giovedì 27 dicembre 2012

Recensione: Il cucchiaino scomparso e altre storie della tavola periodica degli elementi

“Il cucchiaino scomparso e altre storie della tavola periodica degli elementi”, titolo originale: “The Disappearing Spoon and Other True Tales of Madness, Love, and the History of the World from the Periodic Table of the Elements”, di Sam Kean, traduzione di Luigi Civalleri, edizioni Adelphi, ISBN: 978-88-459-2735-5.

Non sono né un chimico, né un fisico, eppure ho trovato questo libro affascinante, interessante e bellissimo. L'Autore ci accompagna attraverso un insieme avvincente di storie legate alla materia (e con qualche accenno all’antimateria!) e che hanno come protagonisti i diversi elementi che compongono la tavola periodica (scoperta da Dmitrij Ivanovič Mendeleev e Julius Lothar Meyer). Gli aneddoti che riguardano le caratteristiche e le modalità attraverso le quali furono scoperti i vari componenti della tavola sono narrati con ironia e leggerezza, e ci si immerge in queste racconti con l’entusiasmo fanciullesco di chi ascolta delle belle favole, dalle quali, però, traspare l’ingegno umano, il rigore e la precisione delle scienze, e anche la curiosa, caotica, armonica regolarità dell’universo.

Monti al bivio: fra spinte riformiste e conservatorismo, l'eterno dilemma del liberalismo italiano


Forse bisognerebbe ancora attendere un po’ prima di fare delle valutazioni, eppure, già da quanto si vede in questi giorni, La discesa di Mario Monti in politica non sembra portare dei sostanziali cambiamenti al solito triste copione della politica italiana che, quasi come una dannazione biblica, sembra ripetersi fin dagli albori della Repubblica. Di fronte al prefigurarsi di una vittoria secca del centro sinistra, le forze più moderate e genuinamente laiche, piuttosto che appoggiare e avviare quelle politiche di cambiamento socio culturali ed economiche che l’Italia continua a mancare clamorosamente a ogni elezione, pavidamente si prestano a mantenere lo status quo fornendo il collante e gli strumenti di governo a quella consistente parte della nostra società di vocazione conservatrice che palesemente ci zavorra. Com’è possibile, mi chiedo, che un leader come Mario Monti dopo aver traghettato il Paese attraverso un periodo difficile della nostra storia, tra l’altro, di fronte alla prospettiva di dover consolidare il lavoro svolto fino ad adesso, sia così cieco da voler rischiare di costruire una nuova legislatura intorno alle medesime forze che ci hanno sprofondato nel baratro? Non penso che nessuno, che voglia considerarsi assennato, possa realmente pensare di costruire alcunché affidandosi agli stessi uomini e alle stesse ideologie che hanno condannato il Paese a vent’anni di berlusconismo. Alludo ovviamente a quelle forze cattoliche tradizionaliste sponsorizzate dalla CEI e vincolate ad una visione del mondo e della società totalmente retrogradi e che poco hanno a che vedere, nella sostanza, con la modernità e originalità del messaggio cristiano; a quel milieu piccolo borghese, volgare,  sciattone e ignorante, degno del nostro miglior cine-panettone  che ha prosperato grazie al “Cavaliere” e all’evasione fiscale degradando l’anima e l’immagine del Paese;  per continuare  con le zotiche legioni federal-leghiste, che orfane della loro corte dei miracoli di geometri mancati e fattucchiere, agognano all’ennesima sguaiata jacquerie contro una “Roma ladrona” che si è dimostra comunque non peggio di loro. Si è chiesto Monti dov’era e chi appoggiava tutta questa parte dell’elettorato negli ultimi vent’anni? Pensa egli veramente di rilanciare il Paese con gli scampoli di una classe politica che è rimasta cieca alle collusioni mafiose, alle leggi ad personam, al dilagare delle lobby, al continuo declino economico, all’ostracismo internazionale, per poi indignarsi solo di fronte al bunga-bunga? “Meglio soli che mal accompagnati” dice un vecchio detto e forse, in certi casi, se non si è più nelle condizioni di fare bene e anzi, si rischia di essere di intralcio, bisognerebbe avere il coraggio di ricavare l’esempio da seguire dal nostro lontano passato e ritirarsi fuori dalla mischia come fece a suo tempo  Lucio Quinzio Cincinnato.  

venerdì 14 dicembre 2012

Recensione: Papillon


“Papillon”, di Henri Charrière, edizioni Oscar Mondadori, ISBN: 978-88-04-38194-5.
Siamo nel 1931, Henri Charrière è accusato e condannato per un omicidio per il quale si proclama innocente. Ha venticinque anni ed è inviato a scontare una detenzione a vita nel sistema di bagni penali della Guyana Francese. Una volta condannato penserà solo alla fuga compiendo nove evasioni nell’arco di tredici anni di detenzione e riuscendo infine a fuggire definitivamente dall’Isola del Diavolo, situata al largo della costa della colonia francese (ora facente parte dei “départements d’outre-mer”), per raggiungere il Venezuela, dove prenderà residenza e cittadinanza.

 Il libro, dal quale verrà anche tratto l’omonimo film del 1973, (interpretato da Steve McQueen e Dustin Hoffman) è, secondo l’Autore, completamente autobiografico. Ciò lascia francamente stupiti, viste le peripezie alle quali va incontro il protagonista Papillon, certamente non uno “Stinco di Santo” per sua stessa ammissione, ma assolutamente ammirevole per il suo indomito coraggio, resistenza e tenacia, per la sua inventiva e arguzia, per il suo orgoglio di uomo “libero”, ma anche per la sua stramba ma umanissima etica e lealtà.
L’opera, scritta in un linguaggio semplice e diretto, è veramente scorrevole e avvincente. Essa ha finito per costituire, da una parte un potente atto d’accusa contro il sistema carcerario e, dall’altra, per rappresentare un monumentale elogio all’idea di Libertà, unica Dea che, a questo mondo, forse, valga la pena di adorare.

lunedì 10 dicembre 2012

Un bel regalo di Natale per PD e Cinque Stelle, Berlusconi torna in campo!

Sembra un paradosso, ma la discesa in campo del Cavaliere dovrebbe essere accolta con giubilo da tutte le forze di centro sinistra e dal Movimento Cinque Stelle, infatti, se questo “brocco” è il miglior asset che può calare il centro destra, mi sembra che, per una volta, si possa stare tranquilli! Certo, il Cavaliere ha cento vite, conoscenze, clientele e denari, ma in fondo, spero bene, ormai gli italiani dovrebbero aver capito chi egli sia! Certo, meglio non “Vendere la pelle dell’orso”, potremmo scoprire che il popolo italico è veramente marcio, effettivamente il rischio c’è, ma anche in questo caso, tanto vale saperlo, vorrà dire che per i nostri figli penseremo un futuro all’estero. Mai come questa volta, un elettore serio dovrebbe sapere cosa fare: c’è un PD che appare solido, borghesotto ma pluralista e aperto a sinistra (ci mancherebbe!), un Movimento tutto da scoprire, qualche scampolo di centro destra moderato, grigio, liso, ma democraticamente almeno ai limiti dell’accettabile e, alla fine, c’è pure l’astensionismo che, per quei catto-laico-fascio-federal-cubisti che abbiano ancora un minimo di capacità di intendere potrà ben essere considerata un’alternativa onorevole rispetto all’allinearsi sotto gli stendardi dell’infausto settimo cavalleria berlusconiano (chissà perché mi viene in mente l’armata “Brancaleone”:-)).

I pericoli, rispetto alla discesa in campo di Berlusconi, mi sembrano ben altri, ma pare che l’azione del Presidente Napolitano da una parte, insieme al super ego del Cavaliere dall’altra, siano insieme intervenuti per minimizzarli. Il vero rischio era un movimento di centro destra che si coagulasse intorno ad un nucleo di persone serie e rispettabili, magari proprio Mario Monti, all’ombra del quale troppo si agitavano, per esempio, personaggi come Montezemolo, portatori dell’ennesima versione di brodino di dado moderato pronto a riscaldare gli animi di laici e cattolici orfani del Cavaliere. A oggi Monti sembra bruciato, proprio da quel centro destra che avrebbe dovuto innalzarlo come un’icona. Saggio sarebbe, in campo opposto, chi gli offrisse il braccio per permettergli di servire ancora il Paese.

lunedì 3 dicembre 2012

Recensione: I Prigionieri dei Savoia – La vera storia della congiura di Fenestrelle

“I Prigionieri dei Savoia – La vera storia della congiura di Fenestrelle”, di Alessandro Barbero, edizioni Laterza, ISBN: 978-88-420-9566-8.

Da qualche tempo, in Italia, è in atto un processo di revisione, spesso assai critico, del periodo risorgimentale. Molte delle nuove ricerche hanno permesso una migliore comprensione di questo complesso periodo storico, ridimensionandone magari un po’ l’aspetto eroico e sacrale e facendo emergere quell’insieme di difficoltà d’integrazione di culture, spesso molto diverse, che resero difficoltoso e spesso doloroso e contradditorio il processo di unificazione nazionale. A fianco di queste opere di ricerca necessarie e meritorie, si è però sviluppato un filone di “studi” che si propone una vera e propria opera di mistificazione dell’epopea unitaria e che, invece, tende a rovesciare i fatti e a stravolgere la verità. Quest’opera dell’Autore si scaglia proprio contro questo genere di falsa storiografia e s’incarica di confutare una delle più persuasive e accreditate leggende nere del periodo risorgimentale, quella che cerca di avallare il mito di un genocidio perpetrato dalle autorità piemontesi nei confronti dei soldati borbonici caduti in mano dell’esercito nazionale durante lo sfaldamento del regno delle Due Sicilie.

L’Autore, attraverso una precisa opera di ricerca, annichilisce completamente queste voci e anzi, illustra chiaramente come le intenzioni delle autorità, ma anche la loro messa in pratica, andasse esattamente nel senso opposto. I soldati meridionali non andarono per nulla incontro un destino di morte, deportazioni e maltrattamenti, ma anzi, fin da subito, per essi si prefigurò e si cercò di favorire l’integrazione nell’esercito nazionale. Non ci furono quindi campi di sterminio e neppure di concentramento e, persino le fasi di detenzione iniziali, quelle più disorganizzate e caotiche furono brevi, relativamente indolori e non certo finalizzate alla distruzione fisica e morale degli ex soldati borbonici. L’Autore dimostra come siano assolutamente false le ricostruzioni riguardo alle finalità e all’organizzazione di campi di addestramento come quello di S. Maurizio Canavese e smonta completamente l’immagine famigerata di luogo di assembramento e di sterminio accreditata al forte di Fenestrelle. Barbero, correttamente, non descrive certo un quadro idilliaco, le difficoltà furono molte come anche i disagi patiti, ma nonostante ciò emerge una visione confortante del comportamento e delle finalità della classe politica neo unitaria, dell’apparato amministrativo e di quello militare (sostanzialmente ancora piemontese), che si dimostrarono di un’insospettata efficienza e di una certa magnanimità ispirata dalla genuina volontà d’integrazione, al quale si aggiunse l’applicazione di un puntiglioso garantismo (che oggi spesso ci sogniamo!) da parte della magistratura militare.

Nel tracciare il destino dei prigionieri borbonici, l’Autore si dimostra di una precisione e di una meticolosità che sfiora la pedanteria, si ha quasi l’impressione che nessun nominativo sfugga alla minuziosa ricostruzione del ricercatore. Quest’approccio rende oggettivamente il testo un po’ pesante e ripetitivo in certe parti, ma alla fine si dimostra necessario per fugare ogni ombra di dubbio nella mente del lettore. All’Autore vanno tutti i miei complimenti e il mio ringraziamento, sono, infatti, convinto che, per arrivare a una seria ricostruzione dei fatti storici si dovrebbero scrivere decine di ricerche improntate a questo livello di serietà.