sabato 5 dicembre 2020

Recensione: Gli albanesi

"Gli albanesi”; titolo originale “Die Albaner, Eine Geshicthe zwischen Orient und Okzident”, di Oliver Jens Schmit, traduzione di Enzo Morandi, editrice Il Mulino, ISBN 978-88-15-28652-9.

Il titolo originale dell’opera: “Die Albaner, Eine Geshicthe zwischen Orient und Okzident” (“Gli albanesi, una storia fra Oriente e Occidente”) forse rappresenta meglio le caratteristiche del saggio e di questo popolo vicino all'Italia e agli italiani ma che rimane un po’ “misterioso” nonostante la presenza fin da tempi antichissimi di insediamenti albanesi entro il territorio della nostra penisola, soprattutto in Puglia, all'interno della Calabria e a Venezia e risalenti alla prima diaspora seguita all'invasione turca (fine del XIV secolo).

Si tratta di un libro non certo impegnativo (circa duecento pagine) che permette di tracciare solo le caratteristiche generali dei nostri vicini, ma risulta comunque sufficiente a presentare la loro storia per sommi capi.

Il saggio riprende gli aspetti centrali che riassumono il dibattito che si è sviluppato intorno a questa popolazione, la cui origine etnica risulta tutt'oggi difficile da definire anche a causa del fatto che le ricerche sono state spesso fortemente influenzate anche da aspetti legati alla politica e alla propaganda del XX e del XXI secolo, visto che, almeno parte della loro area di stanziamento è stata caratterizzata nel tempo da aspri conflitti etnici (es. Kosovo e Macedonia del Nord) spesso giustificati da un ricorso più o meno artificioso alle cosiddette “radici” storiche dei contendenti.

Nella definizione attuale, comunque, rientrano fra gli i popoli albanesi tutti coloro che parlano e pronunciano la lingua albanese che, costituisce un ramo a parte della famiglia delle lingue indeuropee.

Da sempre, l’attuale Albania ha sempre registrato differenze far la zona costiera, molto più permeabili agli influssi esterni, da quelle dell’interno, soprattutto le aree montane, più orientate alla conservazione degli aspetti più tradizionali della cultura albanese, quali ad esempio quelli derivanti dall'applicazione delle regole consuetudinarie tramandate oralmente poi trascritte in un codice (Leggi del Kanun); questo insieme di norme spesso vengono citate non solo come una curiosità culturale ed etnica ma anche per spiegare le resistenze e difficoltà incontrate, anche nel recente passato, nella costruzione di un efficiente stato centralizzato.

venerdì 16 ottobre 2020

Coronavirus: Non chiudiamo le scuole!

 … o meglio, facciamolo solo come ultima risorsa e dopo aver chiuso tutto il resto.

In molte regioni si parla di chiudere le scuole e di ricominciare a tenere le lezioni in remoto. Io penso che questo sarebbe veramente una misura da sconsigliarsi e da prendere come “extrema ratio” e solo dopo che sia stato sigillato “tutto il resto” (e ben sappiamo che impatto avrebbe sull’economia una situazione di questo genere!).

Se il problema è la congestione dei mezzi pubblici ci sono infatti anche altre possibili (e magari estreme) soluzioni che si possono provare a mettere in atto; ad esempio cercare di modificare gli orari di lavoro e/o di entrata/uscita da scuola, incentivare o anche imporre diversi tipi di mobilità (chi può vada a piedi, ad esempio!), cominciare a imporre lo smart working a tutti quelli che lo possono praticare, introdurre orari fissi per classi di età e stato occupazionale per l’accesso a certi negozi ed esercizi (ad esempio per i pensionati riguardo ai supermarket!) ... e persino per uscire di casa, se necessario, ecc.

La scuola però dovrebbe essere l’ambiente che, principalmente si dovrebbe cercare di salvaguardare, anche solo per il fatto che da essa dipende il nostro futuro.

... tra l’altro, sembrerebbe che non sia la scuola il principale veicolo di diffusione del virus!

Quindi cerchiamo di mantenere i nervi saldi e pensare al futuro delle nuove generazioni... una volta tanto!

lunedì 28 settembre 2020

Assassini solo presunti, ma evasori quasi certi! Fisco e italiani, un'istantanea del Paese dalla vicenda dei Bianchi.

Oggi leggendo i quotidiani non so se ridere piangere; fra le tante notizie salta fuori la storia che il padre dei fratelli Bianchi, i presunti assassini di Colleferro, ha presumibilmente truffato l’INPS richiedendo il reddito di cittadinanza; da un’”indagine” della Sette spunta una villa non proprio modesta, macchinoni e cagnacci da guardia ... il tipico ritratto di un “poveraccio” che ben si accorda con l’immagine dei figli, anch'essi avvezzi ai macchinoni e, pare, alla bella vita.

Tutto ciò non mi stupisce, ad essere vagamente "lombrosiani" e guardando le fotografie, c'è quasi da scommettere che magari spunterà anche qualche rapporto trasversale o diretto con la malavita ... quello che mi sorprende però sono le seguenti cose:

1)     Ma come? Nessuno fa controlli prima di concedere il reddito di cittadinanza?

2)     In secondo luogo, viene da dire “meglio tardi che mai”, ma suona un po’ strano che ci voglia un omicidio per far emergere anche una serie di casi lampanti di evasione fiscale! Ad esempio, possibile che questi signori non pagassero l’IMU, la TASI, o anche semplicemente la TARI?

La villa è accatastata come “fabbricato rurale”? ... o è intestata alla nonna? E le auto? Comincio a spiegarmi come mai metà degli italiani che, ufficialmente svolgono un’attività lavorativa NON paghino imposte o, alla peggio se la cavino solo con qualche euro di imposte sui redditi (come Trump, per altro! Ma questi sono problemi degli americani!)... altroché Paese tartassato!

... detto in altre parole, come minimo dovrebbe essere commissariato l’intero ufficio imposte del Comune, se non altro, per lampante incompetenza!

...  Personalmente poi, riguarderei con un po’ di attenzione il catasto dell’intero comune! Visto che, immagino, qualche soldo da "Roma" (a spese nostre) arriverà anche laggiù!

Infine, consiglierei poi all’INPS, non solo di porre maggior attenzione ai propri aumenti salariali (se non altro per motivi di immagine!) ma di fare qualche controllo incrociato prima di concedere il reddito di cittadinanza.

lunedì 14 settembre 2020

Recensione: La Seconda Guerra Mondiale – Come è stato combattuto e vinto il primo conflitto globale

 "La Seconda Guerra Mondiale – Come è stato combattuto e vinto il primo conflitto globale”; titolo originale “The Second World Wars”, di Victor Davis Hanson, traduzione di Aldo Piccato e Gabriella Tonoli, editore Mondadori, ISBN 978-88-04-71430-9.

L’aspetto più interessante di questo Saggio è che non ha il taglio classico incentrato sulla descrizione cronologica degli eventi bellici.

Al contrario, l’opera è suddivisa in macro capitoli dove si cercano di raggruppare i fattori umani, tecnologici, fisici e geografici che, a detta dell’Autore, finirono per dimostrarsi determinanti per la definizione dell’esito del conflitto.

Riporto qui di seguito l’indice di queste macro ambiti, perché è proprio scorrendo questa lista che, personalmente, ho deciso di acquistare l’ennesimo libro su di un argomento già assai sviscerato:

  •            Idee
  •           Aria. Dove si tratta della potenza aerea.
  •          Acqua. Dove si tratta della potenza navale.
  •          Terra. Dove si tratta degli eserciti in campo.
  •          Fuoco. Dove si tratta di carri armati e artiglieria.
  •        Uomini e Persone. Dove si parla del fattore umano, partendo dalla leadership, ma senza trascurare “l’uomo comune”.

Il libro non mi ha deluso, anzi, proprio il suo taglio particolare ha contribuito a rendere piacevole una lettura che, rischiava di coprire argomenti scontati,

Mi rimane il dubbio però che alcuni giudizi siano eccessivamente guidati dal cosiddetto “senno del poi”; in particolare, l’Autore sembra voler dimostrare che, in qualche modo, la vittoria degli Alleati sulle forze dell'Asse fosse sostanzialmente scontata... Io non penso che coloro che furono contemporanei a quei fatti avessero della stessa scientifica e granitica convinzione.

venerdì 11 settembre 2020

Recensione: L’ordine degli assassini – La lotta dei primi Ismailiti Nizariti contro il mondo islamico

 "L’ordine degli assassini – La lotta dei primi Ismailiti Nizariti contro il mondo islamico”, titolo originale: “The Order of Assassins”, di Marshall G.S. Hodgson, traduzione di Svevo D’Onofrio, editore Adelphi, ISBN 978-88-459-3430-8.

 Il saggio parla della genesi degli Nizariti, gli attuali seguaci dell’Aga Khan, principale setta degli ismailiti che, a loro volta, appartengono alla corrente dello sciismo islamico.

I Nizariti, furono particolarmente attivi e temuti fra l’XI e il XIV secolo dai contemporanei e, in particolare, dai musulmani sunniti, sulla base del loro programma rivoluzionario che, si rivolgeva principalmente contro questi ultimi.

La loro politica fu spesso attuata attraverso l’espansione territoriale imperniata sul controllo di fortezze ubicate in luoghi remoti e/o strategici ubicati principalmente in Persia e Siria, ma anche perpetuando minacce personali e omicidi mirati. Proprio da questa loro propensione essi finirono per essere avvolti da un alone di mistero e leggende nere, finendo per essere etichettati come “L’ordine degli assassini”; mentre lo stesso termine “Assassino” sembra proprio derivare ad una delle etichette affibbiate ai Nizariti.

 La fine della loro potenza politica viene fatta coincidere con la consegna e distruzione di Alamūt, la più poderosa fra le loro fortezze, avvenuta nel 1256 a seguito dell’espansione dei mongoli.

L’Autore del saggio inquadra molto bene la genesi, l’evoluzione e le caratteristiche di quella che può essere definita una delle tante sette eretiche che si separarono nel tempo dal sunnismo e, allo stesso tempo, svela molte delle inesattezze storiche, dei pregiudizi e del folklore che, da sempre circolavano intorno ad essa e che hanno contribuito a crearne la leggenda nera.

Il Saggio è molto interessante e, contribuisce a spiegare a chi non ha dimestichezza con la cultura islamica quanto essa fosse variegata e ramificata e come, un po’ come è avvenuto per il cristianesimo, la religione maomettana fosse tutt’altro che monolitica ma anzi, frammentata in una pluralità di interpretazioni e sette più o meno da considerarsi eretiche sulla base dell’ortodossia sunnita di base.

Per il lettore non specialista però, il testo ha, a mio avviso un grosso difetto; manca di un glossario in coda al libro che permetta al lettore di ripassare continuamente il significato dei termini islamici usati nell’opera.

Questa mancanza è dovuta, penso, al fatto che il testo nasca come una rielaborazione di una tesi universitaria, dunque da uno studio discusso fra specialisti che, evidentemente, non avevano problemi a capire il significato dei tanti termini specifici utilizzati.

Personalmente, invece, io mi sono trovato in difficoltà a memorizzare le spiegazioni dei termini specifici che, magari, venivano fatte solo una volta nel corso dell’intera opera. In questo caso, anche le ricerche in rete, spesso non mi hanno aiutato dato che è difficile rendere le diverse traslitterazioni dei termini utilizzati (... però si finisce per piombare in una serie di siti “interessanti” ... anche se spesso incomprensibili 😊!).

 Questo sarebbe un problema facilmente risolvibile per eventuali riedizioni dell’opera.

mercoledì 9 settembre 2020

Arti marziali e MMA, le fabbriche dei killer?

 Con l’omicidio di Artena è ripresa la polemica verso l’MMA e le arti marziali; generale l’accusa di fomentare la violenza.

Chi come me pratica questi sport e, in passato, l’ha anche fatto intensamente, sa che l’accusa è infondata. Per altro, avevo già affrontato questo tema commentando "L’educazione di un fascista”, di Paolo Berizzi, editore Feltrinelli, ISBN 978-88-07-17372-1.

Le arti marziali sono principalmente una via per conquistare la sicurezza di sé, ciò avviene sia sottoponendosi ad un duro allenamento, sia, inutile negarlo, attraverso il confronto, spesso anche cruento, con altri nostri sodali; contrapposizione che però, è solo momentanea, dura lo spazio di uno scontro e viene effettuata in un contesto sportivo di regole condivise.

Più comune del disprezzo, è il rispetto e il senso di appartenenza e fratellanza con l’avversario; noi siamo sul ring, sul tatami o nella gabbia e, siamo dei pari e semmai, sono molti di quelli fuori che sono preda dell’eccitazione e, se vogliamo, della voglia di vivere di violenza riflessa... sportivi da poltrona!

L’educazione marziale può sicuramente creare dei violenti, questo è innegabile. Ma questi soggetti sono una minoranza e, i loro difetti, la loro propensione, la loro profonda ignoranza, erano già presenti prima che si avvicinassero al dojo, erano parte della loro natura era nella loro storia. L’eventuale colpa dei maestri è quella di non avere individuato per tempo e domato queste distorsioni e, nel caso fosse stato necessario, di non aver allontanato questi soggetti prima che potessero sfruttare questo percorso per nuocere di più.

Si dimentica però che l’esito normale di questa pratica sportiva ed educativa non sia la creazione di potenziali killer smaniosi di menare le mani, ben più spesso né si esce rafforzati nel fisico, nel morale e nella consapevolezza di sé; uomini forti ma pacifici, duri ma mansueti, proni al difendere ben più che all'aggredire.

Il “DŌ”, il kanji che spesso è presente nei suffissi delle discipline marziali indica la “via”, il “percorso”, è lì per fissare un obiettivo, lo scopo di creare uomini liberi e “giusti” ... poi si può anche fallire.


giovedì 27 agosto 2020

IL TURCO ALLE PORTE!

Al di là dei timori atavici che fanno un po’ sorridere, bisognerebbe cominciare a prendere atto che la politica del presidente turco Erdogan stia creando e alimentando non poche aree di tensione nel bacino del Mediterraneo e, almeno in potenza, rischia di compromettere la già non proprio esaltante immagine dell’Italia nei confronti di partner storici e alleati.

L’elenco delle interferenze del “Sultano” è ormai numeroso, basti pensare all'interventismo militare in Siria e Libia, all'escalation con la Grecia (legata al tema della sfera di controllo economico sul Mediterraneo orientale), al rinnovato protagonismo nei Balcani e su Cipro incentrato su un doppio binario di offerte di collaborazione, interferenze e minacce.

Tutto ciò, senza dimenticare il crescente autoritarismo che fa registrare la politica interna della  Turchia.

Non è che l’Italia dovrebbe ricominciare a fare un po’ di politica estera?    

lunedì 24 agosto 2020

Recensione: M – Il Figlio del Secolo

"M – Il Figlio del Secolo”, di Antonio Scurati, editore Bompiani, 978-88-452-9813-4.

 Libro bellissimo che ci restituisce un pezzo cruciale della nostra storia patria calandoci in un clima emotivo che, finalmente, ci permette di comprenderla in pieno.

Sì, perché tutti conosciamo il contesto drammatico del periodo immediatamente successivo alla Grande Guerra; la crisi economica europea, la disgregazione politica di imperi vecchi di centinaia di anni, la marea montante del comunismo e del nazionalismo. In Italia a tutto ciò si aggiunge l’insoddisfazione dei reduci, la sindrome della “vittoria mutilata”, le tensioni esplosive maturate durante il “Biennio Rosso”, l’occupazione delle fabbriche, le rivendicazioni operaie e delle popolazioni rurali... Ci sono anche noti i personaggi principali di questa storia, le loro azioni, le loro responsabilità ed anche le conseguenze; Il protagonista, innanzitutto, Benito Mussolini, per sua natura doppio, luciferino ma anche straordinariamente umano e, proprio per questo, carismatico, tenace e, in ultima analisi, vincente; Giacomo Matteotti, l’eroe impotente, caduto e sacrificato, al quale è intitolata giustamente una via o un corso in ogni nostra città. ... Abbiamo anche appreso le stravaganze e le azioni clamorose di D’Annunzio, le indecisioni del ministro Facta, le astuzie consumate ma ormai datate di Giolitti, la debolezza del sovrano Vittorio Emanuele III°, lo smarrimento della classe politica liberale, la resa dei cattolici, l’incapacità e le divisioni dei socialisti, il ruolo di industriali e degli agrari, le violenze degli squadristi e i timori della borghesia ... sappiamo tutto!

 ... Ma, fino ad ora lo avevamo mai “vissuto” in maniera così realistica.

Ora oltre a "sapere" possiamo anche riuscire a "capire"!

 

lunedì 27 aprile 2020

La pandemia aiuta gli autocrati ... e noi gli diamo corda!


L'articolo di repubblica mette in luce come, dietro le scuse e/o le ragioni della pandemia una serie di governi/regimi abbiano potuto tranquillamente introdurre ed inasprire misure atte a favorire i propri interessi, ad aumentare il controllo e reprimere il dissenso. 


Vengono citati casi obiettivamente rilevanti quali ad esempio:
-          Le Filippine, dove si minacciava di sparare a chi violava il “lockdown”.
-          Il Brasile dove il presidente ha appoggiato una manifestazione pro-ritorno della dittatura.
-          ... ma anche la Polonia che ha ridisegnato i collegi elettorali (oltre i limiti di tempo consentiti) e introdotto il voto postale (contro il parere UE).
-          … o l'Ungheria, dove il governo, non proprio liberale, ha potuto introdurre una norma dove gli veniva consentito di governare per decreto senza l'avallo del parlamento.

Questi e altri, sono ovviamente casi eclatanti.
Ma, rimanendo nel "piccolo" e nel relativamente poco grave, tutti i Paesi si sono distinti;  e, anche l'Italia non andrebbe esclusa dal novero di quelli che hanno introdotto norme discutibili come ad esempio:
- i cani possono circolare, i cristiani "ni" ... neanche i "possessori" di cuccioli umani!
- puoi girare intorno all'isolato ma non puoi farti la passeggiata nel bosco;
- puoi vivere tranquillamente attaccato a moglie e figli, ma non puoi stare insieme a loro in macchina;
- ... tendenzialmente non puoi usare la macchina! ... Se non per "necessità" (e in questo non si capisce bene quali siano realmente le casistiche ammesse);
- puoi dormire nello stesso letto con tua moglie ma non puoi tenerla per mano se sei in strada;
- devi andare al supermercato più vicino ... che tra l'altro deve ridurre gli orari di apertura al pubblico e deve vendere solo beni di "prima necessità" (e decido io quali essi siano!);
- ecc. ...

La paura del contagio è indubbiamente una brutta cosa e ci sono indubbiamente ragioni di ordine pubblico che impongono misure eccezionali.
Ad esempio, chiudere inizialmente le scuole, limitare le attività produttive e l’accesso ai luoghi di aggregazione, sono state misure effettivamente per lo più necessarie (o almeno, al momento non è venuto in mente quale potesse essere un’alternativa applicabile).
Bisognerebbe però sempre riflettere sulla effettiva portata e logica (e costo … ad esempio per far volare elicotteri alla ricerca di passeggiatori e bagnanti!) di moltissime altre restrizioni introdotte.
A parer mio, per esempio, nessuna di quelle sopra elencate era effettivamente da porre in atto!
E, soprattutto pensare ai danni che provoca l'arbitrio concesso a piccoli gerarchi regionali, comunali e a cricche di militi … non proprio sempre flessibili nelle loro valutazioni quanto dovrebbero!

La giustificazione generale per tutte queste norme, a parer mio, veramente arbitrarie, e quella che: ... gli italiani, il popolo, la gente ... o come diavolo vogliamo chiamare gli individui (visti come massa) che compongono una società siano sostanzialmente privi di cervello e vadano messi sotto tutela!
... questo, in fondo (e riferito a tutti gli altri tranne che a noi stessi!) purtroppo lo pensiamo un po' tutti e, infatti, accettiamo, sbagliando,  di essere trattati come minorati mentali!

Ci sono altri modi però che sarebbero accettabili e che sarebbero, tra l’altro, rispettosi dell’intelligenza dei cittadini; ad esempio, una volta deciso il “lockdown”, forse sarebbe stato sufficiente spiegare in linea generale le regole da seguire.
 In questa situazione, sempre a parer mio, serviva solo imporre l'osservanza di una regola di "distanza sociale" fra NON conviventi!
Una regola semplice del tipo: convivi? No, allora devi stare a tre metri dagli altri! Punto e basta ... ma non è importante che tu sia sotto casa o a Katmandu!
 ... E poi semplicemente fare controlli, redarguire e, nei casi limite sanzionare se necessario.

... a proposito, gli unici evidentemente esentati dal dovere di tenere le distanze sociale sono ovviamente i "controllori" che possono tranquillamente bullizzare almeno in coppia :-), :-)!

martedì 14 aprile 2020

Coronavirus: mancano gli stagionali ... è l'occasione per regolamentare il sistema?

https://www.repubblica.it/politica/2020/04/14/news/appello_sindaci_cuneese_cassintegrati_disoccupati_frutta-253979123/?ref=RHPPTP-BH-I253880069-C12-P2-S8.4-T1

Fra i tanti problemi causati dal coronavirus si prefigura anche quello legato alla raccolta agricola che rischia di venire compromessa dalla mancanza di mano d'opera. stagionale e occasionale.

Nell'articolo allegato si cerca di sensibilizzare le autorità e, nel contempo, si fanno delle proposte di soluzione. L'aspetto però più importante per me è quello che, spinti dall'emergenza, si ha forse l'occasione di regolamentare una volta per tutte un settore da sempre problematico a causa di lavoro nero, caporalato e assenza di adeguate strutture di recezione.

Potrebbe essere la volta buona? Speriamo di sì!

giovedì 9 aprile 2020

Recensione: Il mondo è pieno di cretini o sei tu che non riesci a farti capire


"Il mondo è pieno di cretini o sei tu che non riesci a farti capire?” di Thomas Erikson; titolo originale: “Omgiven av idioter”, traduzione di Maddalena Togliani, editore Tre60, ISBN 978-88-6702-479-7.

Premessa indispensabile.
Non compro e di solito neanche leggo (quanto meno per diletto e/o curiosità, si intende!) questo genere di libri e, questa mia preclusione di genere si estende in generale a tutte le letture di stampo aziendalista e/o motivazionale.

Mediamente, infatti, penso che siano … “poco utili” (così d’istinto avrei usato anche termini più categorici! 😊).

Faccio dunque immediata autocritica, riconosco di non essere probabilmente un soggetto adatto a giudicare la bontà di questi scritti.

Perché l’ho letto allora? Beh! Si tratta di un regalo, e io cerco di non sminuire mai i regali!  … Tra l’altro, da parte di una collega (che è anche un’amica però!)! E qui ha giocato anche un poco di curiosità… Ci sarà stato dietro un messaggio? O sarà solo una coincidenza legata al fatto che, proprio in questo periodo la nostra società controllante nordica predica a capi e capetti l’utilizzo di questo metodo?
Dai mettiamoci sotto! Vediamo cosa dice!

Beh! Nella premessa mi sono sforzato di mettere la parte migliore della recensione, tutto il resto è prevedibile.

Il saggio si basa sul concetto che si possa riassumere il temperamento degli individui sulla base di un mix più o meno accentuato di quattro raggruppamenti di caratteristiche diverse rappresentate da altrettanti colori: blu (soggetto analitico), rosso (soggetto dominante), verde (soggetto stabile) e giallo (soggetto influente).
Nel momento in cui si riesce a capire il proprio mix cromatico e le relative sfumature prevalenti (che quasi sempre sussistono, secondo l’Autore) e si svolge il medesimo esercizio di analisi nei confronti del proprio gruppo di appartenenza (e si parla sia di colleghi, di amici come di famigliari!) si può usare queste osservazioni per modulare relazioni, modalità di comunicazione ed obiettivi.

… Finito il succo!

Tutto bello (non sono ironico)!

Concetto nuovo? … Mica tanto! Anche l’Autore ammette onestamente (punto a suo favore!)  che ci aveva già pensato il greco Ippocrate nel quinto secolo avanti Cristo! Lui però ripartiva le personalità sulla base della “Teoria degli umori” (cara anche alla medicina medioevale) distinguendo fra: Melanconici (Blu), Collerici (Rossi), Flemmatici (Verdi) e Sanguigni (Gialli).

Utile? Ma sì, Perché no! … Ormai poi l’ho letto!

Divertente? … Immagino che possa piacere (magari anche molto) ai lettori adatti… In ogni caso, per un po’ con questi concetti ci si può anche giocare per un po’! 😊


giovedì 2 aprile 2020

L'idea di Europa: fra tramonto e rilancio



Lacrime di coccodrillo?

Da europeista convinto in questi giorni di emergenza vivo anche una profonda crisi ideologica; sento che la mia passione per l’Europa si sta spegnendo.

Per anni, di fronte alle provocazioni più o meno fondate dei “sovranisti” mi sono detto che le loro critiche erano frutto di ignoranza, o peggio, di meschini tatticismi per guadagnare consensi a livello locale; ho finto di non vedere il prosperare di una casta burocratica privilegiata, saccente, snob, super pagata e sprecona che, nel migliore dei casi, appare ai più come un comitato di affari,  ma che spesso si staglia lontanissima dai problemi della gente e dei Paesi in difficoltà; ho tollerato la spogliazione della Grecia (anche in quel caso sono arrivate scuse tardive! … intanto però il proverbiale “buco in più nella cintura” se lo sono fatti i greci!); ho vissuto con sofferenza la troppa tolleranza di “casta” verso l’ingrata élite inglese e verso l’Inghilterra, partner da sempre persa nei suoi personalismi e mai leale e solidale verso la UE; ho subito a testa china le critiche dei sempre perfetti cugini del “Nord”, sempre pronti ad anteporre le regole della finanza rispetto a quelle della solidarietà ma sempre estremamente attenti a difendere i propri interessi economici.

E ora, anche nel momento dell’emergenza sanitaria cosa fanno i nostri partner? Prima minimizzano, snobbano e criticano … perché certo, ai loro occhi, noi in fondo rimaniamo cialtroni italiani, perennemente sospetti, irrimediabilmente “mediterranei”, cronicamente disorganizzati ed irresponsabili, un popolo evidentemente da catechizzare e da mettere sotto tutela … come i greci appunto! Poi, dopo che viene fuori che, “sì in fondo un problema c’è” e colpisce tutti, mica solo quei cretini degli italiani, cosa fanno? Niente (a parte qualche blocco delle nostre frontiere e sequestro di forniture a noi destinate!) … almeno per un bel po’! E adesso, come “da programma” arrivano le scuse … meglio tardi che mai!

E da dove vengono invece gli aiuti? Da loro? Nooo! In primis, letteralmente dall'altro capo del mondo, dai nostri sedicenti antagonisti culturali cinesi, poi da cubani, dai piccoli ed orgogliosi albanesi … persino dalla gelida Russia! … Questo fa pensare.

Amo l’Europa e i suoi popoli (e molte sono le persone comuni che, da parte loro ci hanno trasmesso il loro supporto morale), apprezzo la libertà di movimento, la moneta unica, questo sentirsi a casa anche a Parigi o a Madrid; ma ho perso fiducia nella sua classe politica e nel suo programma. Così non va! Se vogliamo veramente un continente unito dobbiamo cambiare approccio e spostare il focus da un progetto che vede protagonista solo l’economia e la moneta ma che lascia indietro la società civile, il bene comune, l’etica e la cultura.

venerdì 20 marzo 2020

Recensione: Vietnam – Una tragedia epica 1945 – 1975


"Vietnam – Una tragedia epica 1945 – 1975” di Max Hastings, traduzione di Filippo Verzotto, editore Neri Pozza, ISBN 978-88-545-1850-6.

Il saggio racconta la Guerra del Vietnam in dettaglio a partire dal 1945, quando il Paese era ancora unito sotto la dominazione francese, fino alla caduta di Saigon, allora capitale della Repubblica del Vietnam (cosiddetto “Vietnam del Sud”), avvenuta nell'aprile 1975).

A mio avviso, l’Autore ha scritto un’opera eccezionale ricostruendo i fatti in maniera precisa ed equilibrata, spiegando nitidamente il contesto che ha guidato le azioni, gli errori, i vincoli di tutte le parti in causa.
Ne viene fuori un quadro desolante che riporta chiaramente, senza nessuna ombra di ambiguità quello che ormai gli storici hanno da tempo dimostrato; per anni in Vietnam gli USA hanno combattuto una guerra che i decisori politici sapevano perduta in partenza. La scelta di proseguire il confitto venne presa sostanzialmente sulla base di considerazioni più legate alla politica interna USA (tra l’altro, di breve termine) e a ragioni di “immagine”, rispetto a quanto ciò fosse effettivamente necessario sulla base delle reali necessità di politica estera legate al “containment”, la strategia attuata per arginare la diffusione del comunismo.

A me personalmente, appare grottesco constatare come tale conflitto, che finì per trascinare l’intera Indocina nel caos e nell'orrore (si pensi, per esempio alla Cambogia) e ad influenzare pesantemente anche il pensiero occidentale, sarebbe probabilmente stato facilmente evitabile fin a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale se solo si fosse rispettato il legittimo desiderio d’indipendenza delle popolazioni locali e si fossero favorite poche, incisive riforme sociali e politiche tali a quali a quelle che, ai giorni nostri, ci apparirebbero semplicemente minime e “scontate”.

Si scelse invece di supportare un anacronistico regime post-coloniale da parte della Francia il che portò al solo risultato di umiliare i francesi e dividere il paese permettendo l’insediarsi al Nord di uno spietato regime comunista contrapposto, al Sud, ad un regime poco più liberale e totalmente corrotto.
Dopo il disimpegno della Francia il governo USA commise (io direi “scientemente”) gli stessi errori dei predecessori francesi continuando costantemente a supportare i regimi instaurati nel sud del Paese e avendo, nello stesso tempo, piena consapevolezza della loro inadeguatezza ed incapacità sia di riformare il Paese, sia di reggersi sulle proprie gambe.

L’aspetto più ironico di tutto questo sta, infine, nel constatare che l’Indocina e il Vietnam in particolare, avevano sostanzialmente un valore pari a “zero” nelle scelte strategiche degli USA (e dell’URSS e. forse anche della Cina!) e, infatti, furono lasciate a sé stesse nel momento in cui l’opinione pubblica americana divenne in maggioranza sfavorevole al proseguimento del conflitto.

Tanto orrore per nulla, in sintesi!

… E fosse almeno servito ad imparare la lezione!

giovedì 19 marzo 2020

Recensione: L’educazione di un fascista


"L’educazione di un fascista”, di Paolo Berizzi, editore Feltrinelli, ISBN 978-88-07-17372-1.

Si tratta di un’indagine inquietante riguardante la tendenza crescente verso una progressiva “fascistizzazione” che sembra caratterizzare fasce sempre più ampie della popolazione a partire soprattutto dai giovanissimi.

Ho poco da aggiungere al mio giudizio su quest’opera, a parte il fatto di dire che il quadro disegnato dall'Autore mi appare, almeno a grandi linee, credibile.

C’è però un particolare legato al mio vissuto personale che mi impedisce di valutare correttamente parte del quadro presentato. In particolare, proprio in virtù della mia esperienza diretta faccio fatica a giudicare l’obiettività di quanto riportato nella prima parte del saggio: “L’arte della lotta”; anche perché sono rimasto sinceramente stupito di scoprire di conoscere (sarebbe meglio dire: di scoprire di aver conosciuto in passato!) almeno uno dei personaggi citati nel saggio.

Pratico un’arte marziale da più di trent'anni!
E, nella mia esperienza, che ha brevemente toccato anche l’agonismo (ma che si è interrotta circa 25 anni fa!), mi sono anche cimentato nei circuiti di gara del kung fu e della kick boxing che, all'epoca, includevano spesso i praticanti della muay tay.

Sono sempre stato orgoglioso di praticare la mia disciplina (che appartiene certamente e orgogliosamente al filone “delle arti marziali miste”) e a dividere la mia esperienza con praticanti di altre forme di quest’”arte” e, pertanto, trovo estremamente difficile ricollocare la mia esperienza nel quadro un po’ fosco tracciato dall'Autore.
Personalmente, non ho mai minimamente pensato ad abbinare pratica sportiva e politica, ne ho mai visto tali atteggiamenti messi in atto dai maestri che ho frequentato, ne ho mai notato che qualche praticante ostentasse le sue idee nonostante il fatto che, spesso, fossero ben note ad ognuno le rispettive ideologie e/o inclinazioni politiche. In palestra, al di là di qualche “sfottò” in periodi particolarmente “caldi” (ad esempio, prima o dopo le tornate elettorali) proprio di politica non si parlava e non si parla mai e questo senza nemmeno che esistano norme che prevengano tali tipi di discussione. Semplicemente, per come la vedo io, perché sul tatami tutto ciò non interessa a nessuno, in quanto, al di là delle differenze, su quel parterre siamo solo “noi”, gruppo di sportivi accomunati dalla medesima passione. Forse sono solo stato fortunato!

Detto ciò, che riassume la mia esperienza e che va detto a difesa del buon nome dei praticanti di tutte queste forme di sport, ritengo che il quadro tracciato dall'Autore possa essere considerato veritiero se applicato a certi contesti e luoghi specifici; forse più oggi rispetto a ieri; ed è anche innegabile come, purtroppo, questi sport attirino spesso anche una buona dose di esaltati e spostati. Ho sempre pensato che questo fosse, in fondo, inevitabile.

Dunque, “casco” dal proverbiale “pero” e prendo atto! Tutto ciò, senza contestare le argomentazioni dell’Autore, che mi sembrano basate su di un'esperienza e ricerche rigorose.

giovedì 12 marzo 2020

Coranavirus: Dove sta la giusta misura fra restrizioni e ragionevolezza?

In questi casi, dove la salute collettiva è in pericolo, è difficile tracciare una linea che garantisca il più possibile la libertà individuale mantenendo nel contempo il focus sull'obiettivo principale: contenere il contagio.
Le misure restrittive sono dunque tanto necessarie quanto auspicabili.
Ma fino a dove ci si deve spingere?
Personalmente ritengo sacrosante quasi tutte le misure poste in essere o in corso di introduzione; verso alcune di esse però (poche in realtà) dissento totalmente, e non perché non siano umanamente attuabili, ma perché le trovo stupide, almeno fino a "prova contraria" argomentata, possibilmente, su basi scientifiche.
Di quali misure parlo?
Intendo stigmatizzare tutte quelle istruzioni che vogliono limitare l'accesso ai parchi pubblici impedendo di praticare attività sportiva all'aperto e/o passeggiare.
Che senso hanno?
Ovvio che è chiaro come, in entrambi i casi, tali attività debbano venire condotte da soli o, al più con i famigliari conviventi (in questo ultimo caso il rischio di contagio è comunque presente anche restando a casa!) e, in ogni caso, rispettando le indicazioni già comunicate rispetto agli spazi che devono frapporsi fra non conviventi; se praticate a queste condizioni, però, in che modo potrebbero influire negativamente sui rischi di diffusione della malattia?
Per favore quindi, rimaniamo ragionevoli e, soprattutto, cari governanti, smettete di trattarci come minorati mentali! Sarò il primo, infatti, a fare marcia indietro per evitare un parco affollato, ma trovandolo relativamente sgombro, cosa devo fare per poterci andare senza farmi inseguire dall'esercito? Prendermi un cane dichiarando che lo porto a passeggio a fare i suoi bisogni?

martedì 3 marzo 2020

Recensione: L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre


"L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre”, di Marilù Oliva, editore Solferino, ISBN 978-88-282-0361-2.

L’Odissea narrata e vissuta da un punto di vista inusuale, quello dei suoi coprotagonisti e comparse femminili. Divinità come Atena, splendida quanto distante dalla comprensione della condizione umana; semidee come Calipso e Circe, forti dei loro poteri, ma sole e, in fondo fragili;  donne pazienti, sagge, astute e adattabili come Penelope, degna compagna di Ulisse e suo pari nell'ingegno; donne forti e rassegnate come Euriclea, capaci di sopportare e accettare la condizione servile e di ritagliarsi un ruolo all'interno dello spazio angusto lasciato ad esse dalla società e cultura greca ed, infine,  anche “ragazzine” infatuate come Nausicaa, tanto romantiche quanto ingenue.

Tutte ci raccontano il protagonista; Ulisse, eroe e mascalzone, astuto e vanaglorioso vagabondo dall'animo contraddittorio quale quello che agita tanti altri uomini, così divisi fra la ricerca della pace domestica e la sete di avventura.

martedì 25 febbraio 2020

Recensione: Lotta per la sopravvivenza. La guerra della Cina contro il Giappone 1937-1945


"Lotta per la sopravvivenza. La guerra della Cina contro il Giappone 1937-1945”, titolo originale: "China’s War with Japan 1937-1945. The Struggle for Survival”, di Rana Mitter, traduzione Piero Arlorio e Santina Mobiglia, editore Giulio Einaudi, ISBN 978-88-06-24240-4.

Attraverso una ricostruzione minuziosa degli eventi che partono dal 1937 (ma riassumendo anche la situazione ereditata dal decennio precedente) fino al 1945, l’Autore ci ricorda il grande impegno profuso dal popolo cinese al successo degli alleati nella Seconda Guerra mondiale.

Spesso ci si scorda, infatti, che la Cina assorbì per oltre un decennio una parte rilevantissima delle risorse dell’esercito imperiale giapponese resistendo fra mille difficoltà a forze agguerrite e soverchianti, pagando un costo umano, materiale, sociale e politico che pochi altri Paesi hanno sostenuto e fornendo allo stesso tempo contingenti che dettero un contributo rilevante al contenimento delle forze nipponiche anche in altri fronti del conflitto (es. Birmania ed India).  

Mentalmente, molti occidentali fanno risalire il coinvolgimento dell’Asia nella Seconda Guerra Mondiale al 7 dicembre 1941, data dell’attacco giapponese alla base navale americana di Pearl Harbor. A questo fatto bellico seguì, effettivamente, l’iniziale dilagante iniziativa delle forze aereo-navali giapponesi nei confronti dei territori controllati dalle potenze coloniali occidentali (Indonesia, Birmania e Singapore, Filippine, ecc.).

Ma si dimentica spesso invece che la guerra in Asia era già divampata da molti anni e andava avanti, senza risparmio di mezzi e risorse umane fra Cina e Giappone ufficialmente fin dal febbraio del 1937 a seguito dell’incidente del “Ponte di Marco Polo”, ma se vogliamo, da ben prima se si tiene conto degli scontri sino-giapponesi legati all'occupazione della Manciuria e di Shangai (settembre 1931 – febbraio 1932).

La Cina, in forte trasformazione politica e sociale dopo la caduta dell’impero avvenuta fra il 1911 e il 1912 non aveva ancora trovato un assetto stabile nonostante i tentativi del Kuomintang (il partito nazionalista cinese) guidato, a partire dal 1925 da Chiang Kai-shek, di domare sia la crescente influenza del partito comunista cinese (fondato nel 1921) sia le tendenze centrifughe dei cosiddetti “Signori della guerra”.

Di questo lungo periodo di crisi politica approfittò il Giappone, progressivamente caratterizzato anch'esso da un’involuzione di tipo nazionalista, che portò avanti una politica estera sempre più aggressiva e arrogante nei confronti della nazione vicina.

Da questa situazione trasse origine una lunga e devastante guerra d’attrito che durò fino al termine della guerra mondiale e che letteralmente logorò e lacerò in profondità la società cinese gettando il Paese nel caos e radicandone le contrapposizioni che poi sarebbero riemerse nel dopo guerra durante la guerra civile che sancì la vittoria comunista.

Interessante notare i tanti rilievi dell’Autore che ricostruiscono e stigmatizzano gli effetti della politica poco lungimirante delle potenze alleate nei confronti della Cina, i cui effetti possono essere considerati come minimo fra le rilevanti concause per spiegare l’ascesa del partito comunista cinese e la conseguenza “Perdita della Cina”, sindrome che tanto influenzò la politica americana del dopo guerra e che ebbe non poca influenza nel coinvolgimento della super potenza prima in Corea e poi in Vietnam.

Un gran bel libro che rende giustizia al ruolo svolto da un grande Paese e verso il quale appare giusto sentirsi debitori.

lunedì 27 gennaio 2020

Elezioni regionali 2020: Un bilancio a caldo


La vittoria netta del centro – sinistra in Emilia-Romagna è un’ottima notizia per una serie di ragioni:

)      1) Per la prima volta, da molto tempo, sembra affermarsi nuovamente una tipologia di voto moderato e che mira ad instaurare un clima politico pro attivo. In questa possibile tendenza forse, effettivamente hanno pesato le “sardine”, come sembrano anche suggerire i commenti a caldo di Zingaretti. Certo è che, almeno dal punto di vista mediatico, gli espliciti riferimenti ai temi dell’apertura, della conciliazione e della partecipazione sembrano aver giovato.
Una maggiore sobrietà e oculatezza nel voto sembra anche confermata non solo dal mancato “sfondamento” del centro-destra ma anche dal calo vertiginoso dell’M5S che paga, probabilmente, la sua scarsa affidabilità e che perde consensi non appena comincia ad incrinarsi il clima di antagonismo generalizzato legato all’”anti-politica”.
2  2) L’M5S paga anche la sua trasversalità e la sua frammentazione che si traduce nell'incapacità cronica di governare senza scontentare almeno una parte consistente della propria base di supporto. Al di là di questa sua caratteristica intrinseca, il Movimento alla prova dei fatti, non è sembrato veramente capace di governare e, soprattutto, sembra incapace di esprimere leader competenti o, quando lo fa, sembra aver sviluppato la propensione ad espellerli o a emarginarli a discapito di elementi che appaiono quantomeno folcloristici ma sicuramente non autorevoli.
3    3) Tutto ciò rinforza il Governo che, magari non eccelle, che magari non riesce a trovare la via di uno sviluppo sostenuto (in effetti, per quello servirebbe tempo e un consenso ben più stabile e numeroso di quello che attualmente lo sostiene!), ma che qualcosa fa e che, in ogni caso, sembra un po’ meno impresentabile di come era nell'era giallo – verde.

Tutto bene quindi?
Non tanto!
Intanto, questo “risveglio” potrebbe essere un fenomeno effimero, soprattutto se la classe politica neoeletta non dimostrerà di meritare la fiducia accordatagli, il malcontento ricomincerà a crescere.
Guardando più a Sud invece, bisogna invece prendere atto dei risultati della Calabria che sono di segno decisamente contrario.
Senza offesa per il meridione d’Italia, sembra quasi che quelle terre rimangano sempre indietro di almeno un ciclo rispetto al resto d’Italia; quando da altre parti cominciano a profilarsi il cambiamento, laggiù ci si immerge completamente nella tendenza precedente.

Per guardare al bicchiere mezzo pieno, anche qui però, qualcosa di buono forse c’è.
In primo luogo, l’eletta è una donna (complimenti 😊!) e questo è già un piccolo ma significativo cambiamento per una terra quasi orgogliosa del suo tradizionalismo di matrice patriarcale; in secondo luogo, si tratta di una candidata di Forza Italia che, in fondo, finisce per essere la componente politica della destra più moderata e più propensa a logiche collaborative.

Staremo a vedere!


lunedì 13 gennaio 2020

Recensione: Crisi - Come rinascono le nazioni


"Crisi - Come rinascono le nazioni", titolo originale: "Upheaval. Turning Points for Nations in Crisis", di Jared Diamond, traduzione di Carla Palmieri e Anna Rusconi, editore Giulio Einaudi, ISBN 978-88-06-22172-0.

L'Autore prova a verificare se i metodi seguiti per il superamento delle crisi individuali siano anche applicabili alle nazioni.
Nel portare avanti questa sorta di esperimento comparativo esamina una serie di casi riguardanti nazioni diverse e momenti storici differenti.

Da sottolineare che, dietro esplicita ammissione dell’Autore, gli esempi descritti sono un po’ presi “a caso”, o meglio, sono stati scelti in quanto parte dell’esperienza e del legame personale che Diamond ha sviluppato nei confronti di quei Paesi e di quelle culture. Molte altre casistiche potrebbero essere altrettanto valide.

 Vengono quindi esaminate le soluzioni riguardanti:
1) La Finlandia a seguito dei risultati della "Guerra d'inverno" (1939 - 1940) e della successiva sconfitta subita durante la Seconda Guerra Mondiale.
2) Il Giappone durante la Restaurazione Meiji (1866 - 1869).
3) Il Cile durante il tormentato periodo che va dalla presa di potere del Presidente Salvador Allende (1970 - 1973) fino alla caduta del dittatore Augusto Pinochet (1973 - 1990).
4) L’Indonesia nel difficile percorso post indipendenza segnato dall’alternanza dei leader Sukarno (1945 – 1965) e Suharto (1965 – 1998) e dalla guerra civile contro l’opposizione comunista.
5) La ricostruzione sociale, culturale ed economica della Germania del dopo guerra (1945 – 1989) culminata con la caduta del muro di Berlino e con la riunificazione fra la Repubblica Federale e quella Democratica.
6) Il lungo percorso di emancipazione della nazione australiana dalla sudditanza culturale e psicologica nei confronti dell’Inghilterra. Progressivo e lento distacco che si può convenzionalmente far partire dal 1942 (presa di Singapore) e forse non ancora completamente concluso.

Una parte del saggio si occupa anche di crisi in maturazione e in attesa di una soluzione.
Vengono citati il caso giapponese attualmente alle prese con il problema a lungo termine della denatalità e quello americano riguardante la crisi strisciante dei suoi valori democratici; mentre a livello più globale si accenna ad alcune crisi generalizzate, quali ad esempio, quelle legate alle problematiche ambientali e, più in generale, ai problemi derivanti dalla sostenibilità dei modelli di sviluppo attualmente in essere.

Alla fine, il saggio si presenta curioso e gradevole, ma di contenuti oggettivamente più modesti rispetto alle opere precedenti del medesimo Autore.