domenica 18 novembre 2012

Recensione: Il Manoscritto ritrovato ad Accra

“Il Manoscritto ritrovato ad Accra”, titolo originale: “Manuscrito encontrado en Accra”, di Paulo Coelho, traduzione di Rita Desti, edizioni Bompiani, ISBN: 978-88-452-7186-1.

L’Autore immagina il ritrovamento di un antico manoscritto del quattordicesimo secolo che riporta il testo di un sermone effettuato da un oscuro (e di fantasia) saggio greco detto “Il Copto”. La pubblica predica, avvenuta nella giornata del 14 luglio 1099 in una Gerusalemme in procinto di ricevere l’assalto delle truppe crociate, si svolge nella piazza che già vide Pilato consegnare Gesù ai suoi carnefici ed è rivolta alla popolazione spaventata. Il Copto, ispirato dalle domande della folla, illustra la sua filosofia di vita incentrata sull’amore, sull’accettazione dell’alternanza della sorte, sull’ineluttabilità della morte.

Non avevo mai letto nulla di quest’Autore, anche se certamente ne conosco la chiara fama, è quindi con un certo rammarico che devo dichiararmi completamente insoddisfatto da questo romanzo. Il libro vorrebbe esprimere concetti profondi, ma è poco di più che un’accozzaglia di frasi fatte retoriche e melense senza un valore reale e, a mio avviso, in alcuni casi, persino in mutua contraddizione (devo ammettere, però, di aver perso rapidamente concentrazione nella lettura!). Il testo risulta senza un filo conduttore e senza spessore, fortunatamente, in questo caso, anche in termini di pagine, il che ha almeno abbreviato il danno causato dal tempo perso per completarne la lettura.

venerdì 16 novembre 2012

Recensione: La Rivolta – Bronte 1860

“La Rivolta – Bronte 1860”, di Lucy Riall, edizioni Laterza, ISBN: 978-88-420-9675-7.

Nell’agosto 1860, l’anno della spedizione dei Mille, a Bronte, in Sicilia, proprio in coincidenza del vuoto di potere venutosi a creare a seguito della caduta del potere politico dei Borbone, occorsero gravi episodi di violenza a causa dei contadini in rivolta che invocavano una più equa distribuzione delle terre. Nell’occasione, la furia popolare causò non poche vittime fra i proprietari e i notabili locali e gravi danni alle proprietà e all’abitato, ma soprattutto, l’opinione pubblica fu colpita dalla particolare efferatezza degli atti di violenza. I rivoltosi torturarono alcune delle vittime, infierirono sui cadaveri e, sull’onda dell’emozione, vennero anche riportate voci di atti di cannibalismo (mai accertati!). Il governo dittatoriale di Garibaldi, su richiesta dell’opinione pubblica, dei proprietari terrieri e delle autorità britanniche, intervenne con risolutezza inviando un corpo di spedizione al comando di uno dei garibaldini più focosi e inflessibili, il generale Nino Bixio, Egli agì con determinazione, proclamò lo stato d’assedio, disarmò la popolazione, arrestò i presunti capi della rivolta e i maggiori responsabili della violenza, cinque dei quali furono rapidamente processati, condannati, in maniera a dir poco arbitraria, e immediatamente fucilati.

L’episodio di Bronte ha assunto un forte valore simbolico e spesso esso è citato quando emerge il tema delle promesse tradite e delle riforme mancate dell’Italia post unitaria. Persino ai giorni nostri, esso fa discutere appassionatamente, contrapponendo i sostenitori dell’epica risorgimentale ai suoi detrattori, i fautori dell’ordine pubblico ai rivoluzionari, i “borghesi” ai “comunisti”.

Con queste premesse, il rischio di dare alle stampe l’ennesimo scritto denso di retorica era davvero altissimo, invece, l’Autore, secondo il mio parere, è riuscito a produrre una ricerca di gran valore, molto curata e sorprendentemente equilibrata nello spiegare i fatti, la loro genesi e la loro evoluzione successiva. Gli eventi sono descritti inserendoli in un contesto che fa emergere le vere ragioni della crisi. Esse, in sostanza, vanno ricercate nell’importanza del ruolo della Ducea di Bronte, feudo di vastissima entità che, dal medioevo, risulta centrale per la vita economica e per le relazioni sociali del territorio circostante. La Ducea, comprensiva di tutte le terre a essa collegate, fu concessa nel 1799 dai Borbone in appannaggio all’ammiraglio Nelson in ringraziamento dei servigi da esso prestati. S’inaugurò così un lungo periodo durante il quale, la proprietà più rilevante della zona, crocevia strategico di buona parte dei rapporti economici locali, rimase in possesso di possidenti stranieri e assenteisti. Essi ne delegarono l’amministrazione a loro rappresentanti inglesi insediatisi localmente, ma che rimasero, perlopiù socialmente isolati dal resto della comunità. Se quindi, da una parte, sulla genesi dell’episodio pesa la storica sperequazione nella distribuzione delle terre, dall’altra, vengono invece giustamente rilevate dall’Autore le cause principali che portarono all’esplodere della violenza. In particolare, furono le lotte per il potere condotte dalle diverse consorterie di nobili e notabili locali, che avevano come obiettivo, per lo più, il controllo del “mercato” delle terre date in affitto dalla Ducea e l'accaparramento delle terre comuni a essa sottratte nelle varie e fallimentari riforme agrarie che si succedettero nel corso del tempo, a provocare costantemente la frustrazione e le esplosioni di rabbia incontrollata della parte più povera della popolazione. L’Autore, giustamente pone l’accento sul fatto che, la tensione e gli episodi di violenza furono una costante del territorio a partire dall’epoca medioevale e, già solo nel corso dell’ottocento, erano avvenuti analoghi e forse più gravi disordini durante le rivoluzioni degli anni venti e del quarantotto. Furono quindi, come spesso succede in Italia, le malversazioni, le lotte di potere, il clientelismo e la strumentalizzazione messe in atto dall’elite locale residente le vere cause che, una volta di più, spalancarono il vaso di Pandora. La situazione politica, invece, com’era già avvenuta nei due procedenti episodi versificatisi nel corso dell’ottocento, fu solo la scintilla, il catalizzatore, che fece precipitare la situazione.

venerdì 9 novembre 2012

Recensione: Il Pestifero e contagioso morbo – Combattere la Peste nell’Italia del Seicento

“Il Pestifero e contagioso morbo – Combattere la Peste nell’Italia del Seicento”, di Carlo M. Cipolla, edizioni Il Mulino, ISBN: 978-88-15-23838-2.

Bellissimo piccolo saggio costituito sostanzialmente da tre parti distinte. La prima parte descrive quella che si può definire come la prima organizzazione internazionale di controllo della sanità. All’epoca il territorio italiano era suddiviso in numerosi Stati e Signorie indipendenti e alcuni di queste organizzazioni statali avevano creato una magistratura incaricata dei controlli sanitari al fine di prevenire le epidemie; si era quindi sviluppata una prassi che prevedeva lo scambio periodico di corrispondenza fra ufficiali e “uffici” sanitari diversi e che aveva lo scopo di individuare le aree soggette a focolai d’infezione per poterle prontamente isolare e interdire ai traffici in modo da contenere la diffusione delle malattie. A partire da questa prassi viene poi descritto un tentativo di accordo più impegnativo che coinvolse il Granducato di Toscana, la Repubblica di Genova, i domini del Papa e quelli partenopei (questi ultimi, all’epoca, soggetti a controllo spagnolo), che aveva lo scopo di creare un protocollo di controlli e un corpo di magistratura congiunto che monitorasse i porti principali di queste aree (Livorno, Genova, Anzio e Napoli). L’accordo, che, tra l’altro, prevedeva l’applicazione di un sistema protocollato di “bandi” e “esclusioni” delle aree colpite dalle epidemie (accordo importantissimo ai fini di evitare l’instaurarsi di vere e proprie “guerre” commerciali), fallì a causa dei diversi e spesso contrastanti interessi commerciali, ma anche per colpa dell’inefficienza della magistratura laziale e partenopea che non era, di fatto, in garantire lo svolgimento di controlli adeguati. Una forma ridotta di quest’accordo rimase comunque in vigore per un certo periodo fra la Toscana e Genova, per poi venire meno intorno alla metà dei Seicento a seguito di una disastrosa pestilenza (1656-1657) che colpì il genovese e che costrinse i toscani a inasprire i controlli nei confronti dei vicini. E’ interessante notare che per rintracciare analoghi tentativi di accordi internazionali riguardanti il controllo sanitario si deve passare direttamente al XIX Secolo quando, nel 1851, spinti dallo spauracchio delle epidemie di colera, si tentò di sviluppare un protocollo d’intesa fra undici paesi. Tale tentativo si risolse comunque in un nulla di fatto.

La seconda parte descrive, con dovizia di fonti e dati, la lotta condotta dalle autorità sanitarie di Pistoia per il controllo dell’epidemia di peste scatenatasi nel biennio 1630-31. Tenendo presente i mezzi a disposizione e le conoscenze scientifiche dell’epoca, ben lungi dall’aver individuato le origini e le cause del male, lo sforzo intrapreso riuscì in qualche modo a contenere i tremendi tassi di contagio e di mortalità caratteristici delle pestilenze e ha lasciato ai posteri del materiale interessante non solo sotto forma di osservazioni “scientifiche”, ma soprattutto, per valutare lo sforzo intrapreso dalla comunità cittadina sul piano organizzativo, logistico e finanziario.

L’ultima parte è invece rappresentata dall’appendice che fornisce un quadro della pericolosità del morbo mostrando una serie di statistiche che si riferiscono alle percentuali di contagio e di mortalità, ma che descrive, soprattutto, lo stato delle conoscenze scientifiche dell’epoca. L’eziologia del male era sconosciuta e poco si sapeva delle modalità attraverso le quali avveniva il contagio. In particolare, non si era riuscito a individuare il veicolo principale attraverso il quale agiva il batterio dell’Yersinia Pestis, cioè la pulce del ratto. Di conseguenza, tutti gli aspetti preventivi e ancor più quelli curativi erano basati sul presupposto che la peste fosse causata dai cosiddetti “miasmi”, cioè dall’aria corrotta, che, secondo le conoscenze d'allora, doveva avere la caratteristica di essere formata da atomi velenosi e particolarmente “vischiosi”. Da questa concezione, che adesso può sembrare strana, ma che all’epoca trovava riscontro in non poche osservazioni “scientifiche”, venivano prese decisioni che alle volte risultavano sensate (ad es. considerare pericolosi i tessuti e i pagliericci per la loro propensione ad attirare le sostanze appiccicose!), inutili (es. profumare gli ambienti) o controproducenti (es. eseguire salassi o somministrare purghe). Attualissimo il richiamo dell’Autore riguardo ai limiti della conoscenza scientifica che, ovviamente, rimane valido tutt’oggi e che deve mettere in guardia gli osservatori dei fenomeni naturali riguardo al nesso fra cause ed effetti; nel momento in cui si rimane all’oscuro delle reali cause di un fenomeno, si può finire per estrapolare dalle nostre osservazioni delle norme apparentemente e logicamente inoppugnabili, ma che in realtà rimangono deboli ed evanescenti come castelli in aria perché semplicemente costruite su presupposti non validi.

mercoledì 7 novembre 2012

Legge elettorale: Nel campo del PD pascola il Porcellum

Ho sempre avuto il sospetto che una consistente parte dei politici del PD, vista la situazione disastrosa dei partiti dell’opposizione, siano tacitamente favorevoli all’attuale sistema elettorale, il “Porcellum” e, avendo annusato la vittoria, in realtà faccia ben poco per cambiare le cose in vista delle prossime elezioni. Tale atteggiamento, evidentemente, è tatticamente comprensibile e, nella testa di questi signori, ha probabilmente il solo limite strategico di far correre al Paese quello che a loro deve sembrare un rischio limitato, cioè quello di consegnare le Camere al Movimento cinque stelle, unico improbabile contendente di una sfida elettorale che si preannuncia vincente, proprio perché incentrata su questo sistema di voto che non si può che definire osceno.
Non mancano certo le ragioni per opporsi a quest’atteggiamento machiavellico e pragmatico ed io ne posso elencare alcune, sia di ordine logico, sia inerenti alla sfera etica e morale:

Partendo dalle prime, farei notare a questi signori che le probabilità di vittoria del Movimento Cinque Stelle, per quanto a oggi possano sembrare esigue, non sono poi così limitate come probabilmente essi pensano. Ci sono, infatti, almeno un paio di ragioni che favorirebbero una possibile affermazione dei “Grillini”. La prima è sotto gli occhi di tutti; con le elezioni in Sicilia essi hanno dimostrato di non essere una forza trascurabile, di fronte ad un quadro incerto riguardo alla percentuale di astenuti, essi ormai si qualificano come un’alternativa sia per l’elettorato di sinistra, deluso dalla propria nomenclatura, sia come l’ultima spiaggia per una parte dell’elettorato di destra, che potrebbe cominciare seriamente a preferire il possibile Armageddon che seguirebbe la vittoria del Movimento rispetto al dominio incontrastato del PD. C’è poi il fattore “Renzi” che potrebbe seriamente spaccare la traballante unità della sinistra moderata che quindi potrebbe perdere il suo carattere monolitico proprio ad un passo delle prossime elezioni, oppure, in caso di sconfitta di quest’ultimo, come minimo, potrebbe portare molti potenziali elettori del PD a disertare a favore dei Cinque Stelle.

Le ragioni etiche e morali che suggeriscono di avviare un dialogo trasparente con l’obiettivo di dare al Paese una legge elettorale onesta sono invece evidenti. Vale però la pena di ricordare che tocca proprio ai leader PD fare quel gesto di maturità della classe politica che da decenni attendiamo. Infatti, è proprio nel momento in cui si è forti che tale vantaggio va sapientemente usato a favore dell’intera collettività. Per anni si è gridato allo scandalo per una legge oggettivamente scritta e voluta da soggetti che non possono che appartenere alla genia dei ladri, dei cinici oppure degli incompetenti, se però si percorre la stessa via, se si ruba una vittoria elettorale imponendo ai cittadini l’ennesimo Parlamento scarsamente rappresentativo, si è forse diversi da loro? E’ non è quindi legittimo chiedersi se è sensato votare per soggetti di tal fatta?

Dall’insieme dei due ordini di considerazioni emerge la ragionevole possibilità che proprio la scelta di seguire la linea di un tatticismo disonesto massimizzi il rischio di precipitare il Paese nel caos. Dall’altro lato, sembra che etica e logica convergano nel suggerire una scelta responsabile che restituisca all’elettorato quella reale possibilità di scelta che negli ultimi lustri gli è stata negata e che se sarà ripristinata, forse consentirà di candidare ed eleggere un Parlamento che sia migliore rispetto a quanto sia più stabile.

venerdì 2 novembre 2012

Recensione: Bambini Affittati – Vaché e Sërvente, un fenomeno sociale nel vecchio Piemonte rurale e montano

“Bambini Affittati – Vaché e Sërvente, un fenomeno sociale nel vecchio Piemonte rurale e montano”, di Aldo Molinengo, edizioni Priuli & Verlucca, ISBN: 978-88-8068-609-5.

Fino al dopoguerra, prima del cosiddetto “boom economico” che cominciò a fare sentire i suoi effetti a partire dagli anni cinquanta del novecento, il Piemonte, come per altro, anche il resto d’Italia, era ancora caratterizzato da un’economia fortemente agricola che occupava ancora una larga parte della popolazione la quale, per altro, viveva spesso in condizioni assai misere. In questo contesto, il lavoro minorile svolto in età precocissima (anche dai quattro/cinque anni) era piuttosto diffuso com’era estesa l’abitudine di affittare i propri figli per intere stagioni di lavoro in cambio del mero mantenimento, al più, integrato da una paga simbolica o da qualche regalo.

L’Autore ritorna su queste situazioni della nostra storia recente e, nel frattempo, ne approfitta per descrivere i ritmi, la vita e le tradizioni della società rurale, il cui insieme costituisce una cultura rimasta intatta per secoli e ormai in gran parte dimenticata nell’arco di meno di due generazioni grazie al benessere e allo sviluppo ottenuto dal nostro paese.

A ben pensare, per quelli della mia generazione questi ricordi non sono ancora spenti, ho ancora fatto in tempo a vivere e vedere alcuni dei riti tradizionali descritti in questo libro e molto mi è stato raccontato sia dai miei genitori sia dai miei nonni. E’ invece al mio bisnonno, che a dodici anni partì da una cascina del Canavese per cercare fortuna in America, che dobbiamo l’inizio della nostra “fortuna” economica, anche il suo nome figura fra i tanti che passarono da Ellis Island in cerca di miglior fortuna (che egli effettivamente trovò!).
In sintesi, il libro non può essere considerato una grande opera di ricerca, esso, infatti, contiene perlopiù ricordi e testimonianze relativi ad un'area ristretta del Piemonte, ma, nonostante ciò, è stato comunque interessante rileggere di un mondo che è ormai quasi scomparso seppure appena dietro l’angolo ma che è facile ritrovare nel paesaggio e nei ricordi.

Aggiungo una curiosità. L’Autore parla molto del Saluzzese e, in particolare della Valle Po, luoghi che conosco abbastanza bene. Fra i posti citati vi è anche Balma Boves, una località situata in prossimità del paese di Rifreddo. Questo complesso abitativo, sapientemente restaurato, è diventato una sorta di museo all’aperto ed è un luogo straordinario, incorniciato in un contesto che ha veramente qualcosa di magico e che vale una deviazione qualora foste da quelle parti.



Spunti di riflessione

Questo scritto mi è capitato in mano per caso, di fronte ad esso, per adesso, mi segno semplicemente un promemoria in modo da non perderlo troppo di vista. Esso infatti merita una riflessione perché si tratta, a mio avviso, di un brano straordinario sia riguardo al contenuto sia per ciò che concerne l'intensità, che inducono nel lettore un profondo impatto emotivo. Ho trovato che ci fosse qualcosa di quasi "faustiano" in esso ... oppure, al contrario, che nascondesse un'illuminazione, la visione fugace di una Terra di confine il cui orizzonte si staglia fra luce e ombra. Ci tornero su!


Dal libro della Sapienza


Pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
La preferii a scettri e a troni,
stimai un nulla la ricchezza al suo confronto,
non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia
e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento.
L’ho amata più della salute e della bellezza,
ho preferito avere lei piuttosto che la luce,
perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni;
nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile