mercoledì 12 novembre 2014

Ferrovie dello Stato: TAV, incertezza sui costi e i ricavi ... Qualche dubbio, finalmente!?


Oggi sulla Stampa è apparsa questa notizia:
 che, se non altro, sembra finalmente far palesare un possibile “happy ending” o quanto meno, qualche tipo di ripensamento, alla nostra personale versione della favola dei “Vestiti nuovi dell’Imperatore” (http://it.wikipedia.org/wiki/I_vestiti_nuovi_dell'imperatore), nella quale,  tutte le istituzioni vanno avanti, apparentemente senza alcuna incertezza, lungo una china che sembra non tener conto di alcun contesto oggettivo né dei dubbi che stanno emergendo da più parti, né dei cambiamenti economici avvenuti negli ultimi decenni.
Dunque, finalmente una crepa in quella che, fino a ieri appariva come una granitica facciata di stolidità; qualcuno di “istituzionale” finalmente si chiede: “Converrà?”.
A questo punto, sarebbe meglio che, anch’io mi qualifichi ideologicamente: Io non sono un NOTAV, anzi, sono un PROTAV (tiepido, a dire il vero!) e, in questo momento scrivo dal TGV in viaggio fra Torino P.Susa (partenza delle 7.39) con destinazione, mia e del treno, Gare de Lyon – Paris. Faccio questo viaggio spesso e, vorrei tanto che durasse un paio di ore di meno! Da qui la mia filia  nei confronti dell’alta velocità (passeggeri).
Personalmente, penso che per maturare un giudizio riguardo all’opportunità di quest’opera bisognerebbe prendere in considerazione elementi diversi che, ho il dubbio, non siano stati sufficientemente valutati in passato, posto che, negli ultimi vent’anni gli scenari si sono modificati sensibilmente. innanzi tutto, quindi, facciamoci qualche domanda che, ha senso porsi al di là delle problematiche sociali, culturali e ambientali che quest’opera pone in Val di Susa (e che sarebbero comunque da valutare attentamente):
1)      Quando parliamo di TAV parliamo di mobilità merci e persone, oppure solo della prima o della seconda? Ha senso comunque far viaggiare le merci a 300 km orari? Quali merci richiedono tali velocità di spostamento? (I gelati!? :-)).

2)      Siamo sicuri poi che, almeno per il tratto italiano sia proprio necessaria l’alta velocità con una linea dedicata invece che, non sia sufficiente la sola cosiddetta “Velocità Alta”, dove si definisce quest’ultima come linea tradizionale dove i treni AV possano viaggiare a velocità sostenuta (almeno  160 km orari)?
 
Comincio intanto a dire la mia sull’opera in sé.

Mi hanno insegnato in “Geografia Economica” che connettere due punti (città, regioni, paesi …) alla lunga crea ricchezza; in sintesi, costruire infrastrutture “paga”. Personalmente ci credo! Sembra una specie di dogma, ma l’esperienza passata dimostra, in linea di principio, che è proprio così! E’ stato così per la ferrovia intercontinentale che ha collegato la costa Ovest a quella Est degli USA, per la Transiberiana, per l’Eurotunnel e …, per il traforo del Frejus che il buon Camillo Benso Conte di Cavour ha voluto, fra le tante polemiche, e che non si può negare sia stato utile. 

Dunque, cominciamo a dire che fare e/o migliorare infrastrutture in luoghi opportuni, in linea di principio è utile (ai più, non a tutti, ovviamente!), semmai, il problema è valutare cosa e quanto cambiare o migliorare quando si abbiano già tali infrastrutture e ti tocca prendere in considerazione uno scenario di costi benefici che tenga presente contesti un po’ più complicati delle sterminate e relativamente spopolate pianure dell’Ovest americano o le lande ghiacciate della Siberia Orientale(tra l’altro, come sanno quelli un po’ informati, anche quelle non furono passeggiate senza problemi e prive di “perdite collaterali” in termine di capitale economico e umano!). 

Passiamo a questo punto ad analizzare alcuni aspetti critici legati in specifico all’alta velocità merci (il cuore del progetto), premettendo che non sono un tecnico e, pertanto potrei sbagliarmi.

Da quanto ne so io (leggete ad esempio: "Binario Morto: Lisbona – Kiev, alla scoperta del corridoio 5 e dell’alta velocità che non c’è”, di Andrea De Benedetti e Luca Rastello, edizioni Chiarelettere, ISBN: 978-88-6190-375-3), l’AV merci è semplicemente una chimera, ma in questo caso, sarebbe meglio definirla meno nobilmente come una “bufala” pazzesca. Ad esempio, parrebbe che sopra velocità tutto sommato assai modeste (circa 70 – 80 km/h) l’usura del materiale ferroviario renderebbe questo metodo di trasporto assolutamente antieconomico. Sarà vero? Non sono in grado personalmente né di confermarlo né di smentirlo, ma, mi piacerebbe sinceramente che dei tecnici delle ferrovie si esprimessero chiaramente su questo punto! Dicendo: “State cheti! Possiamo tranquillamente portarvi le vostre fragole spagnole a 500 km/h abbattendo persino i costi di trasporto!”. Alla parola “abbattendo persino i costi di trasporto” tacerei di colpo, anche se, sotto sotto, continuerei a nutrire qualche dubbio sui costi (economici, sociali e ambientali), il merito e l’opportunità di battere il record di velocità di consegna della fragola iberica che, insieme al tarocco siciliano giunge da tempo sulle nostre tavole a costi accettabili e in tempi sopportabili; in sintesi, temo che continuerei a chiedermi ancora cosa vale veramente la pena di trasportare così velocemente fino a Kiev! Ma pazienza! 

Per la velocità passeggeri (che continuo a non capire se sia effettivamente prevista!) invece, sarei un fan sfegatato, non fosse per altro che devo farmi Torino – Parigi almeno un paio di volte al mese se non di più! Questo, potrebbe sembrare, a prima vista, puro egoismo, vorrei però che i miei possibili critici valutassero i benefici che l’AV passeggeri ha portato in altri luoghi, in particolare la Francia e la Spagna, ma anche nella stessa Italia, come potranno testimoniare coloro che viaggiano spesso fra Torino e Milano (io!) e fra Milano e Roma.

Tornando alla Milano – Parigi passeggeri, però, posto di volerla fare, forse si potrebbe prendere in considerazione una linea mista che preveda l’AV Milano – Torino che c’è già (attualmente il TGV percorre la linea tradizionale il che già comporta almeno 40 min di ritardo rispetto alla AV TO-MI) e  che, a partire da Torino si immetta in una linea ammodernata/nuova/potenziata di “velocità decente” (la definiamo così!?) che, a sua volta, entri su una linea AV a partire dal suolo francese che permetta la velocità “smodata” (citazione dal film “Balle Spaziali”). Già solo questo, penso, farebbe risparmiare almeno un paio d’ore (sulle più di 6 necessarie oggigiorno) il che sarebbe, a pare mio, già un risultato accettabile e che, magari, può essere ottenuto  a costi non enormi e magari persino senza necessariamente sventrare un’intera vallata. E’ ovvio che questo è un semplice suggerimento, non so se quest’ipotesi è mai stata presa seriamente in considerazione in una delle tante varianti del progetto e non so nemmeno se essa sarebbe realizzabile perché, l’ho premesso, non sono un tecnico ma solo un pendolare (per definizione, quindi, “persona informata sui fatti” :-)). Aggiungo però che, in linea di principio, se questa ipotesi fosse percorribile a costi accettabili,  non penso che ci sarebbero poi grossi problemi a far viaggiare su di essa anche camion e merci. 

In sintesi, sarebbe bene fermarsi a ripensare un po’ al progetto che,  forse, è da rivedere profondamente (io personalmente, non penso che sia, invece, da abbandonare) nei suoi obiettivi, nelle sue priorità e nelle sue modalità di realizzazione. Nel frattempo, sarebbe anche opportuno smettere di prendere a manganellate i valligiani, quest’atteggiamento, infatti,  potrebbe anche essere cinicamente necessario nel momento in cui si è assolutamente convinti della bontà del progetto, ma non è né utile né giustificabili nel momento in cui emergono dubbi da ogni parte e, per giunta, anche dagli “addetti ai lavori”.

 

domenica 9 novembre 2014

Recensione: Perché abbiamo bisogno dell’Anima


“Perché abbiamo bisogno dell’Anima”, di Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà, edizioni Il Mulino, ISBN: 978-88-15-25259-0.
Si tratta di un breve ma interessante saggio riguardante un tema che ormai sembra piuttosto di moda, quello delle neuroscienze. Contrariamente a quanto potrebbe lasciare intendere il titolo assai fuorviante, non si tratta di un’opera che prende seriamente le difese del cosiddetto “Dualismo”, l’interpretazione filosofica e scientifica che, partendo dalle considerazioni del filosofo e matematico Cartesio e sulla scia di una corrente di pensiero che può essere fatta risalire fino a Platone e Aristotele, prevede una separazione fra i concetti di “io”, “mente” e “coscienza” (l’anima?) da una parte e quello di “cervello” dall’altra, che, come organo fisico, rimarrebbe l’unico ambito accessibile a uno studio scientifico. Gli Autori, invece, si dichiarano comunque “Riduzionisti”, cioè seguaci di quella corrente scientifica ormai prevalente che, all’opposto e in sintesi, riconduce il “sé” e le manifestazioni profonde a esso legate, all’evoluzione e all’attività della nostra “rete” neurale.
Quello che distingue, però, l’approccio di questi Autori da altri che si sono cimentati sull’argomento è l’esibizione di una certa cautela riguardo alla portata di alcuni risultati conseguiti dagli studi delle neuroscienze negli ultimi decenni e che, tra l’altro, hanno contribuito in modo rilevante all’affermazione della corrente “Riduzionista” anche al di fuori dall’ambiente strettamente scientifico. L’evoluzione tecnologica degli ultimi vent’anni ha permesso di migliorare notevolmente i metodi d’indagine riguardanti le risposte cerebrali in funzione di particolari stimoli indotti e a determinare più precisamente le aree associate a una certa specializzazione e attività. Queste tecniche, soprattutto quelle legate alle elaborazioni delle neuro immagini, hanno assunto una certa notorietà suscitando non poche aspettative, ma, secondo gli Autori, non hanno modificato significativamente un quadro di conoscenze che, per lo più, era già noto almeno dalla seconda metà del ventesimo secolo. Anche per essi è chiaro che le tecniche basate sullo studio delle neuro immagini siano appena agli inizi e, pertanto, molte nuove scoperte potranno ancora seguire; ma nonostante ciò, essi s’impegnano a raffreddare un po’ le eccessive attese riguardo alla portata generale dei risultati che possono scaturire dall’approccio del cosiddetto “Localismo” (lo studio finalizzato alla precisa determinazione delle aree cerebrali e della loro funzionalità). Per gli Autori, gli studi inerenti alla localizzazione, sono si utili a determinare com’è “organizzato” il cervello ma, in fondo, queste metodologie non sembrano essere poi così decisive al fine di fornire spiegazioni riguardo al “come” e al “perché” quest’organo funzioni in un certo modo.
In particolare, le attuali conoscenze riguardo al funzionamento “meccanico” del cervello non riescono ancora a spiegare il perché, nella pratica, le persone continuino a conformarsi a un “Dualismo” di fatto attribuendo categorie comportamentali molto generiche e comportamenti intenzionali non solo agli uomini ma anche agli altri esseri viventi e persino agli stessi oggetti inanimati (come hanno dimostrato gli esperimenti di F. Heider e M. Simmel già nel 1946). Per altro, si tende ormai a riconoscere che questa nostra caratteristica mentale, seppur possa portare a seri errori di valutazione e possa alimentare i cosiddetti “pregiudizi”, sia ben lungi dall’essere una semplice forma d’illusione o autoinganno, ma sembra invece spiegarsi attraverso una precisa strategia evolutiva finalizzata alla semplificazione della realtà osservabile tesa a facilitare l’analisi del proprio comportamento e di quello altrui.