. Leggendo gli articoli de La Stampa emerge chiaramente quanto queste vite siano state inutilmente sprecate. Secondo la cronaca, lo scontro è stato provocato da uno sconfinamento di minore entità da parte degli israeliani al quale è corrisposta una reazione a mio avviso esagerata da parte dell’esercito libanese che ha causato un morto fra i soldati israeliani. Immediata la reazione israeliana con conseguenti vittime fra i soldati libanesi, fra i quali è stato anche ucciso un giornalista. Anche questa volta si è dunque ricreato il solito macabro copione che vede improvvise escalation a seguito di provocazioni ed errori tutto sommato “modesti” (rispetto al contesto almeno!). Io penso che, ben sapendo cosa sarebbe successo, chi ha aperto il fuoco per primo abbia commesso una leggerezza imperdonabile se non un vero e proprio atto criminale

mercoledì 4 agosto 2010

Recensione: Caterina - Diario di un padre nella tempesta

"Caterina - Diario di un padre nella tempesta", di Antonio Socci, Rizzoli editore.
Non leggo sempre i libri che mi vengono regalati, spesso infatti non incontrano i miei gusti o i miei interessi e questo potrebbe essere sicuramente uno che di questi casi. La trama del libro, alla quale mi sento solo di accennare, racconta una storia vera e descrive la durissima prova a cui deve far fronte l’autore posto di fronte alla tragedia del coma della giovanissima figlia Caterina. Il libro parte descrivendo il dramma iniziale e il successivo faticosissimo percorso che ha accompagnato il progressivo miglioramento delle condizioni dell’inferma e vuole essere un esplicita testimonianza della potenza della fede religiosa. Detto così in maniera volutamente asciutta è un po’ cinica il libro dovrebbe apparire come dovrei vederlo io, penso infatti che esistano centinaia di libri così, storie vere o opere di fantasia, fatti narrati di indicibili sofferenze, di smarrimento, di lotta, di speranze e di …. Miracoli! Mai letto uno ovviamente! Ma come ben si sa l’eccezione conferma la regola. Ammetto quindi che parlare di quest’opera in qualche modo mi mette in difficoltà e mi imbarazza ma nel contempo, posto che mesi fa mi sono preso l’impegno di “recensire” tutti i libri che leggevo, sforzarmi di scrivere qualcosa anche su questo lo considero un atto dovuto nel rispetto del compito che mi sono assunto, una forma di lealtà e un modo per ringraziare chi me lo ha donato nonché, e sono piuttosto riluttante a riconoscerlo, una sorta di omaggio nei confronti dell’autore del quale ho apprezzato il coraggio e la fermezza. Soprattutto però devo confessare che ho letto il libro con lo spirito ed il sollievo di chi riceve una buona notizia. Per una strana serie di circostanze (troppo lunghe da spiegare! …. Tutto è nato da una discussione sul testamento biologico e sulla libertà che ho avuto con la mia amica Emanuela!) conoscevo le condizioni di Caterina perché avevo visitato il blog di Antonio Socci appena dopo l’incidente della figlia (che fosse “appena dopo” devo confessare che l’ho scoperto solo ora!). In breve, mi ero …… commosso?! … “Fatto coinvolgere” mi sembra un termine più appropriato! ... E avevo quindi continuato a chiedere notizie della sua sorte anche successivamente: “Ehi Emy come sta quella ragazza, quella degli occhi azzurri?” (Dalla foto in copertina scopro con un certo sconcerto che la bella Caterina ha gli occhi castani! …. Mi confondevo con il testo di una canzone pubblicata sul blog che ha lasciato il suo segno su più di un lettore). Ed eccola la “buona novella”! Giunge dopo circa 200 pagine di (per me faticosa) lettura. Caterina è migliorata, è uscita dal coma, a lei vanno i miei affettuosi auguri di un rapido e completo recupero!

Recensione: La cattedrale del mare

"La cattedrale del mare", di Ildefonso Falcones, edizioni TEA.
qui di seguito allego parte della trama tratta da Wikipedia: "La trama si svolge nel XIV secolo a Barcellona, città comitale catalana e nei suoi dintorni e narra la storia della vita del protagonista Arnau Estanyol, un servo della gleba, che fugge dal servaggio assieme al padre e lentamente scala la piramide sociale giungendo persino ad ottenere il titolo di Barone e di Console del Mare. Questa evoluzione, vissuta fra mille vicissitudini personali e storiche, non manca di suscitare invidie e disprezzo verso Arnau, il quale cade per tali motivi nelle grinfie dell'Inquisizione. Perno "fisico" della vicenda, la costruenda chiesa di Santa María del Mar, cui il protagonista contribuisce inizialmente quale trasportatore di pietre, ed infine come ricco banchiere".

Queste sono invece le mie impressioni! Non devo essere sensibile a questo genere di romanzi perché sinceramente a me questo libro non ha detto granché. Probabilmente sono stato caricato di troppe aspettative dalle tante recensioni positive e dalle informazioni riguardo al notevole numero di copie vendute (deduco quindi di stare andando un po’ controcorrente!) e di conseguenza mi aspettavo chissà che cosa. Poco male, l’ho comprato in edizione economica e l’ho letto sulla spiaggia e io raramente trascino sul bagnasciuga dei libri che sono sicuro di voler conservare! Scherzi ed ironia a parte, la vicenda è tutto sommato abbastanza avvincente seppure, a mio avviso, un po’ scontata e prevedibile, innervosisce solo un po’ il protagonista sul quale si abbattono più guai che su Remy (quello dei cartoni animati) o su Jean Valjean (“I miserabili”) messi insieme, ma questi non si piega! Curioso il destino delle eroine comprimarie, vengono tutte inesorabilmente stuprate, evidentemente all’epoca era una eventualità assai probabile, oppure …. il tipo menava un po’ jella (per altro spesso assicurata ad amici e famigliari degli eroi)! E va bene, fino ad ora non l'ho detta tutta! Alcuni aspetti sono genuinamente interessanti, il romanzo spiega in maniera divertente una parte della Storia della Spagna (si parla in particolare di Barcellona e della Catalogna della metà del 300), ma soprattutto racconta qualcosa della società medioevale, delle sue istituzioni politiche ed economiche, delle sue ingiustizie e diseguaglianze. Penso poi di condividere con l’autore il disprezzo per l’inquisizione che spunta fuori anch’essa nel romanzo e ci fa la solita meritatissima pessima figura. A titolo di curiosità, per chi ne avesse già sentito parlare, a degna rappresentanza dell’istituzione appare fra i cattivi anche l’inquisitore Nicholas Eymerich, questa volta decisamente relegato senza attenuanti fra le carogne impenitenti.

venerdì 30 luglio 2010

FINALMENTE!

Leggo su La Stampa di oggi che Berlusconi ha cacciato Fini dal PDL, ottimo! Certo, avrei preferito che fosse stato lui ad andarsene spontaneamente, sarebbe stato un atto più coraggioso, un inizio più promettente e già si è capito che l’ex delfino non è esattamente un “cuor di leone”, ma pazienza! A ben vedere di ragioni per essere prudenti e soprattutto titubanti Fini deve averne viste parecchie. In ogni caso evviva! Almeno dal mio punto di vista, qualcosa si muove nel panorama politico italiano, finalmente soprattutto per quelli come me orfani dei partititi laici della prima Repubblica, si profila una possibilità di cambiamento e di rottura con un bi-polarismo che ci ha condannati a scegliere ed a schierarci fino ad adesso nelle soffocanti camerate di PD, PDL ed IDV. L’ex leader di An probabilmente trema, certamente teme di rimanere isolato, intuisce che pochi confluiranno nelle sue file (ma qualcuno potrebbe venire anche da “sinistra”!) e presumibilmente ha completamente ragione! Se continuerà ad essere coerente, se è veramente ragionevolmente “onesto” (sia dal punto di vista giudiziario che dal punto di vista intellettuale!) come a me sembra si ritroverà intorno solo “4 gatti” (magari potrei persino esserci anch’io, redivivo Brancaleon da Norcia), ma si consoli, così deve essere!
A lui dedico l’ abusata citazione dell’Enrico V di Shakespeare, atto IV scena terza (il "solito" discorso di S.Crispino per intenderci:)!), con l’augurio che non sia solo un “sogno in una notte di mezz’estate”.

mercoledì 28 luglio 2010

Recensione: Il Martirio di una nazione, il Libano in guerra

“Il Martirio di una nazione, il Libano in guerra”, di Robert Fisk, edizioni il Saggiatore. A mio parere, veramente un grande libro! … Anche se ammetto di aver fatto fatica a leggerlo tanto potente è il coinvolgimento emotivo che viene indotto nel lettore. L’opera non è solo una minuziosa ricostruzione della storia libanese a partire dal dopoguerra e soprattutto incentrata sul periodo che va dalla metà degli anni 70 ai giorni nostri, ma anche un portentoso atto di accusa nei confronti di tutti i soggetti coinvolti nella martoriata storia recente di questo piccolo e sfortunato Paese. Robert Fisk non risparmia a nessuno il proprio carico di responsabilità. Vengono dunque portati alla luce grazie ad un tenace lavoro giornalistico gli intrallazzi, i tradimenti, i crimini, le ingerenze e soprattutto gli errori delle numerosissime fazioni libanesi, degli scomodi “ospiti” palestinesi e delle potenze straniere coinvolte, principalmente Israele, Siria, Iraq, Iran, Usa, Francia ed Italia (che ad onor del vero ne esce con onore grazie all’opera del nostro corpo di pace!). Il giornalista si sofferma soprattutto a descrivere i fatti ed i risultati di tanta insensatezza così visibili in termini di sofferenze e perdite di vite umane prevalentemente fra la popolazione civile inerme. Particolarmente toccante la ricostruzione delle stragi avvenute nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila. A mio avviso però il vero di punto di forza del libro è quello di sbattere in faccia a noi “occidentali” le nostre pesantissime responsabilità; l’autore ci ricorda continuamente come noi in Libano abbiamo fallito, non siamo riusciti a capire la situazione ed i sottili equilibri che mano a mano venivano messi in crisi, abbiamo smarrito il senso dell’etica, non siamo stati in grado di svolgere onestamente il nostro ruolo umanitario, non abbiamo avuto il coraggio di biasimare i nostri alleati (l’immagine di Israele viene letteralmente fatta a pezzi nel corso dell’opera!), siamo rimasti impigliati nella logica dei blocchi contrapposti (ovest-Est, Mondo libero-Mondo comunista) e nelle logiche errate dello “scontro delle civiltà” ed infine abbiamo creato da noi le nostre nemesi ed i nostri mostri. Il Libano sarà la fucina di Hezbollah, di Amal, dell’estremismo sciita ……… Si ha infine la spiacevole e netta sensazione che l’autore ci voglia anche suggerire che proprio li, a causa della nostra incapacità di comprendere il mondo islamico, traggano origine tanti dei nostri guai! Forse proprio nel martoriato Libano hanno cominciato a sgretolarsi le torri gemelle!

martedì 6 luglio 2010

Recensione: Dossier Padre Pio

"Dossier Padre Pio - cronologia e documenti di un grande inganno", Kaos edizioni, isbn 978-88-7953-208-2. Questo non è esattamente il mio genere di letture e devo ammettere che si è trattato di un tipico caso di acquisto compulsivo (stavo partendo per una trasferta all'estero!). In ogni caso devo riconoscere che i libri della Kaos a me sembrano sempre ben documentati e pertanto risultano infine quanto meno interessanti. La fede è un terreno rischioso sul quale avventurarsi e sono abbastanza certo che santi e profeti debbano sempre apparire un po' strani, se non completamente "svitati", ad un osservatore laico che provi ad immaginarseli dal vivo. La figura di padre Pio è comunque stata sempre chiaccherata anche all'interno della Chiesa pertanto rimango un po' stupito del fatto che si sia provveduto rapidamente a santificarlo! Da lettore accolgo le tesi degli autori! ....... Forse non bisognerebbe proclamare santi vissuti di recente, bisognerebbe lasciare alla pietosa azione del tempo la possibilità di stemperare le tinte, di sublimare. Le antiche figure di Santi (ma questo avviene anche per altri personaggi storici) appaiono infatti avvolte da mistica, epica e spesso fulgido eroismo, quelle moderne mi sembrano invece un po' più opache, chiaccherate, insomma un po' troppo imperfette, fin troppo umane, alcune francamente (come in questo caso!) proprio equivoche!

lunedì 28 giugno 2010

Recensione: Ascesa e declino del denaro

Ascesa e declino del Denaro di Nial Ferguson, editore Mondadori, ISBN 978-08-04-59471-0. Più che del denaro in senso stretto l’autore parla del ruolo del credito nel favorire la crescita economica. In un continuo andare avanti indietro nella storia il libro tratta della moneta metallica, dei primi contratti “futures” istituiti nell’antica Mesopotamia, delle lettere di cambio rinascimentali, dell’invenzione della partita doppia, della nascita delle società per azioni ed a responsabilità limitata, del ruolo delle assicurazioni e soprattutto della nascita del mercato obbligazionario e dei suoi legami con il debito pubblico degli Stati, con il welfare e con il mercato immobiliare. L’autore descrive anche le varie crisi che nel corso del tempo hanno segnato gli eccessi nell’uso dell’innovazione finanziaria seguendo le vicissitudini di John Law e della compagnia del Mississippi fino al default delle finanze francesi, gettando una luce sui fallimenti dell’impero spagnolo e più tardi delle repubbliche sud americane, spiegando il crepuscolo della prima società mondiale globalizzata (il mondo all’alba della prima guerra mondiale), la grande depressione, gli spasmi della repubblica di Weimar, il sistema di Bretton Woods e la sua successiva decadenza, l’illusione della democrazia “proprietaria” ed il fallimento delle “saving & Loans” durante gli anni ottanta, il ruolo dei Killer dell’economia, l’ascesa e la caduta delle “dot.com”, la grande truffa della Enron fino ad arrivare ai giorni nostri con l’attuale crisi innescata dal ricorso eccessivo all’indebitamento subprime, ai CDO (collatelarized debt obbligation) ed ai CDS (credit default swap), alla caduta degli Hedge funds (LTCM) e dei loro modelli matematici basati sul VAR e sull’uso delle gaussiane, al ruolo in ascesa dei fondi sovrani fino a “Chimerica” (termine nato dalla fusione di China & America) il “mostro” mitologico che ancora attende un novello Bellerofonte che possa domarne gli eccessi.
Il libro è bellissimo, in sintesi (e nonostante i disastri) parla di sogni: la ricchezza, la sicurezza, la casa, la prevenzione di ogni avversità, persino l’immortalità. Soprattutto è una lode all’ingegno umano ed alla sua capacità di domare il rischio ed allocare il credito in maniera sempre più efficiente; è la descrizione di un carosello continuo di illusioni, del “falò delle vanità”, di fulminee intuizioni e di immani fallimenti dettati dalla presunzione, dalla disonestà e dall’avidità. Soprattutto, sullo sfondo rimane l’invito alla riflessione ed alla consapevolezza nelle scelte per ognuno di noi, un continuo ricordarci che si affonda insieme ma che ci si salva da soli.

martedì 22 giugno 2010

Pomigliano ed oltre, dove stiamo andando?

Le vicende relative all’accordo di Pomigliano meritano di essere attentamente valutate dato il fortissimo impatto che potrebbero avere in futuro su tutti gli accordi di lavoro e sulle relazioni sindacali in Italia. In breve la piattaforma da approvare prevede, in cambio di investimenti sostanziosi, l’impegno dei sindacati e dei lavoratori al rispetto di un insieme di norme atte a garantire la produttività dello stabilimento. Detto così sembra tutto logico e lineare se non fosse che l’alternativa all’accordo sarebbe semplicemente l’abbandono del sito da parte del gruppo automobilistico con conseguenza perdita del lavoro per gli addetti allo stabilimento e per l’intero indotto legato al settore sulla falsa riga di quanto già annunciato per lo stabilimento siciliano Termini Imerese. Da una parte quindi, la Fiat si accinge ad un’operazione storica che implica la ristrutturazione di un insediamento che non è mai stato realmente produttivo (è nato per motivi “politici” come stabilimento dell’allora Alfa Romeo di Stato), caratterizzato da sempre da altissimi tassi di inefficienza ed assenteismo; si impegna non solo nel rilancio, ma persino nel progetto di trasformare il sito in un luogo di eccellenza produttiva progettando di spostare dalla Polonia (attuale fiore all’occhiello della produzione Fiat in termini di produttività!) la linea della nuova Panda. Dall’altra parte, a garanzia dell’investimento, il gruppo automobilistico chiede il rispetto da parte dei lavoratori di accordi severi intesi a garantire l’efficienza produttiva ma che, secondo parte dei sindacati (ad es. la Fiom) e in accordo con alcuni personaggi politici (in realtà pochi si sono realmente spesi su questa vicenda!) violano deliberatamente alcuni diritti e libertà costituzionali legate alla libertà di sciopero ed alla tutela in caso di malattia. Oggi i lavoratori di Pomigliano sono chiamati ad avallare o a rigettare la proposta della Fiat scegliendo in sintesi fra un posto di lavoro garantito per i prossimi anni da un ambizioso piano di investimento ma sottoposto ad un regime disciplinare inusuale per il panorama italiano legato alle grande industria e un probabile destino da cassintegrati, tra l’altro in una regione che tradizionalmente non è certo prodiga di posti di lavoro e di opportunità. Ritengo dunque probabile che la maggior parte degli operai si esprimeranno a favore degli accordi con Fiat posto che nel loro caso le necessità pratiche sono ben più rilevanti dei discorsi teorici legati alla difesa dei diritti del lavoratori; e chi può biasimarli?
Se però si prova a guardare le cose dal di fuori dello stabilimento e quindi da un posto lontano dalla sfortunata necessità di dover scegliere drasticamente fra lavoro e diritti, bisognerebbe riconoscere come sia necessario tornare a discutere seriamente degli uni e degli altri mettendo in discussione entrambi i concetti con l’obbiettivo di rendere fattibile lo svolgimento di attività produttive in Italia evitando possibilmente di rincorrere al ribasso le condizioni di tutela riscontrabili in altri paesi. Ovviamente tali ragionamenti dovrebbero essere svolti in ogni ambito sociale e ognuno di noi dovrebbe avere un’opinione a riguardo, ma in prima battuta ci si aspetterebbe che il compito di animare e regolare il dibattito spetti soprattutto alle parti politiche che sono i soggetti esattamente preposti a svolgere questo genere di attività nei confronti della collettività che rappresentano. Purtroppo però constato che nel caso della vertenza Fiat quello che è mancato è stato esattamente il dibattito e la riflessione seria della nostra classe politica per lo più assente oppure apparsa in ordine sparso attraverso interventi espressi a titolo personale ma per niente finalizzati ad intervenire direttamente mediando e smussando i termini più critici della vertenza. Di conseguenza le parti in causa sono state lasciate colpevolmente sole, entrambe con le loro sacrosante ragioni e motivazioni, ma prive di un garante superpartes che fosse visibile e tanto meno credibile.

..................................................................................

Per completezza allego il seguente documento (ovviamente non mio!) reperito in rete e riferibile a:

FEDERAZIONE ITALIANA METALMECCANICI
Ufficio Comunicazione
Corso Trieste, 36 – 00198 ROMA

Allegato lettera del 9 giugno 2010
1. ORARIO DI LAVORO
La produzione della futura Panda si realizzerà con l'utilizzo degli impianti di produzione per 24 ore giornaliere e per 6 giorni la settimana, comprensivi del sabato, con
uno schema di turnazione articolato a 18 turni settimanali.
L'attività lavorativa degli addetti alla produzione e collegati (quadri, impiegati e operai), a regime ordinario e ferma la durata dell'orario individuale contrattuale, sarà
articolata su tre turni giornalieri di 8 ore ciascuno a rotazione, secondo i seguenti orari:
•primo turno dalle ore 6.00 alle ore 14.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 13.30 alle ore 14.00;
•secondo turno dalle ore 14.00 alle ore 22.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 21.30 alle ore 22.00;
•terzo turno dalle ore 22.00 alle ore 6.00 del giorno successivo, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 5.30 alle ore 6.00.
La settimana lavorativa avrà pertanto inizio alle ore 6.00 del lunedì e cesserà alle ore 6.00 della domenica successiva.
Lo schema di orario prevede il riposo individuale a scorrimento nella settimana.
L'articolazione dei turni avverrà secondo lo schema di turnazione settimanale di seguito indicata: 1° - 3° - 2°
Il 18° turno, cadente tra le ore 22.00 del sabato e le ore 6.00 del giorno successivo, sarà coperto con la retribuzione afferente la festività del 4 Novembre e/o con
una/due festività cadenti di domenica (sulla base del calendario annuo), con i permessi per i lavoratori operanti sul terzo turno maturati secondo le modalità previste
dall'accordo 27 Marzo 1993 (mezz'ora accantonata sul terzo turno per 16 turni notturni effettivamente lavorati pari a 8 ore) e con la fruizione di permessi annui
retribuiti (P.A.R. contrattuali) sino a concorrenza.
Le attività di manutenzione saranno invece svolte per 24 ore giornaliere nell'arco di 7 giorni la settimana per 21 turni settimanali. L'attività lavorativa degli addetti
(quadri, impiegati e operai), a regime ordinario, sarà articolata su 3 turni strutturali di 8 ore ciascuno, con la mezz'ora retribuita per la refezione nell'arco del turno di
lavoro a rotazione e con riposi individuali settimanali a scorrimento.
L'orario di lavoro giornaliero dei lavoratori addetti al turno centrale (quadri, impiegati e operai) va dalle ore 8.00 alle ore 17.00, con un'ora di intervallo non retribuito.
Per i quadri e gli impiegati addetti al turno centrale si conferma l'attuale sistema di flessibilità dell'orario di lavoro giornaliero (orario in entrata dalle ore 8 alle ore 9
calcolato a decorrere dal primo dodicesimo di ora utile).
In alternativa, su richiesta delle Organizzazioni Sindacali nel caso in cui intendessero avvalersi della facoltà di deroga a quanto previsto dal D. Lgs. 66/2003 e
successive modifiche e integrazioni in materia di riposi giornalieri e settimanali.
La produzione della futura Panda si realizzerà con l'utilizzo degli impianti di produzione per 24 ore giornaliere e per 6 giorni la settimana, comprensivi del sabato, con
uno schema di turnazione articolato a 18 turni settimanali.
L'attività lavorativa degli addetti alla produzione e collegati (quadri, impiegati e operai), a regime ordinario e ferma la durata media dell'orario individuale contrattuale,
sarà articolata su tre turni giornalieri di 8 ore ciascuno a rotazione, secondo i seguenti orari:
•primo turno dalle ore 6.00 alle ore 14.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 13.30 alle ore 14.00;
•secondo turno dalle ore 14.00 alle ore 22.00, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 21.30 alle ore 22.00;
•terzo turno dalle ore 22.00 alle ore 6.00 del giorno successivo, con la mezz'ora retribuita per la refezione dalle ore 5.30 alle ore 6.00.
Lo schema di orario per lo stabilimento prevede, a livello individuale, una settimana a 6 giorni lavorativi e una a 4 giorni. L'articolazione dei turni avverrà secondo lo
schema di turnazione settimanale di seguito indicata: 3° - 2° - 1°
Nella settimana a 4 giorni saranno fruiti 2 giorni consecutivi di riposo secondo il seguente schema:
- lunedì e martedì
ovvero
-mercoledì e giovedì
ovvero
-venerdì e sabato.
Preso atto delle richieste da parte delle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori, al fine di non effettuare il 18° turno al sabato notte, lo stesso viene anticipato
strutturalmente alla domenica notte precedente.
Pertanto il riposo settimanale domenicale avviene dalle ore 22 del sabato alle ore 22 della domenica.
Il 18° turno, cadente tra le ore 22.00 della domenica e le ore 6.00 del giorno successivo, sarà coperto con la retribuzione afferente la festività del 4 Novembre e/o con
una/due festività cadenti di domenica (sulla base del calendario annuo), con i permessi per i lavoratori operanti sul terzo turno maturati secondo le modalità previste
dall'accordo 27 Marzo 1993 (mezz'ora accantonata sul terzo turno per 16 turni notturni effettivamente lavorati pari a 8 ore) e con la fruizione di permessi annui
retribuiti (P.A.R. contrattuali) sino a concorrenza.
Le attività di manutenzione saranno invece svolte per 24 ore giornaliere nell'arco di 7 giorni la settimana per 21 turni settimanali. L'attività lavorativa degli addetti
(quadri, impiegati e operai), a regime ordinario, sarà articolata su 3 turni strutturali di 8 ore ciascuno, con la mezz'ora retribuita per la refezione nell'arco del turno di
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 06‐85.262.478 – fax 06‐85.262‐452 – Fim.comunicazione@cisl.it ‐ www.fim.cisl.it
lavoro a rotazione e con riposi individuali settimanali a scorrimento.
L'orario di lavoro giornaliero dei lavoratori addetti al turno centrale (quadri, impiegati e operai) va dalle ore 8.00 alle ore 17.00, con un'ora di intervallo non retribuito.
Per i quadri e gli impiegati addetti al turno centrale si conferma l'attuale sistema di flessibilità dell'orario di lavoro giornaliero (orario in entrata dalle ore 8 alle ore 9
calcolato a decorrere dal primo dodicesimo di ora utile).
2. LAVORO STRAORDINARIO
Per far fronte alle esigenze produttive di avviamenti, recuperi o punte di mercato, l'azienda potrà far ricorso a lavoro straordinario per 80 ore annue pro capite, senza
preventivo accordo sindacale, da effettuare a turni interi.
Nel caso dell'organizzazione dell'orario di lavoro sulla rotazione a 18 turni, il lavoro straordinario potrà essere effettuato a turni interi nel 18° turno, già coperto da
retribuzione secondo le modalità indicate al capitolo orario di lavoro, o nelle giornate di riposo.
L'Azienda comunicherà ai lavoratori, di norma con 4 giorni di anticipo, la necessità di ricorso al suddetto lavoro straordinario e terrà conto di esigenze personali entro
il limite del 20% con sostituzione tramite personale volontario.
Con accordo individuale tra azienda e lavoratore, l'attività lavorativa sul 18° turno potrà essere svolta a regime ordinario, con le maggiorazioni del lavoro notturno: in
tal caso non si darà corso alla copertura retributiva collettiva del 18° turno.
Il lavoro straordinario, nell'ambito delle 200 ore annue pro capite, potrà essere effettuato per esigenze produttive, tenuto conto del sistema articolato di pause
collettive nell'arco del turno, durante la mezz'ora di intervallo tra la fine dell'attività lavorativa di un turno e l'inizio dell'attività lavorativa del turno successivo. In questo
caso la comunicazione ai lavoratori del lavoro straordinario per esigenze produttive saranno effettuate con un preavviso minimo di 48 ore.
3. RAPPORTO DIRETTI-INDIRETTI
Con l'avvio della produzione della futura Panda e in relazione al programma formativo saranno riassegnate ai lavoratori le mansioni necessarie per assicurare un
corretto equilibrio tra operai diretti e indiretti, garantendo ai lavoratori la retribuzione e l'inquadramento precedentemente acquisiti, anche sulla base di quanto
previsto dall'art. 4, comma 11, Legge 223/91. Inoltre, a fronte di particolari fabbisogni organizzativi potrà essere richiesto ai lavoratori, compatibilmente con le loro
competenze professionali, la successiva assegnazione ad altre postazioni di lavoro.
4. BILANCIAMENTI PRODUTTIVI
La quantità di produzione prevista da effettuare per ogni turno, su ciascuna linea, e il corretto rapporto produzione/organico saranno assicurati mediante la gestione
della mobilità interna da area ad area nella prima ora del turno in relazione agli eventuali operai mancanti o, nell'arco del turno, per fronteggiare le perdite derivanti
da eventuali fermate tecniche e produttive.
5. ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
Per riportare il sistema produttivo dello stabilimento Giambattista Vico alle migliori condizioni degli standard internazionali di competitività, si opererà, da un lato, sulle
tecnologie e sul prodotto e, dall'altro lato, sul miglioramento dei livelli di prestazione lavorativa con le modalità previste dal sistema WCM e dal sistema Ergo-UAS.
Le soluzioni ergonomiche migliorative, derivanti dall'applicazione del sistema Ergo-UAS, permettono, sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento
continuo, un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo, nell'arco del turno di lavoro, che sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti
ciascuna.
Sui tratti di linea meccanizzata denominati "passo – passo", in cui l'avanzamento è determinato dai lavoratori mediante il cosiddetto "pulsante di consenso", le
soluzioni ergonomiche migliorative permettono un regime di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo o individuale a scorrimento sulla base delle
condizioni tecnico-organizzative, che sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti ciascuna.
Per tutti i restanti lavoratori diretti e collegati al ciclo produttivo le soluzioni ergonomiche migliorative permettono la conferma della pausa di 20 minuti, da fruire anche
in due pause di 10 minuti ciascuna in modo collettivo o individuale a scorrimento.
Con l'avvio del nuovo regime di pause, i 10 minuti di incremento della prestazione lavorativa nell'arco del turno, per gli addetti alle linee a trazione meccanizzata con
scocche in movimento continuo e per gli addetti alle linee "passo-passo" a trazione meccanizzata con "pulsante di consenso", saranno monetizzati in una voce
retributiva specifica denominata "indennità di prestazione collegata alla presenza".
L'importo forfetario, da corrispondere solo per le ore di effettiva prestazione lavorativa, con esclusione tra l'altro delle ore di inattività, della mezz'ora di mensa e delle
assenze la cui copertura retributiva è per legge e/o contratto parificata alla prestazione lavorativa, per tutti gli aventi diritto, in misura di 0,1813 euro lordi ora. Tale
importo è onnicomprensivo ed è escluso dal TFR, dal momento che, in sede di quantificazione, si è tenuto conto di ogni incidenza sugli istituti legali e/o contrattuali e
pertanto il suddetto importo forfetario orario è comprensivo di tutti gli istituti legali e/o contrattuali.
6. FORMAZIONE
E' previsto un importante investimento in formazione per preparare i lavoratori e metterli in condizioni di operare nella nuova realtà produttiva. Le attività formative si
svolgeranno contemporaneamente alla ristrutturazione degli impianti e saranno fortemente collegate alle logiche WCM. I corsi di formazione saranno tenuti con i
lavoratori in cigs e le Parti convengono fin d'ora che la frequenza ai corsi sarà obbligatoria per i lavoratori interessati. Il rifiuto immotivato alla partecipazione nonché
l'ingiustificata mancata frequenza ai corsi, oltre a dar luogo alle conseguenze di legge, costituirà a ogni effetto comportamento disciplinarmente perseguibile.
Non sarà richiesto a carico Azienda alcuna integrazione o sostegno al reddito, sotto qualsiasi forma diretta o indiretta, per i lavoratori in cigs che partecipino ai corsi
di formazione.
7. RECUPERI PRODUTTIVI
Le perdite della produzione non effettuata per causa di forza maggiore o a seguito di interruzione delle forniture potranno essere recuperate collettivamente, a
regime ordinario, entro i sei mesi successivi, oltre che nella mezz'ora di intervallo fra i turni, nel 18° turno (salvaguardando la copertura retributiva collettiva) o nei
giorni di riposo individuale.
8. ASSENTEISMO
Per contrastare forme anomale di assenteismo che si verifichino in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche, quali in via
esemplificativa ma non esaustiva, astensioni collettive dal lavoro, manifestazioni esterne, messa in libertà per cause di forza maggiore o per mancanza di forniture,
nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia significativamente superiore alla media, viene individuata quale modalità efficace la non copertura retributiva a
carico dell'azienda dei periodi di malattia correlati al periodo dell'evento. A tale proposito l'Azienda è disponibile a costituire una commissione paritetica, formata da
un componente della RSU per ciascuna delle organizzazioni sindacali interessate e da responsabili aziendali,per esaminare i casi di particolare criticità a cui non
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applicare quanto sopra previsto.
Considerato l'elevato livello di assenteismo che si è in passato verificato nello stabilimento in concomitanza con le tornate elettorali politiche, amministrative e
referendum, tale da compromettere la normale effettuazione dell'attività produttiva, lo stabilimento potrà essere chiuso per il tempo necessario e la copertura
retributiva sarà effettuata con il ricorso a istituti retributivi collettivi (PAR residui e/o ferie) e l'eventuale recupero della produzione sarà effettuato senza oneri
aggiuntivi a carico dell'azienda e secondo le modalità definite.
Il riconoscimento dei riposi/pagamenti, di cui alla normativa vigente in materia elettorale, sarà effettuato, in tale fattispecie, esclusivamente nei confronti dei
presidenti, dei segretari e degli scrutatori di seggio regolarmente nominati e dietro presentazione di regolare certificazione.
Saranno altresì individuate, a livello di stabilimento, le modalità per un'equilibrata gestione dei permessi retribuiti di legge e/o contratto nell'arco della settimana
lavorativa.
9. CIGS
Il radicale intervento di ristrutturazione dello stabilimento Giambattista Vico per predisporre gli impianti alla produzione della futura Panda presuppone il
riconoscimento, per tutto il periodo del piano di ristrutturazione, della cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione per due anni dall'avvio degli
investimenti, previo esperimento delle procedure di legge.
In considerazione degli articolati interventi impiantistici e formativi previsti nonché della necessità di mantenimento dei normali livelli di efficienza nelle attività
previste, non potranno essere adottati meccanismi di rotazione tra i lavoratori, non sussistendone le condizioni.
10. ABOLIZIONE VOCI RETRIBUTIVE
A partire dal 1° gennaio 2011 sono abolite le seguenti voci retributive, di cui all'accordo del 4 maggio 1987 Parte III (Armonizzazione normativa e retributiva):
-paghe di posto
-indennità disagio linea
-premio mansione e premi speciali.
Le suddette voci, per i lavoratori per i quali siano considerate parte della retribuzione di riferimento nel mese di dicembre 2010, saranno accorpate nella voce
"superminimo individuale non assorbibile" a far data dal 1° gennaio 2011 secondo importi forfettari.
11. MAGGIORAZIONI LAVORO STRAORDINARIO, NOTTURNO E FESTIVO
Sono confermate le attuali maggiorazioni comprensive dell'incidenza sugli istituti legali e contrattuali.
12. POLO LOGISTICO NOLA
E' confermata la missione del polo logistico della sede di Nola.
Eventuali future esigenze di organico potranno essere soddisfatte con il trasferimento di personale dalla sede di Pomigliano d'Arco.
13. CLAUSOLA DI RESPONSABILITA'
Tutti i punti di questo documento costituiscono un insieme integrato, sicché tutte le sue clausole sono correlate ed inscindibili tra loro, con la conseguenza che il
mancato rispetto degli impegni eventualmente assunti dalle Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU ovvero comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni
concordate per la realizzazione del Piano e i conseguenti diritti o l'esercizio dei poteri riconosciuti all'Azienda dal presente accordo, posti in essere dalle
Organizzazioni Sindacali e/o dalla RSU, anche a livello di singoli componenti, libera l'Azienda dagli obblighi derivanti dalla eventuale intesa nonché da quelli derivanti
dal CCNL Metalmeccanici in materia di:
-contributi sindacali
-permessi sindacali retribuiti di 24 ore al trimestre per i componenti degli organi direttivi nazionali e provinciali delle Organizzazioni Sindacali
ed esonera l'Azienda dal riconoscimento e conseguente applicazione delle condizioni di miglior favore rispetto al CCNL Metalmeccanici contenute negli accordi
aziendali in materia di:
-permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dalla legge 300/70 per i componenti della RSU
-riconoscimento della figura di esperto sindacale e relativi permessi sindacali.
Inoltre comportamenti, individuali e/o collettivi, dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le presenti clausole ovvero a rendere
inesigibili i diritti o l'esercizio dei poteri riconosciuti da esso all'Azienda, facendo venir meno l'interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale ed
inficiando lo spirito che lo anima, producono per l'Azienda gli stessi effetti liberatori di quanto indicato alla precedente parte del presente punto.
14. CLAUSOLE INTEGRATIVE DEL CONTRATTO INDIVIDUALE DI LAVORO
Le clausole indicate integrano la regolamentazione dei contratti individuali di lavoro al cui interno sono da considerarsi correlate ed inscindibili, sicché la violazione
da parte del singolo lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi, secondo gradualità, degli articoli contrattuali relativi ai
provvedimenti disciplinari conservativi e ai licenziamenti per mancanze e comporta il venir meno dell'efficacia nei suoi confronti delle altre clausole.
La lettera ai dipendenti del direttore dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco
Gentile collega,
Il giorno 8 giugno 2010 la nostra Azienda ha avuto un ulteriore incontro con le Organizzazioni Sindacali nel tentativo di condividere l'unica strada percorribile per
salvare il nostro stabilimento.
Nella mia precedente lettera Le avevo illustrato quanto fosse importante per il futuro dello stabilimento, delle nostre famiglie e dell'intera regione, l'avvio in tempi
rapidi delle nuove produzioni ("futura Panda"), a patto che venissero realizzate secondo le migliori pratiche industriali, nel rispetto della sicurezza e salute dei
lavoratori e dei migliori standard di efficienza e qualità.
Oggi chiedo ancora un po' del Suo tempo, per spiegarLe che cosa dobbiamo fare per mettere in salvo il nostro stabilimento e il nostro futuro.
I punti che di seguito Le illustro sono quelli che faranno diventare competitiva la nostra fabbrica nei confronti dei nostri concorrenti nel mondo e gli unici che ci
permetteranno di superare il lungo periodo di Cassa Integrazione Guadagni che sta fortemente condizionando la nostra vita sociale e familiare.
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Ci viene offerta l'occasione di riprendere a lavorare. Cogliere questa opportunità ci consentirà di avere prospettive per il futuro e di tornare a livelli retributivi non
decurtati dal ricorso alla CIG, ma, anzi, incrementati di circa 3.000 euro lordi annui come effetto del lavoro sui tre turni.
Se vogliamo che la futura Panda venga affidata al nostro stabilimento G. Vico di Pomigliano d'Arco dobbiamo tutti condividere questa scelta ed esserne parte attiva.
Occorre andare avanti e non c'è più tempo per tentennamenti. Le richieste dell'azienda non sono nulla di straordinario: molti dei punti che Le illustrerò sono già una
realtà operativa presso altri stabilimenti del nostro Gruppo e comunque le ore di lavoro individuale (nella settimana o nella media plurisettimanale) restano 40.
Resto a Sua disposizione per qualsiasi chiarimento relativo ai punti esposti nell'allegato, che Le chiedo di leggere con estrema attenzione: la Sua condivisione è
fondamentale e non può che nascere da una conoscenza chiara dei fatti.
Sebastiano Garofalo