lunedì 28 marzo 2011

Qualche riflessione riguardo ai referendum sull'"acqua pubblica"

A parer mio, gli obiettivi dei due quesiti referendari riguardante la gestione dell’acqua potabile dovrebbero essere sottoposti a qualche verifica e a qualche chiarimento.

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Primo quesito: (fonte www.acquabenecomune.org)
Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione
«Volete voi che sia abrogato l'art. 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria" convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n.133, come modificato dall'art.30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n.99 recante "Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia" e dall'art.15 del decreto legge 25 settembre 2009, n.135, recante "Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea" convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n.166, nel testo risultante a seguito della sentenza n.325 del 2010 della Corte costituzionale?»

FINALITA' DEL PRIMO QUESITO: fermare la privatizzazione dell’acqua
Si propone l’abrogazione dell’art. 23 bis (dodici commi) della Legge n. 133/2008 , relativo alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica.
È l’ultima normativa approvata dal Governo Berlusconi. Stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%.
Con questa norma, si vogliono mettere definitivamente sul mercato le gestioni dei 64 ATO (su 92) che o non hanno ancora proceduto ad affidamento, o hanno affidato la gestione del servizio idrico a società a totale capitale pubblico. Queste ultime infatti cesseranno improrogabilmente entro il dicembre 2011, o potranno continuare alla sola condizione di trasformarsi in società miste, con capitale privato al 40%. La norma inoltre disciplina le società miste collocate in Borsa, le quali, per poter mantenere l’affidamento del servizio, dovranno diminuire la quota di capitale pubblico al 40% entro giugno 2013 e al 30% entro il dicembre 2015.
Abrogare questa norma significa contrastare l’accelerazione sulle privatizzazioni imposta dal Governo e la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici in questo Paese.
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Mi sembra che il primo quesito sostanzialmente sia avverso al principio che debba essere una società (quindi un’organizzazione economica e/o di scopo) a prendere in carico dalla collettività (il “Comune”?) il servizio di trattamento e distribuzione dell’acqua potabile. Secondariamente, mi sembra anche che il quesito si ponga in opposizione con quella parte della norma che impone la fine delle “gestioni in economie” entro il 31/12/11.
Relativamente al primo quesito faccio quindi le seguenti riflessioni:
1) A me sembra sostanzialmente e formalmente corretto che vi sia una chiara distinzione fra l’ente concessionario e l’entità incaricata di gestire il servizio.
2) Mi sembra anche sostanzialmente corretto che nei criteri di selezione dell’impresa chiamata ad erogare il servizio si faccia esplicito riferimento a “procedure competitive a evidenza pubblica” e soprattutto che ci si richiami ai “principi generali relativi ai contratti pubblici ed in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità”.
3) Mi sembra poi che non ci sia una preclusione a priori che impedisca la costituzione di società per azioni, mutualistiche, cooperative o persino senza fini di lucro, che possano occuparsi della gestione del servizio e che possano magari essere promosse dall’ente territoriale o persino dalla collettività locale e che si pongano l’obiettivo di partecipare ai bandi di gara per assicurarsi la gestione del servizio.
4) In linea di principio, sono poi favorevole nel porre una scadenza temporale a quelle gestioni la cui attivazione non è stata subordinata in passato a nessun tipo di vaglio preventivo riguardo all’effettiva competitività ed adeguatezza del servizio.


Personalmente quindi, in mancanza di ulteriori elementi che possano farmi modificare quanto espresso sinteticamente qui sopra, non mi sento per nulla predisposto ad aderire alla proposta referendaria. Ed anzi, sarei più propenso ad esprimermi con un “no”, rispetto a quanto lo sia ad astenermi semplicemente.

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Secondo quesito: (fonte www.acquabenecomune.org)
Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma
«Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?»
FINALITA' DEL SECONDO QUESITO: fuori i profitti dall'acqua
Si propone l’abrogazione dell’’art. 154 del Decreto Legislativo n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), limitatamente a quella parte del comma 1 che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’ “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.
Poche parole, ma di grande rilevanza simbolica e di immediata concretezza. Perché la parte di normativa che si chiede di abrogare è quella che consente al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a qualsiasi logica di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio.
Abrogando questa parte dell’articolo sulla norma tariffaria, si elimina il “cavallo di Troia” che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici: si impedisce di fare profitti sull'acqua.

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Il secondo quesito invece si pone l’obiettivo di abrogare quella parte della norma del Decreto legislativo n°152 del 2006 che riconosce all’interno della tariffa una componente economica ad “adeguata remunerazione del capitale investito”. Da sottolineare che i promotori del quesito referendario stimano tale componente pari al 7% del valore del capitale (valore che non contesto ma del quale non ho trovato giustificazione).
Le mie riflessioni a riguardo sono le seguenti:
a. In linea di principio ritengo che il richiamo esplicito alla remunerazione del capitale investito sia assolutamente sbagliato e fuorviante. Se infatti possiamo ritenere una prassi che, nel nostro sistema socio-economico, la produzione di beni e servizi, nonché la loro distribuzione sia un’attività che di norma possa e debba essere attuata attraverso l’attività d’impresa, non è a mio avviso lecito introdurre a priori nei meccanismi tariffari delle forme di “rendita” che vadano a influenzare la determinazione del prezzo del servizio. In pratica, se vogliamo illuderci che debba essere il “mercato” a determinare la maggiore o minore propensione ad entrare in un certo filone di attività, allora anche la tariffa da retrocedere alla cliente non può arbitrariamente partire da un qualsivoglia “minimo garantito”. Tutto questo poi tenendo conto che i concetti di: Capitale investito; equa remunerazione, risultano di difficilissima interpretazione.
b. Posto poi, che per la natura stessa del servizio erogato, si potrebbe creare spazio in questo tipo di attività d’impresa per quelle entità che operano dichiaratamente senza scopi di lucro, non si riesce a capire come possa essere la stessa norma legislativa a porre dei freni ad una possibile discesa “naturale” del costo del servizio attuata attraverso una gestione ideologica di tale attività.
c. Mi sembra quindi che il vero punto di attenzione non sia tanto legato a quanto debba essere la remunerazione minima del servizio, ma al contrario, vista anche la fondamentale importanza dello stesso in termini economici e soprattutto socio-sanitari, quanto debbano essere i contenuti minimi in termini di qualità e costo massimo del servizio erogato. Pertanto l’approccio del legislatore Nazionale e/o locale dovrebbe incentrarsi nella determinazione dei criteri minimi di qualità alla quale gli enti eroganti debbono sottostare e ai criteri massimi tariffari che possano essere applicati all’utenza e poi lasciare alla libera concorrenza la possibilità di proporre ai fruitori del servizio eventuali situazioni migliorative.

Personalmente quindi, in mancanza di ulteriori elementi che possano farmi modificare quanto espresso sinteticamente qui sopra, sono fortemente determinato ad appoggiare la proposta referendaria.

giovedì 24 marzo 2011

Recensione: Ipazia - la Vera Storia

“Ipazia – La vera Storia”, di Silvia Ronchey, edizioni Rizzoli, ISBN 978-88-17-04565-0. Ipazia fu una filosofa del V° secolo vissuta ad Alessandria d'Egitto, barbaramente uccisa da una schiera di fanatici cristiani. Proprio questa fine atroce ha fatto si che Ipazia sia divenuta una sorta di icona laica nei confronti dell’estremismo religioso. Come molti subisco il fascino che circonda la figura di Ipazia, dipinta dai posteri e cantata dai poeti come una donna colta, saggia, influente e persino notevolmente bella! Forse quindi mi attendevo troppo da questo libro che, ammetto, un pochino mi ha deluso probabilmente, proprio a causa delle troppe aspettative. L’opera, per altro fin dall’inizio dichiaratamente scientifica, si basa su di una curata ricerca storica; purtroppo però, di fonti è stato possibile reperirne solo poche e pertanto il libro appare artificiosamente lungo rispetto al materiale a disposizione. A me è sembrato a tratti pure frammentario e ripetitivo. La mia impressione è, che per un testo esclusivamente storiografico, sarebbero bastate la metà delle pagine. Si tratta comunque di un buon libro, che, nel rispetto del personaggio ne stempera i tratti mitici eccessivi; qualcosa infatti della vera Ipazia viene fuori! Essa era sicuramente nobile, colta ed intelligente, ma da lei non vennero ne scoperte eclatanti e neppure una scuola od un metodo che ne perpetuasse il pensiero. Era poi in età matura al momento della morte, pertanto possiamo pensare a lei come ad una donna piacevole e affascinante, ma non ad una bellezza mozzafiato. Meglio così! Un minimo di ridimensionamento delle sue, per altro eccelse qualità, contribuiscono solo a renderla più umana, più vicina e persino più simpatica!

martedì 22 marzo 2011

Recensione: La Maschera dell'Africa

“La Maschera dell’Africa”, titolo originale “The Masque of Africa – Glimpses of African Belief”, di V.S. Naipaul, edizioni Adelphi, ISBN 978-88-459-2540-5. Attraverso le proprie esperienze in alcune regioni dell’Africa equatoriale e meridionale, l’autore cerca di spiegare il rapporto, tuttora vivo ed assai presente, fra i riti e la religione animista tradizionale, la società civile e le “nuove” religioni, cioè il cristianesimo e l’islam, nelle loro varie forme e varianti. Il libro è molto interessante anche se, in un certo senso, un poco incompleto, l’autore, infatti, in più di un’occasione e soprattutto per ragioni di sicurezza personale, non riesce ad andare a fondo nel proprio filone d’indagine. Il libro però è affascinante e da una percezione chiara dell’intenso cambiamento culturale, economico e demografico che è in corso in tanta parte del continente africano. Personalmente sono rimasto stupito da quanto siano diffuse e uniformi le credenze e le pratiche delle varie forme di magia tradizionale e di come questo influisca profondamente sulla vita quotidiana della popolazione nonché sul rapporto fra gli individui ed il territorio. Ritengo anche che il libro suggerisca che ci sia un certo nesso fra le forme di estrema violenza che spesso caratterizzano questi luoghi e le pratiche magiche e religiose che vi vengono praticate; non mi stupisce quindi il richiamo da parte dell’autore, in certi casi persino esplicito al “Cuore di tenebra” di Conrad.

martedì 15 marzo 2011

Recensione: La resa di Roma

“La resa di Roma – 9 giugno 53 a.C., battaglia a Carre”, di Giusto Traina, edizioni Laterza, ISBN 978-88-420-9423-4. Il 9 giugno del 53 a.C. a Carre, in Asia Minore le legioni romane, forti di più di cinquantamila effettivi, inebriate dalla prospettiva di una facile vittoria e di un ricco bottino sfidarono l’esercito dei Parti. Ne risulterà una sconfitta totale e ignominiosa. A cominciare dagli anni immediatamente successivi e fino ai giorni nostri la battaglia verrà più volte analizzata alla ricerca delle cause della sconfitta romana e della vittoria partica e, come avverrà anche per altri eventi bellici, si andrà alla ricerca di quelli elementi che, valutati ex post ne avrebbe reso “inevitabile” e persino prevedibile l’esito. Si stigmatizzerà la presunta mediocrità tattica e strategica del comandante del contingente, Marco Licinio Crasso, il componente (adesso) meno noto del primo triunvirato che raccoglieva anche i più celebri Giulio Cesare e Pompeo, oppure si faranno considerazioni riguardo al campo di battaglia, ritenuto inopportuno per uno scontro fra fanteria pesante e cavalleria, oppure ancora si parlerà di superiorità delle armi partiche (in particolare, la cavalleria ed il temibile arco composto!) rispetto a quelle romane. Di solito comunque si ricorderà Carre come una svolta storica, come una battuta di arresto definitiva dell’espansionismo romano in oriente, come il prodromo di tutte le varie insidie che sarebbero arrivate da est nei secoli a venire, come archetipo della nemesi iranica nei confronti dell’occidente. Il pregio del libro è invece quello di riportare gli eventi su un piano meno assoluto; Crasso, infatti, viene in parte riabilitato, nella ricostruzione non appare, infatti, come un presuntuoso incapace, come invece la storia lo ricorda. La battaglia non fu poi così determinante, Roma riprese rapidamente il controllo della zona sotto la propria influenza e il suo apparato militare non corse poi gravi rischi e neppure fu sancito un incolmabile gap fra due diversi modi di combattere. In sintesi Carre fu quindi solo una cocente sconfitta, forse evitabile, comunque non risolutiva.

lunedì 14 marzo 2011

Recensione: Il Risorgimento Italiano

“Il Risorgimento Italiano”, di Alberto Mario Banti, edizioni Laterza, ISBN 88-420-7174-9. Il libro riassume il lungo processo di unificazione territoriale e culturale della penisola Si parte dalle prime esperienze della fine del settecento e legate soprattutto alle creature politiche di epoca napoleonica, passando poi ai tentativi rivoluzionari dell’ottocento e all’azione militare promossa dal Piemonte sabaudo. Il libro, non impegnativo in termine di numero di pagine, sembra fornire, a mio avviso, una sintesi esaustiva sia dei fatti che del contesto culturale che ha caratterizzato lo svolgimento degli eventi.

venerdì 11 marzo 2011

Recensione: Il Gusto delle spezie nel Medioevo

“Il gusto delle spezie nel Medioevo”, titolo originale “Out of the East Spices and Medieval Imagination”, di Paul Freedman, edizioni Il Mulino, ISBN 978-88-15-13332-8. L’arte culinaria in Europa è cambiata tantissimo dall’antichità ad oggi; in particolare sembra che nel corso del tempo si sia passato progressivamente da una cucina molto speziata e piccante a piatti meno strabilianti dal punto di vista sia del gusto sia della presentazione coreografica. Innanzi tutto l’autore sfata il mito che le spezie fossero usate per conservare i cibi o per mascherare i sapori sgradevoli derivanti da una cattiva conservazione dei cibi; nel contempo viene fornita una rappresentazione più realistica della cucina medievale e rinascimentale che, contrariamente a quanto spesso si crede, non era né semplice, né rozza e neppure minimalista; al contrario, essa era estremamente elaborata, anche e soprattutto rispetto alla cucina dei giorni nostri, peculiare nei gusti (almeno secondo il nostro standard) e spesso finalizzata alla ricerca di grandiosi effetti scenici in grado di divertire e stupire i commensali. Si potrebbe poi essere indotti a pensare che una tale situazione fosse esclusivamente riservata alle sole classi agiate e a situazioni o eventi particolari, invece l’autore sfata anche questo luogo comune affermando che l’amore per i cibi elaborati, particolarmente gustosi, speziati o piccanti fosse diffuso in ogni strato della popolazione che, per giunta, sacrificava a questo scopo una componente significativa del proprio bilancio famigliare per acquistare spezie esotiche. Quali sono dunque le ragioni di questa moda duratura che solo nel tardo diciassettesimo secolo, in Francia, cominciò ad essere sostitutiva da un metodo di cucinare più conforme al nostro? L’autore fornisce una serie di argomentazioni che comprendono elementi culturali, religiosi, storici, economici e sociali ed alla fine ne scaturisce una spiegazione convincente ed esaustiva che non vale la pena rovinare con qualche anticipazione :-)!

venerdì 4 marzo 2011

Recensione: Carthago

“Carthago – Annibale contro Scipione L’Africano”, di Franco Forte, edizione Mondadori, ISBN 978-88-04-89073-6. Il romanzo storico descrive i due principali protagonisti e antagonisti della Seconda Guerra Punica. Il libro è semplice e scorrevole e sicuramente, sia Annibale sia Scipione, entrambi soggetti affascinanti non faticano a vestire i panni dell'eroe. Personalmente però ho trovato il romanzo un po’ troppo superficiale: L’ambiente storico sembra appena accennato, la storia presenta molte discontinuità ed anche i personaggi sembrano solo appena poco più che abbozzati.