martedì 29 agosto 2017

Recensione: Il terra d’Africa – Gli italiani che colonizzarono l’impero

“Il terra d’Africa – Gli italiani che colonizzarono l’impero”, di Emanuele Ertola, edizioni Laterza, ISBN 978-88-581-2767-4.

Il saggio racconta efficacemente sulla base di dati, documenti e testimonianze la colonizzazione italiana dell’Etiopia; fenomeno effimero, ma di una certa consistenza numerica che si colloca fra il 1936 e la prima metà degli anni quaranta del novecento, termine che ne vide la forzata cessazione a seguito della disfatta italiana in Africa Orientale avvenuta a seguito delle vicende legate alla Seconda Guerra mondiale.

L’Autore tratteggia con efficacia le varie figure del migrante, inizialmente legate più alla professione militare e ai lavoratori coinvolti nella logistica bellica, poi più legati al settore amministrativo, al commercio e alla ristorazione, oppure al trasporto.

Nei sogni del regime l’impero era destinato a dare sfogo alla domanda di lavoro e all’emigrazione e, pertanto, le colonie erano soprattutto viste in funzione di territori di insediamento. I territori italiani d’oltremare non si dimostrarono però mai all’altezza delle aspettative che la classe politica e, soprattutto i migranti, avevano verso di essi, ed anche il territorio etiope non fece eccezione; dopo un boom economico iniziale legato allo sforzo bellico di conquista che arricchì pochi speculatori, l’economia finì per assumere un ritmo pressoché stagnante che spesso deluse coloro che si erano lasciati la patria alle spalle in cerca di fortuna.


Tipica storia italiana!

venerdì 25 agosto 2017

Recensione: Il Disertore

“Il Disertore”, titolo originale: “Der Überläufer”, di Siegfried Lenz, Riccardo Cravero, edizioni Neri Pozza, ISBN 978-88-545-1385-3.

Il romanzo, scritto nell’immediato dopoguerra, fu rifiutato dall’editore e venne pubblicato postumo dopo più di sessant’anni.
Evidentemente, a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale esso toccava temi ancora troppo sentiti dal pubblico; la storia è infatti incentrata sulla storia di Walter Proska, un soldato della Wehrmach che, nelle ultime fasi del conflitto finisce per disertare unendosi all’esercito sovietico che progressivamente avanza da Est.
Curioso il fatto che la vicenda rivesta anche un aspetto autobiografico perché, non solo l’Autore disertò anch’egli (ma più saggiamente, fuggì in Danimarca e non in Russia!); ma entrambi i personaggi, quello reale e quello immaginario, finirono per collaborare attivamente con gli ex nemici, il primo in veste di interprete, il secondo lavorando per l’ufficio di propaganda politica durante il conflitto e nella fase immediatamente successiva ad esso con lo scopo di consolidare il nuovo potere regime comunista nei territori appena “liberati”.

A distanza di più di mezzo secolo da tutti questi fatti, trovo personalmente che il racconto non desti né particolare interesse, né particolare scalpore. La situazione e i personaggi, è vero, suscitano una certa curiosità, lo stile è scorrevole e l’ambientazione è nel contempo sia vagamente surreale (per noi) quanto realistica, ma alla fine non mi è rimasto nulla di più!


giovedì 24 agosto 2017

Terremoti, chiacchiere e piagnistei nel Paese dei bla-bla

Ogni volta che in Italia si registra un terremoto, una frana, un’alluvione e si fa il conto delle vittime è sempre la stessa solfa; dopo (ma anche durante!) il tragico conto dei morti, per lo più evitabili, si parla di abusivismo, della cattiva qualità delle costruzioni ed anche, vista la nostra storia, della loro vetustà ed inadeguatezza degli edifici … Si parla, parla, parla e non si fa nulla! Per agire infatti bisognerebbe anche decidere chi paga il conto! E questo, ovviamente non lo vuole fare nessuno.

Evidentemente, se da noi le case crollano come la capanna di paglia dei tre porcellini al primo sospiro del lupo cattivo, per eventi sismici che in Paesi civili a stento farebbero muovere le persone dai propri letti e dalle proprie scrivanie, bisognerebbe riconoscere che abbiamo parecchio lavoro da fare per adeguare a standard di sicurezza degni del terzo millennio il nostro patrimonio immobiliare.

Tanto per dirne una, ad esempio, colpisce il fatto che in qualsiasi transazione immobiliare, o in caso di locazione, venga imposto di dimostrare l’adeguatezza dell’impianto elettrico, si espone il livello di certificazione termica … ma della stabilità dell’edificio e dell’idoneità della sua collocazione in rispetto al rischio idrogeologico dell’area di edificazione, proprio non gliene frega nulla a nessuno! Possibile che non esista un certificato di questo genere che inchiodi alle loro responsabilità gli enti locali di competenza? A nessuno viene in mente che a comprarsi o a affittarsi una baita fatiscente in Valle di Susa poi questa ti potrebbe cadere in testa al primo soffio di vento?

Intanto, per venire a capo del problema bisognerebbe cominciare a prendere atto che, se proprio non vogliamo essere ciechi, le autorità locali sono da sempre “naturalmente” colluse e spesso direttamente responsabili degli abusi compiuti e delle carenze costruttive riscontrabili in un certo territorio.
Direi quasi che la carriera del sindaco/geometra/costruttore sia il pedegree scontato e ideale del politico locale che si trova, ovviamente catapultato in un contesto economico e sociale che lo vede in continuo conflitto di interessi fra le esigenze nazionali di ordine e disciplina del territorio e gli appetiti suoi e dei propri concittadini. È il semplice buonsenso quindi che imporrebbe che tale autorità debba venire esautorata sia dai compiti di stima del patrimonio edilizio ai fini della determinazione delle imposte patrimoniali, sia di certificazione di idoneità dei progetti edilizi, sia alle verifiche degli abusi commessi. Detto in altre parole, il sindaco/geometra/costruttore progetti e edifichi pure, poi però, il controllo del progetto deve venire fatto da un ente “superiore” che non abbia legami ed interessi diretti con il territorio, mentre il controllo degli abusi dovrebbe essere svolto da personale itinerante di un ente centralizzato.

Per quanto riguarda la messa a norma di quanto c’è di esistente, sul piano delle competenze dovrebbero valere le medesime regole; dovrebbe essere qualche “sceriffo” di fuori che deve definire cosa si debba abbattere e cosa si possa adeguare, in modo che gli interventi chirurgici vengano definiti da qualcuno che, si lasci alle spalle il territorio e tutto il carico di inevitabili rancori che l’opera di bonifica avrà necessariamente fatto insorgere.

Per quanto riguarda i costi dell’intervento … qui giunge la nota veramente dolente. Secondo il mio parere, il costo delle demolizioni deve accollarsele in maniera prevalente la comunità locale (dunque pagano i comuni che sanano il debito imponendo tributi ai cittadini) perché essa è stata collettivamente responsabile per gli abusi. Riguardo alle opere di adeguamento (per ciò che non va demolito) bisognerebbe ripartire gli oneri attraverso meccanismi che impongano ai proprietari di sopportare la maggior parte del costo fornendo però meccanismi compensativi di detrazione fiscale e prestiti a tassi nulli e/o agevolati. In ogni caso, chi non effettua gli adeguamenti entro un certo “ragionevole” lasso di tempo deve venire spossessato delle proprietà immobiliari incriminate.

… e per gli inevitabili malumori e disordini, con tanto di sindaco, prete e madri piangenti e incatenate in prima fila?
Una solida cura a base di manganello potrebbe essere una buona soluzione 😊!


venerdì 11 agosto 2017

Recensione: Tristi tropici

“Tristi Tropici”, titolo originale: “Tristes tropiques”, di Claude Lévi-Strauss, traduzione di Bianca Garufi, edizioni il Saggiatore, ISBN 978-884282160-1.

Un libro “strano”; in parte saggio di antropologia, in parte diario di viaggio e autobiografia inframezzata di riflessioni filosofiche sul proprio ruolo e sulle proprie motivazioni, sulla figura dello studioso e, più in generale, sui limiti e sulle caratteristiche delle società umane.

L’opera descrive principalmente l’esperienza di ricerca sul campo svolta in Brasile nel corso degli anni trenta del novecento, anche se spesso emergono paragoni con delle ricerche successive svolte principalmente lungo la fascia tropicale asiatica. Le osservazioni dell’Autore non si limitano al solo studio delle popolazioni ancora “non civilizzate” con le quali egli entra in contatto, ma si estende a tutto l’ambiente “di frontiera” che, letteralmente punteggia l’entroterra brasiliano e che, mano a mano che ci si allontana dalle città principali e dai centri di più antico insediamento coloniale tende a creare una specie di società intermedia del sertão (boscaglia) o della foresta pluviale che sfuma dal  modello classico proposto dalla civiltà occidentale per contrapporsi, avvicinarsi, contaminarsi e integrarsi con quello indigeno.

Perché però questi tropici sarebbero “Tristi”, un po’ in contraddizione con il nostro immaginario collettivo? Devo ammettere di non averlo capito in pieno, certo però che l’occhio attentamente indagatore dell’Autore, accompagnato alle sue profonde riflessioni ci portano a comprendere non solo molte delle contraddizioni e storture della nostra civiltà, ma nulla viene neanche risparmiato a quelle indigene che vengono descritte in tutta la loro asprezza e, letteralmente “senza veli”.
Il clima che emerge è, in un certo senso malinconico, da qui forse si spiega il titolo dell’opera!

Non bisogna pensare però che il libro sia in qualche modo noioso o poco interessante, al contrario, esso stimola la curiosità per l’esotico e per l’ignoto, che viene però collocato in una corretta, seppur tagliente dimensione terrena priva di quella carica ideale che spesso la mistifica.