venerdì 24 marzo 2017

Recensione: The Great Divide

“The Great Divide”, di Joseph E. Stiglitz, Penguin Books, ISBN 978-0-141-98122-2.

This work is more precisely a collection of several articles that the Author has written for newspapers or magazines during the last decade. The theme, however, is common to all: "Inequality".

Here, of course, we are talking about individual differences in terms of economic power and the Author explains to us that being “poor” it is not only a matter of being less rich in terms of purchasing power but it attracts on individuals a spectrum of disadvantages that directly affects them and the whole society too!

Poverty penalizes individuals starting from the mere physical survival, as measured by life expectancy, preventing access to (good) food, health care, retirement systems, etc.; but it is also a burden that reduces the possibility of real improvement for the subject and for his offspring. Poverty risks to be a perpetual damnation. Least but not last inequality is a psychological burden for individuals and a poison for the society because reduces cohesion and encourage (and justify!) the social conflict.

The US are, in recent decades, the champions of the growth of inequality among developed nations, in a context that sees the global growing of this phenomenon. For the lower part of the pyramid, they are not the promise land and the country of opportunities anymore; for the poorer the American dream is fading.  According to the Author (but now for a good part of the economists), this situation is a serious economic and social problem that should be actively addressed.

Mitigate the inequalities, in fact, does not seem just a topic related to an elementary concept of social justice, but more pragmatically, at least for those who mainly deals with "development" and "economic growth", seems to be an element that favors the increase of these factors. Moreover, it seems to be a clear correlation between the decrease of inequalities on the one hand, the strengthening of democratic society and the growth of widespread prosperity on the other.

This is an interesting thesis (which I personally agree) now widespread among many of the neo-Keynesian economists.

Let me say that finally, a growing chorus of voices is rising in favor of evidence and good sense against some ambiguous economic theories like the (for me) ridiculous ​​"trickledown economics" still fashionable for many politicians (and rich people) even today!


Turning to Mr.  Stiglitz’s work, for me only one criticism should be raised that its inherent to its structure, that it is too fragmentary. In this regard, however, it is perhaps worth recalling that the author has already written more organically in relation to these issues, for example, in his publication: " The Price of Inequality: How Today's Divided Society Endangers Our Future”.

giovedì 16 marzo 2017

Recensione: The Great Divide

“The Great Divide”, di Joseph E. Stiglitz, edizioni Penguin Books, ISBN 978-0-141-98122-2.

Si tratta più che di un’opera unica di una raccolta di articoli diversi usciti nel corso dell’ultimo decennio su quotidiani o riviste specializzate. Il tema trattato però gli accomuna tutti, quello dell’”Ineguaglianza”.

Qui ovviamente si parla delle differenze individuali in termini di potere economico che si traducono in svantaggi a tutto campo per i soggetti più poveri che, non solo finiscono per essere meno ricchi in termini materiali, ma che, in conseguenza di ciò sono penalizzati in ogni altro campo della vita, a partire dalla mera sopravvivenza fisica misurata dalla speranza di vita, per poi risalire ad ogni altro tipo di svantaggio in termini di: salute, libertà, istruzione e prospettive future per sé e per i propri figli.

Gli USA, negli ultimi decenni, sono i campioni della crescita della diseguaglianza fra le nazioni sviluppate, in un contesto che comunque vede crescere il fenomeno a livello globale. Tale situazione, secondo l’Autore (ma ormai per una buona parte degli economisti) costituisce un serio problema economico e sociale che andrebbe attivamente affrontato.

Attenuare le diseguaglianze, infatti, non sembra solo un argomento legato a elementari concetti di giustizia sociale, ma più pragmaticamente, almeno per chi si occupa principalmente di “sviluppo” e di “crescita economica”, sembra costituire un elemento che favorisce l’aumento di tali fattori, senza dimenticare che sembra esistere anche una correlazione abbastanza chiara fra la diminuzione delle diseguaglianze da una parte, il rafforzamento delle società democratiche e la crescita del benessere diffuso.

Una tesi interessante, che personalmente condivido ormai molto diffusa fra gli economisti neo-Keynesiani e che smaschera senza ambiguità alcune teorie economiche di moda (soprattutto a partire dagli anni ottanta del novecento) spacciate ancora oggi da alcune scuole liberiste e che non esito a definire ridicole e prive persino di qualsiasi buon senso, come quelle basate sull’idea della “Trickle down economics”.


Unico difetto del saggio è quello insito nella sua struttura, che ne fa un’opera troppo frammentaria, a questo proposito però è forse opportuno ricordare che l’Autore ha già scritto in maniera più organica relativamente a questi temi, ad esempio, ricordiamo: “Il prezzo della disuguaglianza - Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro ISBN 9788806214579” che tratta il tema in maniera più strutturata.

venerdì 3 marzo 2017

Recensione: Stato e Anarchia

“Stato e Anarchia”, di Michail Bakunin, titolo originale:”Государственность и анархия” (wikipedia), traduzione di Nicole Vincileoni e Giovanni Corradini, edizioni Feltrinelli, ISBN 978-88-07-88229-6.

Si tratta di un classico della letteratura politica, scritto nella seconda metà del 1800 (venne pubblicato per la prima volta in forma anonima nel 1873); in esso l’Autore propone la sua visione rivoluzionaria che auspica e promuove una società totalmente destrutturata, supportata dalla spinta aggregativa dal basso e sorretta da una forte volontà federativa. Queste “società”, per Bakunin devono essere al di fuori del controllo degli stati che, possibilmente, devono essere aboliti, come deve essere eliminata ogni forma di gerarchia di sangue o di classe. Si tratta quindi di applicare l’“anarchica” (anarchia = priva di leader/governante), in esplicita contrapposizione con le organizzazioni statali e sociali costruite su strutture gerarchiche e verticistiche e in antitesi ideologica rispetto al clima dell’epoca che vedeva prevalere l’ideale nazionale e nazionalista rispetto a posizioni maggiormente universaliste.

Un’opera che giudico molto interessante, anche se, ammetto, mi aspettavo qualcosa di molto diverso. In effetti l’Autore, in fondo, non si sofferma molto a spiegare nei dettagli la sua idea. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che l’ideale anarchico, per quanto accattivante, risulta per definizione un po' vago e caratterizzato da molteplici interpretazioni e applicazioni che, tra l’altro, risultano difficili da mettere in pratica.

La parte preponderante del saggio è invece dedicata ad una pignola analisi della situazione europea del tardo periodo ottocentesco. Insieme ad essa viene fornita, non solo una chiave di lettura per spiegare le ragioni di successo o di insuccesso dei molti moti insurrezionali che caratterizzarono il diciannovesimo secolo, ma anche una serie di previsioni riguardo al futuro che, bisogna ammettere, si riveleranno ex-post abbastanza azzeccate.

Nel saggio viene infatti prefigurata la lotta per l’egemonia fra Stati che vedrà contrapporre la nascente nazione tedesca alle altre potenze europee, Russia e Francia in testa.
Per l’Autore il protagonista assoluto di tale ascesa è il cancelliere Otto Von Bismark, per carattere e obiettivi, quasi l’opposto di Bakunin ma tuttavia da questi molto ammirato, non fosse per altro che in virtù della coerenza mostrata in relazione al conseguimento dei propri obiettivi politici. Bismark finirà per realizzare, come da suo programma, uno stato germanico forte e centralizzato sotto la guida della Prussia ... e ciò, in estrema sintesi, sarà uno dei fattori scatenanti di ben due conflitti mondiali!

Altro elemento interessante che emerge dal saggio è la consapevolezza della contrapposizione ideologica che esiste fra l’ideale anarchico e il marxismo allora nascente e che finirà per tradursi negli assetti politici e ideologici del “comunismo”. Bakunin individua subito quello che per lui è il peccato originale di tale ideologia, cioè l’obiettivo di creare la “dittatura del proletariato” sulle basi di una forte gerarchia statale retta da una élite che si attribuisce il ruolo di decidere e governare per il bene del popolo.

Bakunin non crede a questa pretesa e la storia gli darà ragione.


Egli infatti, in estrema sintesi sostiene due cose: 
- Solo il popolo sa qual è il proprio “bene” e solo la sua libera iniziativa dal basso può tradursi in realizzazioni pratiche finalizzate a conseguirlo.
- Nessun tipo di élite, per quanto ben intenzionata può sostituirsi al popolo al fine di governarlo senza che questo finisca per trasformarne i membri in una classe privilegiata e tirannica.