martedì 25 febbraio 2020

Recensione: Lotta per la sopravvivenza. La guerra della Cina contro il Giappone 1937-1945


"Lotta per la sopravvivenza. La guerra della Cina contro il Giappone 1937-1945”, titolo originale: "China’s War with Japan 1937-1945. The Struggle for Survival”, di Rana Mitter, traduzione Piero Arlorio e Santina Mobiglia, editore Giulio Einaudi, ISBN 978-88-06-24240-4.

Attraverso una ricostruzione minuziosa degli eventi che partono dal 1937 (ma riassumendo anche la situazione ereditata dal decennio precedente) fino al 1945, l’Autore ci ricorda il grande impegno profuso dal popolo cinese al successo degli alleati nella Seconda Guerra mondiale.

Spesso ci si scorda, infatti, che la Cina assorbì per oltre un decennio una parte rilevantissima delle risorse dell’esercito imperiale giapponese resistendo fra mille difficoltà a forze agguerrite e soverchianti, pagando un costo umano, materiale, sociale e politico che pochi altri Paesi hanno sostenuto e fornendo allo stesso tempo contingenti che dettero un contributo rilevante al contenimento delle forze nipponiche anche in altri fronti del conflitto (es. Birmania ed India).  

Mentalmente, molti occidentali fanno risalire il coinvolgimento dell’Asia nella Seconda Guerra Mondiale al 7 dicembre 1941, data dell’attacco giapponese alla base navale americana di Pearl Harbor. A questo fatto bellico seguì, effettivamente, l’iniziale dilagante iniziativa delle forze aereo-navali giapponesi nei confronti dei territori controllati dalle potenze coloniali occidentali (Indonesia, Birmania e Singapore, Filippine, ecc.).

Ma si dimentica spesso invece che la guerra in Asia era già divampata da molti anni e andava avanti, senza risparmio di mezzi e risorse umane fra Cina e Giappone ufficialmente fin dal febbraio del 1937 a seguito dell’incidente del “Ponte di Marco Polo”, ma se vogliamo, da ben prima se si tiene conto degli scontri sino-giapponesi legati all'occupazione della Manciuria e di Shangai (settembre 1931 – febbraio 1932).

La Cina, in forte trasformazione politica e sociale dopo la caduta dell’impero avvenuta fra il 1911 e il 1912 non aveva ancora trovato un assetto stabile nonostante i tentativi del Kuomintang (il partito nazionalista cinese) guidato, a partire dal 1925 da Chiang Kai-shek, di domare sia la crescente influenza del partito comunista cinese (fondato nel 1921) sia le tendenze centrifughe dei cosiddetti “Signori della guerra”.

Di questo lungo periodo di crisi politica approfittò il Giappone, progressivamente caratterizzato anch'esso da un’involuzione di tipo nazionalista, che portò avanti una politica estera sempre più aggressiva e arrogante nei confronti della nazione vicina.

Da questa situazione trasse origine una lunga e devastante guerra d’attrito che durò fino al termine della guerra mondiale e che letteralmente logorò e lacerò in profondità la società cinese gettando il Paese nel caos e radicandone le contrapposizioni che poi sarebbero riemerse nel dopo guerra durante la guerra civile che sancì la vittoria comunista.

Interessante notare i tanti rilievi dell’Autore che ricostruiscono e stigmatizzano gli effetti della politica poco lungimirante delle potenze alleate nei confronti della Cina, i cui effetti possono essere considerati come minimo fra le rilevanti concause per spiegare l’ascesa del partito comunista cinese e la conseguenza “Perdita della Cina”, sindrome che tanto influenzò la politica americana del dopo guerra e che ebbe non poca influenza nel coinvolgimento della super potenza prima in Corea e poi in Vietnam.

Un gran bel libro che rende giustizia al ruolo svolto da un grande Paese e verso il quale appare giusto sentirsi debitori.