mercoledì 30 dicembre 2015

Recensione: Non luogo a procedere


“Non luogo a procedere”, di Claudio Magris, edizioni Garzanti, ISBN: 978-88-11-68917-1.
Libro che reputo vicino ai confini dell’” illeggibile” e che ho rischiato di interrompere più di una volta. Evidentemente non mi è piaciuto lo stile dell’Autore che potrei definire: psichedelico, allucinato, delirante, frenetico e, comunque, disordinato. Forse Magris voleva scrivere troppe cose, infatti, ad ogni riga emergono notizie e riferimenti curiosi che, però, finiscono per stordire e far perdere il filo di una storia che, per inciso, non c’è! Ho trovato strabordante la necessità dell’Autore di mettere in mostra troppi concetti e troppa conoscenza al costo di mantenersi distante da una trama che, a mio avviso si perde, o meglio, si profila come una semplice scusa per parlare d’altro. Sicuramente, egli riesce in più parti a descrivere la brutalità e la follia della guerra ma, per il resto, il romanzo è solo un caleidoscopio di immagini slegate

lunedì 21 dicembre 2015

Recensione: L’invisibile ovunque


“L’invisibile ovunque”, di Wu Ming, edizioni Einaudi, ISBN: 978-88-0622591-9.
Più che un romanzo completo, si tratta di quattro racconti incentrati sulla Grande Guerra. I primi due, a mio avviso completamente slegati dal resto, gli ultimi due collegati da un filo conduttore che è l’arte, in particolare, la pittura surrealista.
Viste le aspettative che ho verso questo collettivo di autori, considero “L’invisibile ovunque” al di sotto degli standard ai quali questi scrittori mi hanno ormai abituato, questo però non vuol dire che esso manchi d’interesse, semplicemente, forse, non è sempre possibile produrre capolavori, ogni tanto, viene fuori “solo” qualcosa di godibile ma non di eccezionale.
C’è da aggiungere comunque che Wu Ming qualcosa finisce sempre per regalarlo ai suoi lettori, e non c’è volta che io non sia stato costretto a fare qualche breve ricerca per appagare la curiosità che suscitano le loro idee e i loro protagonisti. Per me, quest’aspetto è l’unica caratteristica che salva questa raccolta da un giudizio più impietoso e riguarda il caso del terzo e quarto racconto che, fanno emergere alcuni personaggi storici, aspetti ed eventi della prima guerra mondiale veramente impensabili dando a quest’opera un taglio originale e un punto di vista sul conflitto assai inconsueto. Nello specifico, si finisce per portare alla luce un insospettabile quanto stranissimo rapporto fra il filone artistico del surrealismo e l’arte del mimetismo e del camuffamento. Chi l’avrebbe mai detto! Eppure sembra tutto vero o, almeno, plausibile.
Già solo per seguire questa traccia, dunque, potrebbe valere la pena di leggersi questa breve raccolta che, comunque, non annoia e si divora in un attimo.
 

domenica 13 dicembre 2015

Decreto salvabanche: I risparmiatori hanno ragione? Parte 2

Avevo cominciato la prima parte di questo intervento chiedendomi chi dovesse sopportare il peso economico di questo dissesto e, nella mia riflessione precedente ho sostenuto che fossero gli investitori a dover sopportare il costo delle proprie scelte incaute. Questa affermazione, per me rimane ancora valida e, pertanto la ribadisco, nel contempo però è importantissimo cercare di spiegare il processo attraverso la quale queste cose succedono.

La domanda giusta da porsi è dunque la seguente: “Com’è potuto accadere?”. Com’è possibile che dopo la firma di montagne di carta straccia incomprensibile da parte dei risparmiatori, l’istituzione di autority di controllo e tutela degli stessi, l’adesione a codici etici di grande spessore morale da parte degli organi delle banche, eccetera, eccetera, alla fine si scopre che tutto ciò non riesce mai a risultare né sufficiente né utile per tutelare effettivamente i soggetti che farebbero volentieri a meno di correre rischi finanziari? Il sospetto che viene è che in realtà, nella sostanza, non si voglia veramente intervenire in questa direzione anche perché, lavorare seriamente verso questo obiettivo, non solo ridurrebbe la redditività dell’attività di intermediazione, ma farebbe venire meno uno dei ruoli dichiarati della stessa, ovvero l’obiettivo di trasferire e distribuire certi tipi di rischi!
Torniamo però al nostro caso! Mano a mano che sui quotidiani vengono pubblicate le informazioni che riguardano la prima applicazione del “Salva banche” ecco che si delinea il solito quadro dei “furbetti del quartierino” e la tragedia (che è tale, visto che, oltre al danno economico, c’è anche scappato il morto!) si muta nella solita farsa all’italiana o meglio, nel solito copione nostrano. Riassumiamo i punti principali:
-          Il nostro Ente di controllo (la Banca d’Italia), anche di fronte ad una serie di norme europee vincolanti, impone l’emissione di nuova liquidità allo scopo di rafforzare gli indici patrimoniali degli istituti e per far fronte alla grave situazione di dissesto. che incombe sugli stessi.

-          A questo scopo, gli istituti emettono strumenti ad alto rischio: azioni e obbligazioni subordinate, adeguandosi alle disposizioni del “controller”.

-          Questi titoli, al posto di essere collocati presso investitori istituzionali vengono “spacciati” (è proprio il caso di dirlo) a gente sostanzialmente ignara attraverso una politica “commerciale” avallata dai vertici presso la rete attraverso la solita ricetta di minacce ed incentivi nei confronti dei collocatori.

-          Post operazione, salta fuori la leggina “Salva vertici”, la rete viene in parte abbandonata a se stessa e/o sacrificata di fronte al popolo in tumulto e i risparmiatori rimangono con il cerino in mano.

-          Dopo un po’ di clamore popolare, l’” Uomo del destino” del momento (toccherà a Renzi la parte?), accoglie i postulanti rappresentanti del popolo dei truffati e arrangia un po’ le cose. Alla peggio pagheranno i contribuenti!

Cerchiamo però di entrare un po’ più nel meccanismo esaminando più da vicino i singoli punti.
La Banca d’Italia effettua i suoi controlli e, giustamente, deve anche adeguarsi alle norme europee che, tra le altre cose, si occupano di garantire il sistema contro il dissesto degli istituzioni di credito (ci ricordiamo dell’ultima crisi legata ai mutui sub-prime?). Da anni l’Unione Europea e gli organi di controllo lavorano su norme e indicatori di solidità patrimoniali che dovrebbero limitare il rischio di dissenso bancario. Fin qui tutto bene! Quello che però non si riesce mai a capire bene è il “perché” la Banca d’Italia, una volta che siano state scoperti seri indizi di dissesto e di sbilancio patrimoniale non possa/voglia incidere di più promuovendo anche la messa in atto di processi più tempestivi nella messa sotto tutela di quelle istituzioni che danno segnali di preoccupazione e, in particolare, non si comprende bene perché in queste situazioni non si promuova fin da subito una politica più incisiva di risanamento diretta dall’alto e, tra l’altro finalizzata anche ad ottenere un serio e tempestivo ricambio di quei vertici aziendali che, avendo prodotto  tale situazioni negative, si sono chiaramente dimostrati non confacenti all’incarico. Ci sarà forse qualche remora che impedisce di agire tempestivamente contro soggetti che, non raramente, sono titolari di posti e rendite di posizione tipicamente allocati a lobbisti e attaché della politica? Il sospetto è legittimo …
Ma passiamo al punto successivo! Come abbiamo visto il processo di rifinanziamento passa di solito attraverso l’iniezione di nuovi capitali di rischio raccolti sotto varia forma. Nel nostro caso si è trattato soprattutto di azioni e obbligazioni subordinate. Questi, sono strumenti tipicamente speculativi e dovrebbero essere collocati solo presso investitori istituzionali e/o accorti e informati. Chiaramente, queste categorie di investitori si tengono ben distanti in questi casi da questo genere di impegni a meno che: il rendimento garantito sia “notevolmente alto” e quindi compensativo di un rischio altrettanto marcato e/o, intendano intervenire essi stessi direttamente nella gestione, presumibilmente estromettendo i preesistenti organi di controllo. Ecco quindi che si crea un altro elemento di cortocircuito del sistema. Per ottenere nuove risorse gli istituti coinvolti, o meglio, i vertici degli stessi, dovrebbero o attirare nuovi investitori a “interessi d’usura”, oppure lasciare le proprie comode poltrone ad altri che, mettendo i soldi, vorranno anche poter prendere le decisioni! Questo vorrebbe il “mercato”, ma questo è esattamente ciò che è inviso ai nostri vertici perché i “licenziati” in questo caso sarebbero esattamente loro!
Qual è la via di uscita quindi?
La “via di mezzo”, ovviamente, cioè quella di collocare “spazzatura” rischiosa ma a tassi accettabili per la banca (solo un po’ migliori di quelli ottenibili su attività prive di altrettanto rischio!) a investitori ignari del vero pericolo che stanno correndo.
E, qual è il modo attraverso il quale si riesce a fare ciò?
 Il solito modo, cioè applicare solo la “forma” delle leggi evitando, con la complicità di tutti (i potenti) di applicarle anche nella “sostanza”.
Ecco quindi che all’investitore viene fatta firmare un profilo di rischio complicato e incomprensibile e, quando serve, ecco che si usa la rete commerciale per irretire il cliente e costringerlo a modificare le posizioni più prudenziali. Tutto nel nome della “libertà” di scelta dell’investitore (che quando fa comodo si suppone laureato in economia!). Ma tutto ciò non basta!
 Cosa dovrebbe fare l’autority e non fa (almeno con chiarezza)?

 Essa dovrebbe classificare chiaramente i prodotti bancari in funzione del rischio costringendo le banche a fornire come prima cosa un documento molto sintetico (una pagina) in cui si metta in estrema evidenza il rischio per l’investitore. Immagino che, per esempio che, se per ogni forma d’investimento dovessimo firmare un foglio che presenta in bell’evidenza un grosso cerchio “rosso”, “giallo” o “verde” e portasse una grossa dicitura sulla sfondo con le parole “Alto rischio”, “Rischioso”, “Rischio limitato”, forse entreremmo un po’ più nello spirito dell’informativa che un “non addetto ai lavori” dovrebbe ricevere. Dopo di ciò, l’investitore dovrebbe ricevere l’intero regolamento del titolo e dovrebbe essere obbligatoriamente rispedito a casa a leggerselo! Se dopo un’opportuna meditazione già non lo capisce, evidentemente non si tratta di qualcosa che va bene per lui.
Riamane comunque il fatto, in ogni caso, certi tipi di prodotto non potrebbero essere presentati a soggetti che dichiarano un profilo “prudenziale”; sono gli stessi clienti, infatti che dovrebbero presentare istanza per il cambiamento del loro profilo di rischio e non viceversa. Solo dopo di ciò, si dovrebbe poter proporre loro prodotti strutturati sulla base del nuovo profilo. Tra l’altro, anche solo il sottomettere all’attenzione dei clienti strumenti non idonei dovrebbe essere considerato sanzionabile. Infine, forse si dovrebbe distinguere chiaramente la figura del consulente e quella del collocatore. Il primo avrebbe l’obiettivo di capire le esigenze del cliente e consigliarlo e, ove serve, anche scoraggiarlo fortemente ad effettuare avventure finanziarie di dubbio esito. Questi dovrebbe, in sostanza essere il “tutore” del proprio cliente. Il secondo, invece, si incarica di promuovere la vendita di prodotti che possano essere posti in relazione con le esigenze dell’investitore, ma dovrebbe, in primo luogo, superare le obiezioni del tutore, prima che quelle del cliente stesso (che diciamolo, spesso non è in grado di capire di cosa si sta parlando!).
Fatto tutto questo, si vedrebbe chiaramente quello che gli “addetti” sanno già, cioè, che la maggior parte dei prodotti bancari, soprattutto quelli che comportano i maggiori margini per le banche sarebbero per lo più invendibili per la fascia della clientela “retail” che si qualifichi anche come “prudente”. Non parlo solo degli strumenti finanziari che hanno dato scandalo in questi giorni (azioni e obbligazioni), ma anche di tutti gli altri prodotti assicurativi e previdenziali che, continuamente vengono normalmente proposti dalla rete (es. Unit linked, index linked, fondi pensione, fondi e Sicav, ecc.). Tutto finito!
Visto così è chiaro dunque il “perché” succedono queste cose. In altre parole è quasi impossibile mantenere l’enfasi sulla parola “tutela” e nel contempo, sperare anche di “far soldi” o spesso, persino, di rimanere entro un canale di “margini” accettabili e, di conseguenza, tutti fanno finta di non vedere e tirano avanti come sempre, sennò il sistema si inceppa!

giovedì 10 dicembre 2015

Decreto salvabanche: I risparmiatori hanno ragione? Parte 1


Il decreto “Salva banche”, recentemente applicato nei casi di dissesto della Banca dell’Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti, ha scatenato l’ira dei risparmiatori.
Ora, a parer mio, anche tenendo presente la rabbia legittima di chi è stato truffato dal proprio istituto di credito di fiducia, bisognerebbe fare le dovute distinzioni rispetto alle ragioni e all’opportunità di applicazione di tale decreto e, soprattutto, si potrebbe prendere in considerazione (eventualmente anche in sede europea) l'opportunità per procedere ad alcune modifiche dei principi che stanno alla base dello stesso.
Innanzi tutto, per entrare nel merito bisognerebbe distinguere fra due tipi di casistiche che, a parer mio, sono molto diverse fra loro:
-          I soggetti che hanno perso i risparmi in quanto titolari di azioni e obbligazioni degli istituti oggetto della procedura concorsuale.

-          I soggetti che hanno perduto la quota eccedente dei loro saldo di conto corrente rispetto a quanto coperto dal fondo di garanzia, attualmente fissato a 100.000 euro.
Anche se a prima vista questa può sembrare una posizione “dura”, personalmente, penso che la prima categoria di soggetti non debba venire tutelata. Questo anche in quei casi dove, purtroppo, gli istituti abbiano abusato della fiducia dei loro risparmiatori.
Forse il mio parere potrebbe apparire un po’ spietato ma, ricordo a tutti, che i prodotti finanziari sono prodotti speculativi, si viene remunerati anche in virtù dei rischi che si corrono e, pertanto, l’ignoranza non può essere portata a giustificazione dei propri errori d’investimento. In ogni caso, non si può pensare e sperare che sia la collettività a dover far fronte ai propri personali ammanchi.
Semmai, forse si potrebbe intervenire in maniera più radicale riguardo alla stesura dei profili di rischio dei risparmiatori, ad esempio, ai titolari di un profilo “basso”, certi prodotti non dovrebbero nemmeno essere presentati e, nel caso in cui questi vengano effettivamente collocati, allora sì, dovrebbe scattare qualche forma di assicurazione o garanzia a favore dell’investitore ignaro, ma nel contempo dovrebbe anche partire un’azione penale nei confronti del soggetto (parlo proprio dell’addetto bancario, non dell’istituto) che ha incautamente e forse fraudolentemente proposto e collocato strumenti non adatti al profilo di rischio dell’investitore. Insomma, se non si individuano correttamente le responsabilità e i soggetti di queste azioni a che cosa serve firmare tutte quelle scartoffie che ci propinano periodicamente gli istituti di credito?
Comunque, ribadisco il concetto, in quei casi nei quali l’investimento corrispondeva al profilo di rischio dell’investitore, nulla dovrebbe essere dovuto ne garantito. Queste sono le regole del gioco e se non si vuole fronteggiare la possibilità di una perdita si deve anche evitare di correre il corrispondente rischio.
Giudizio diverso per il secondo tipo di risparmiatori, per me andrebbero tutelati, anzi dico di più, secondo me bisognerebbe estendere significativamente le garanzie a favore di chi tiene i soldi sul conto corrente proprio al fine di evitare i rischi e, per esempio, sarei chiaro nel ricomprendere in queste casistiche anche gli investimenti finanziari che sono comunque di liquidità (es. i depositi a termine).
Per certi versi, mi rendo conto che il mio approccio potrebbe essere visto come paradossale, in fondo esiste già una garanzia notevole per questi soggetti (100.000 euro) e, di conseguenza, sembrerebbe che l’intenzione sia quella di tutelare chi è già ricco persino di più di quanto lo sia già! Penso però che non sia corretto vedere le cose in questo modo un po’ “populista”. La ratio sulla quale si basa il mio approccio benevolo verso i “correntisti” (come concetto esteso ai detentori di investimenti assimilabili alle posizioni di conto corrente) poggia sul fatto che l’investimento in liquidità non può certo qualificarsi come un investimento “rischioso”, anzi, è estremamente evidente l’intento dell’investitore di evitare i rischi.
Tra l’altro, chi non ha paura di nascondere la sua liquidità, magari ingente, difficilmente ha pendenze e “scheletri nell’armadio” nei confronti del fisco o di eventuali creditori, né, tendenzialmente è interessato a truffare gli enti attraverso dichiarazioni ISEE mendaci. In pratica, un alto saldo di conto corrente, può anche essere visto come un indice, seppur rozzo, della “trasparenza” di un certo soggetto e, come tale, questa forma d’impiego andrebbe incentivata rispetto ad altre più “furtive” e sospette (es. oro, brillanti, titoli al portatore, rapporti di gestione aperti presso fiduciarie, ecc.).
A tutto ciò ci sono poi da aggiungere alcune considerazioni di ordine più pratico. La prima è semplicissima, i soldi, se si ha la fortuna di averli, da qualche parte bisogna pur metterli! E allora che si fa se si possiede più di 100.000 euro e li si vuole tenere liquidi? Si apre un c/c presso un altro istituto? Questa sarebbe l’unica soluzione prospettata attualmente perché garantirebbe anche su questi nuovi depositi l’estensione della garanzia; tale approccio però ha il difetto di essere poco pratico, inutilmente costoso, nonché meno trasparente per tutti coloro che hanno buone ragione legali per accertare l’origine e l’ammontare di queste sostanze.
In sintesi,  non capisco perché non si incentiva di più il risparmiatore a seguire soluzioni semplici e trasparenti rimuovendo anche quei residui elementi di rischio che non portano nessun vantaggio alla collettività.
In pratica servirebbe verificare I presupposti che regolano il fondo di garanzia che, per mio conto, dovrebbe essere innanzi tutto uno strumento per tutelare le forme di risparmio svincolandole dai destini degli istituti presso I quali esse vengono funzionalmente poste in essere, nel contempo, mantenendo un occhio di riguardo anche rispetto alle ragioni, alle forme e alle funzioni di tale risparmio. Il fondo di garanzia, invece, non ha nessuna ragione per effettuare un'opera di tutela nei confronti di chi si assume un rischio speculativo nei confronti del quale, è il singolo investitore che deve provvedere a cautelarsi.