mercoledì 15 luglio 2015

Recensione: I Fratelli Karamazov


“I Fratelli Karamazov”, titolo originale: “Brat'ja Karamazovy”, di Fëdor Dostoevskij, traduzione di Agostino Villa, edizioni Einaudi, ISBN: 978-88-06-22033-4.
A mio avviso l’opera di Dostoevskij merita ancora la sua fama di capolavoro, quanto meno per la rilevanza che ancora caratterizza alcuni dei temi trattati e a causa della notorietà che lo circonda e che continua ad alimentarne la critica.
A parte queste considerazioni ed anche un po’ più modestamente, è bene aggiungere che il romanzo è bello al di là e nonostante la sua fama un po’ ingombrante. Una volta cominciata l’opera e non appena ci si sia abituati ad uno stile ormai un po’ superato, si arriva ad un punto dove, come per ogni buon racconto, si desidera semplicemente sapere come andrà a finire la faccenda e cosa succederà ai diversi comprimari. Da un altro punto di vista, però, se si tiene conto che i personaggi e le situazioni descritte cominciano a sentire il peso degli anni e ad apparire, di conseguenza, un po’ forzati, forse comincia ad essere legittimo ritenere di poter sottrarsi al compito di digerirne la non modesta mole senza sentirsi per questo troppo in colpa verso il nostro vecchio professore di letteratura del liceo.
Personalmente, dopo “Delitto e Castigo” del medesimo Autore aspettavo l’occasione per leggere anche quest’opera e, in particolare, ero interessato a inquadrare più esattamente all’interno della stessa il famoso e forse abusato pezzo della “Leggenda del Grande Inquisitore” che appare nel libro quinto del romanzo. L’occasione me l’ha data la recente uscita di un saggio incentrato sul medesimo argomento “Liberi Servi – Il Grande Inquisitore e l’enigma del Potere” di Gustavo Zagrebelsky (Einaudi ISBN 978-88-06-20458-7). A questo punto, ho sciolto gli indugi e le vele!
 Ho trovato che “La leggenda” regga ancora e pienamente la fama che la circonda; per me si tratta di un pezzo di grande letteratura. Forse, però, se si è interessati solo ad essa, non vale la pena di leggersi tutte le 1033 pagine che costituiscono la presente edizione al solo scopo di inquadrarla al meglio.
A me, per altro, queste mille e passa pagine non sono pesate e vorrei anche aggiungere che sarebbe assai limitativo ridurre la bellezza e l’importanza di quest’opera alle poche decine di pagine attraverso le quali si sviluppa “La leggenda”. Essa costituisce, infatti, sicuramente una parte notissima ed importante del romanzo, ma non può comunque assumere una tale evidenza da potersi sostituire ad esso e neppure per poterlo rappresentare efficacemente e completamente.

lunedì 13 luglio 2015

Caso Grecia: Chi ha vinto? ... Un bilancio personale ...


Nel giorno dell’avvenuto accordo far il Governo greco e Eurosummit faccio un po’ fatica a districarmi sulle diverse versioni che sembrano emergere dai mezzi di informazione. Questo è stato il tema costante di questi giorni, dove ho avuto l’impressione che il giudizio dei mass media nei confronti della linea di resistenza greca e dell’iniziativa referendaria prima, e delle varie fasi che hanno portato all’accordo dopo, fosse quanto meno ondivago.
A questo punto, mi sgancio da tutte queste chiacchere e provo a dare un giudizio personale, a pelle, sui recenti avvenimenti senza tenere troppo conto dei cosiddetti dati oggettivi che, a quanto pare “oggettivi” non sono per niente (ma insomma! I greci le riforme negli ultimi anni le hanno fatte oppure no? Vanno in pensione a 50 anni oppure no! Hanno un sacco di dipendenti pubblici sfaccendati si o no?)! … Possibile che non ci sia la possibilità di ottenere una serie di dati comparati senza dover passare le giornate sulla rete a vagliare dati inaffidabili? … ma lasciamo perdere …
Tornando a noi:
-          Io penso innanzi tutto che il governo greco sia stato coraggioso, tanto coraggioso da sfiorare l’imprudenza e l’impudenza. Anche la scelta di indire un referendum è stata una scelta da capogiro, ma pure coerente con il mandato che lo stesso esecutivo aveva ricevuto (devo ammettere che io avrei votato “si”, non fosse altro che per codardia!). Hanno rischiato veramente di finire fuori dall’euro a pedate, ma ci hanno dato anche una grande lezione di democrazia (magari anche di populismo che, comunque con la democrazia c’entra eccome!). Soprattutto, ci hanno ricordato, e sarebbe bene non dimenticarlo subito, che l’Unione Europea deve diventare anche una questione politica e non limitarsi a poco più di un’unione doganale con una politica economica e monetaria lasciata in appannaggio alle banche e ai grandi gruppi industriali. Per me non è mai stato così chiaro (e spero che lo sia anche a molti altri) che è necessario impegnarsi maggiormente per potenziare il governo UE. Sennò i grandi problemi che stanno alle porte (sicurezza e immigrazione) e in seno (disparità economiche e sociali) all’Unione non verranno né affrontati né risolti e finiranno per travolgerci.   
-          Ora Syriza rischia di spaccarsi e Tsipras è accusato di aver ceduto alle richieste delle autorità monetarie. Lo scissionismo è la malattia endemica della sinistra, ci sono sempre duri e puri disposti a resistere ad ogni cedimento e fisiologicamente portati al muro contro muro (lungo il quale, spesso e volentieri vorrebbero allineare il loro oppositori in modo da poter risolvere definitivamente e fisicamente il problema), la politica però, è l’arte del compromesso e, a parer mio, mi sembra che il governo greco non avesse troppi altri margini di manovra; posta la questione di principio, toccava fare i “compiti a casa” o tornare alla dracma. Riguardo a Tsipras, ammetto di non conoscere il suo curriculum personale e, pertanto, non penso di poterlo giudicare, ma noto che alcuni dei provvedimenti che ha posto in essere, parlo almeno dell’eliminazione delle agevolazioni sull’IVA per le isole e delle tasse sugli armatori, vadano nella direzione che io ritengo corretta per una maggior equità fiscale. L’omogeneizzazione dell’IVA (tassa che normalmente non condivido e che, considero un po’ barbara per un sistema fiscale evoluto) non solo ridistribuisce il costo delle riforme fra la Grecia insulare (che ha patito di meno!) e quella metropolitana (che ha patito molto), ma è anche l’unica possibile per garantire un minimo di gettito in una società che è propensa, forse anche più dell’Italia, ad evadere il fisco in tutti i modi. Per quanto riguarda gli armatori, invece, essi sono storicamente i “ricchi” di Grecia, lobby potente e assai tutelata! Da dove quindi dovrebbe partire in Grecia una politica fiscale redistributiva se non da loro? E che dovrebbe fare un governo di sinistra se non tassare loro?
-          Si legge, infine, che i tedeschi avrebbero “umiliato” i greci http://www.lastampa.it/2015/07/13/economia/il-premier-belga-c-laccordo-sulla-grecia-8m1EEnyt50Ie1JocvR9gfO/pagina.html). Io, di nuovo, non credo neppure a questo! Alla fine si tratta di una partita che, moralmente non ha visto né vinto né vincitori. I “nordici” (non solo i tedeschi!) hanno tenuto duro ribadendo, con una certa ragione, che non si possono usare “due pesi e due misure” e, stante le regole in vigore “ora”, non ci sono alternative al rigore per quegli stati che non sono capaci di tenere i loro conti in ordine. Soprattutto, non si può (e non è moralmente corretto!) costringere alcuni paesi a dure politiche per risanare i conti pubblici e ad altri consentire di continuare sulla strada delle mancate riforme (posto che per la Grecia sia effettivamente così!). I greci, supportati dai giudizi di più di un economista, (vedi ad esempio, Krugman, Stigliz e Piketty) hanno invece ricordato che una maggior unione politica forse permetterebbe di mettere in atto politiche diverse dalla semplice austerity. Ma per arrivare a ciò, aggiungo io, bisognerebbe avere gli strumenti per poter decidere tutti insieme (e torniamo alla politica!), un sistema di regole che permetta di mettere in atto un ciclo espansivo (magari un po’ drogato da qualche intervento in stile Keynesiano) ma che, nel contempo, ci metta al riparo dagli “sbracamenti”, dalle “promesse da marinaio” e dalle ricette facilone (svalutazioni competitive, finanziamenti a pioggia ma, soprattutto agli “amici”, spese pubbliche dissennate e programmi di costruzione faraonici di cattedrali nel deserto …!) spesso proposte in passato dalla nostra, quasi mai responsabile, classe politica. Bisogna poi dire, rimanendo sul pragmatico, che per il futuro i greci continueranno ad avere dalla loro il “problema” del debito (per le banche non vi è nulla di più spinoso di un grosso debito inesigibile!) e, pertanto, se le riforme non funzioneranno, i creditori perderanno i loro soldi, quelli già erogati fino ad ora e quelli di prossima erogazione. Un conto salato per l’affermazione di un principio! Dunque, ai “tedeschi” rimane il punto segnato in favore del rispetto delle regole ma anche (a loro e a noi) il possibile aggravio di perdita se le cose non dovessero andare per il verso giusto.
-          Infine, al di là delle ragioni e dei possibili ragionamenti, per me, è un grosso sollievo poter pensare ai greci come facenti ancora a pieno titolo della “famiglia”. A supporto di questa sensazione, non ho particolari ragioni razionali da addurre, ma solo ragioni di “pancia”, solo la sensazione che, senza di loro, l’idea di Europa sarebbe un po’ meno brillante.

 

venerdì 3 luglio 2015

Recensione: "Il Magico Potere del Riordino"


“Il Magico Potere del Riordino – Il metodo giapponese che trasforma i vostri spazi e la vostra vita”, titolo originale: “JINSEI GA TOKIMEKU KATAZUKE NO MAHO”, di Marie Kondo, traduzione di Francesca Di Berardino, edizioni Vallardi, ISBN: 978-88-6731-519-2.
Fatta la dovuta premessa per ricordare che non sarebbe logico attendersi chissà quali perle letterarie da un libro che, sostanzialmente fa parte del filone dei manuali di “self improvement”, posso senza dubbio dire che “Il Magico Potere del Riordino” sia una lettura leggera e, preso nel giusto contesto, finisca per essere piacevole, interessante, abbastanza curioso e, in fondo, persino utile.
Iniziando dall’” utilità”, qualche consiglio efficace emerge sicuramente, ma non vi aspettate chissà quali soluzioni brillanti. A parte qualche consiglio pratico che riguarda le modalità per organizzare le operazioni di riordino, alla fine l’Autore ci ricorda più che altro una norma di buon senso alla quale, penso, eravamo, tutto sommato, giunti tutti quanti. Sentirsela ripetere, comunque, è tutt’altro che inutile! La parola d’ordine è “Buttare”; non dobbiamo diventare succubi degli oggetti, dobbiamo valutare bene gli acquisti ed evitare sindromi compulsive e/o di accaparramento. Soprattutto se abbiamo poco spazio a disposizione, dobbiamo imparare a disfarci del superfluo; di più! Dobbiamo imparare a liberarci di tutti quegli oggetti vissuti che non ci trasmettono più emozioni o, peggio, che ci tengono ancorati ad un passato ormai tramontato impedendoci di vivere meglio il presente e il futuro.
L’avere il coraggio di disfarsi delle cose è il tema centrale del libro e il modo di descrivere tale attività è anche l’aspetto curioso e interessante di quest’opera. Personalmente ho notato (ma me l’aspettavo) che l’Autore affronta questa attività in un modo che definirei, con qualche eufemismo, un pochino “eccessivo”. Ma ricordiamoci che stiamo parlando di un Giapponese! “Loro”, quando descrivono e si dedicano ad un’attività da compiere, anche se apparentemente banale, lo fanno (in teoria, non sempre in pratica!) con un fervore che noi riusciamo difficilmente a comprendere. Questo atteggiamento mentale riassume alcune delle migliori caratteristiche e delle peggiori inclinazioni di questo splendido popolo capace di precisione, costanza, pazienza, dedizione e portatore di un senso estetico sobrio e, a mio avviso, affascinante, ma che, dall’altro lato, ci appare anche imprigionato in forme di costrizione, nevrosi e fanatismi alle quali noi “mediterranei” siamo decisamente più immuni.
Insomma, oltre alle loro decine di versioni di arti marziali alle quali si dedicano con fervore fanatico, essi realmente si appassionano ad attività come “L’arte di disporre i fiori recisi” (Ikebana o Kadò), “l’arte della scrittura” (Shodò) oppure, all’arte “dell’acqua calda per il tè” (“Cha no yu” oppure “Chadò”) … e che sia chiaro, non li sto prendendo (troppo) in giro! Non stupitevi quindi se qualcuno di essi, mentre acchiappa le mosche con le bacchette di bambù, un bel giorno vi suggerisce di immergervi per un paio di decenni nella pace di un tempio shintoista ad osservare le carpe nel laghetto allo scopo di poter realmente afferrare il significato dell’attività di riordino della vostra cameretta! :-)



 

 

giovedì 2 luglio 2015

Caos greco: qualche riflessione


L’attuale situazione di caos finanziario greco impone qualche riflessione. Non entro nel merito delle scelte dell’esecutivo ellenico che ha ereditato una situazione finanziaria ampiamente compromessa e, eletto sulla base di un programma che portasse il paese fuori dall’austerity, si vede probabilmente costretto ad un duro confronto con le autorità monetarie per evitare di tradire l’impegno assunto nei confronti degli elettori. Mi soffermo, invece, sul problema del debito pubblico e dei conti della pubblica amministrazione in senso più allargato. Alla fine, infatti, il problema della Grecia mette in risalto alcuni aspetti cruciali:
L’adesione all’euro, in presenza di un alto debito pubblico, ma soprattutto, nel momento in cui non sussista una vera condizione di equilibrio dei conti pubblici, meglio ancora, di attivo di bilancio, è possibile solo a condizione che i creditori siano disposti a finanziare a tempo indeterminato tale disavanzo. Questa constatazione, tanto scomoda quanto ovvia, dovrebbe essere un forte ammonimento per tutti quei paesi, Italia purtroppo inclusa, per la quale è imperativo procedere ad una drastica riduzione degli sprechi e dell’evasione, unica seria alternativa a delle politiche di riduzione del welfare o di ulteriore inasprimento della pressione fiscale. Detto in parole povere, non c’è più spazio né risorse da dedicare al mantenimento di privilegi di casta e per sopportare le inefficienze e le tante ruberie. Solo regole giuste, una fiscalità equa e trasparente, e conti pubblici in equilibrio, costituiscono il prerequisito che permette di sottrarsi ai possibili “aut aut” dei creditori e di riappropriarsi della forza politica per poter intraprendere in piena autonomia le scelte di indirizzo economico e fiscale. Una buona applicazione pratica di questi principi potrebbe riassumersi nel semplice enunciato che: “non esistono diritti acquisiti” se essi sono naturati a seguito di privilegi o modelli economici non sostenibili e che vanno a detrimento dell’identico diritto di chi è tenuto a farvi fronte a detrimento del proprio trattamento. In questi casi, la messa in discussione di tali diritti e la ricalibratura dei trattamenti è tanto etica quanto obbligatoria.
Nei giorni scorsi si è tanto parlato delle differenze riguardanti i regimi pensionistici e previdenziali che caratterizzano i diversi ordinamenti europei. Facendo riferimento al caso della Grecia, è possibile, ad esempio, approfondire tali tematica in:

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-05-23/pensioni-greche-resistono-deroghe-e-privilegi-081144.shtml?uuid=AB7YfQlD.

-  http://www.lastampa.it/2015/06/29/economia/il-buco-nero-delle-pensioni-di-atene-F3ohwysBe1P59XdOqjuToL/pagina.html.

-   http://www.huffingtonpost.it/2015/07/02/grecia-fornero-non-taglierei-le-pensioni_n_7710868.html?1435819187&utm_hp_ref=italy

Al di là che molti di noi vorremmo poterci permettere di andare in pensione rapidamente con un trattamento economico adeguato e desidererebbero un sistema di ammortizzatori sociali che consenta a tutti di vivere decorosamente, risulta sempre più chiaro che per riuscire a conseguire tale risultato è necessario che, finanziariamente, la società sia strutturata in modo da poterselo permettere. In caso contrario si finisce per indugiare intorno a semplici illusioni e bugie, le quali, guarda caso, sono il pane quotidiano della classe politica che, ahimè, abbiamo votato negli ultimi trent’anni (e forse più!).
L’aspetto più importante però, in fondo non ha nulla a che fare con le reali o presunte debolezze morali dei paesi mediterranei dell’area euro.  Da un punto di vista più pragmatico, infatti, risulta ormai evidente il limite di un’unione che vorrebbe reggersi solo attraverso l’adozione della moneta unica e non anche sull’armonizzazione di tutti gli altri aspetti economici, sociali e fiscali che caratterizzano una società evoluta. In pratica, alla lunga, è impossibile, per i politici dei paesi cosiddetti “virtuosi”, che si trovano nella posizione di creditori, giustificare di fronte ai propri elettori il finanziamento a tempo indeterminato delle situazioni di disequilibrio di quei partner che, a torto o ragione, vengono considerati meno rispettosi. Servono dunque, parametri oggettivi minimi che fissino delle regole uniformi per tutti. Per raggiungere tale obiettivo non vedo altra soluzione che rinunciare a un po’ di sovranità nazionale a favore di un governo europeo rappresentativo che sia in grado, sia di imporre il rispetto delle regole comuni ai governi nazionali, sia di distribuire le risorse con criteri mutualistici fra aree più ricche a quelle più povere. Se si pensa al problema, questo è esattamente ciò che già avviene quando uno governo nazionale si permette di “commissariare” regioni, provincie e comuni ritenuti inadempienti rispetto ai parametri fissati per il resto della nazione. Dunque, se effettivamente si vuole uniformare un certo aggregato sociale e territoriale, prima si devono fissare le regole condivise e le si devono far rispettare in ogni luogo; poi, sulla base del rispetto di tali regole (i famosi “doveri” che, a parer mio dovrebbero precedere e giustificare i “diritti”), si possono/devono spostare le risorse dalle aree che producono un eccesso di risorse a quelle che si trovano in maggior difficoltà. A parer mio, però, è proprio la condivisione degli obblighi e delle regole comuni che giustifica l’attivazione delle garanzie mutualistiche fra stati, regioni e singoli individui. Banalmente, sto solo sostenendo che non può esserci un’Unione Europea se gli aderenti non sono disposti a sottomettersi al medesimo “contratto sociale” perché, al di fuori di tale accordo, esistono solo i rapporti di forza: forti contro deboli, ricchi contro poveri, creditori contro debitori.