lunedì 24 giugno 2013

Recensione: Pericolo Pakistan


"Pericolo Pakistan”, titolo originale:”Pakistan on the Brink”, di Ahmed Rashid, traduzione di Bruno Amato, edizioni Feltrinelli, ISBN: 978-88-07-17253-3. 

Ultimo libro pubblicato sull’argomento da Ahmed Rashid, giornalista e riconosciuto esperto dell’area centro-asiatica. L’opera, come sempre interessante e assai documentata, è incentrata sui problemi di Pakistan e Afghanistan, ma è anche una denuncia della relativa incapacità dell’amministrazione USA nel trovare la via di una politica coerente che permetta la stabilizzazione e la conseguente riduzione del suo impegno militare nell’area. La situazione è difficilissima: le nazioni occidentali vedono l’approssimarsi della fine del loro intervento militare in Afghanistan e, complici la crisi economica e la pressione dell’opinione pubblica interna difficilmente prevarrà la scelta di prolungarne l’impegno; l’Afghanistan, ora retto dal deludente e corrotto governo del presidente Karzai, appare ben lungi dall’essere pacificato e, solo ultimamente, sembra essersi aperto qualche spiraglio di dialogo che possa portare a un accordo politico e di pacificazione con i talebani; il Pakistan, vittima delle sue contraddizioni interne e dell’incapacità della sua leadership civile e di quella militare, rischia, invece, di precipitare in una situazione da “Stato Fallito” mettendo a repentaglio la stabilità dell’intera Asia centrale. 

Un libro bello, interessante e deprimente che, sulla scia dei precedenti “Caos Asia” (ISBN: 9788807171574) e “Talebani” (ISBN: 9788807170638), scritti dal medesimo Autore, mette in luce l’incompetenza, la corruzione e i tanti errori attuati da tutti i principali attori coinvolti.

mercoledì 19 giugno 2013

Recensione: Ai Lavoratori - ai lavoratori di Pozzuoli, alle "Spille d'oro"


"Ai Lavoratori”, di Adriano Olivetti, edizioni di Comunità, ISBN: 978-88-98220-00-7.
 
Tu puoi fare qualunque cosa tranne licenziare qualcuno per motivo dell’introduzione dei nuovi metodi perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe operaia”. Questa frase, rivolta dal padre Camillo al figlio durante uno dei processi di ristrutturazione concernente la fabbrica di Ivrea, riassume in tutta la sua forza la particolare visione imprenditoriale che li caratterizzò entrambi, incentrata sul concetto di responsabilità dell’impresa nei confronti della propria comunità di appartenenza.
 
In questo breve testo sono ripresi due discorsi indirizzati da Adriano Olivetti alle maestranze: il primo pronunciato in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento Olivetti di Pozzuoli nel 1955, il secondo tenutosi a Ivrea nel 1954 in occasione della cerimonia di consegna delle spille d’oro, l’onorificenza che veniva distribuita ai lavoratori in occasione dei venticinque anni di attività presso l’azienda.
 
In ambedue le occasioni, viene affermato che il ruolo della fabbrica non è unicamente quello di creare lavoro e ricchezza ma trova la sua giustificazione nell’opera di elevazione della vita materiale ma anche spirituale della collettività presso la quale essa è collocata. Questa è la ragione per la quale la stessa struttura architettonica del luogo di lavoro deve essere studiata per essere a misura d’uomo, sicura, accogliente ma anche “bella”, esteticamente integrata ed elemento di valorizzazione del paesaggio.

Tutto ciò, unito a una filosofia che premia la permanenza a lungo termine nell’azienda, favorisce la crescita per percorsi interni, sanziona la ricerca del mero profitto o della sua “massimizzazione” come unico criterio di “governance” e condanna l’eccessiva sperequazione fra la quota dei profitti che deve essere retrocessa al personale a titolo di “indennizzo” rispetto a quanto spetti alla dirigenza (niente megastipendi e superbonus!) o agli azionisti.
Stiamo parlando di pensieri elaborati a partire dagli anni quaranta del novecento e che non possono non stupire tanto essi appaiano moderni e attuali.

lunedì 17 giugno 2013

Recensione: Il Cammino della Comunità


"Il Cammino della Comunità”, di Adriano Olivetti, edizioni di Comunità, ISBN: 978-88-98220-03-8.

 “Il Cammino della Comunità” riprende i concetti fondamentali espressi né “L’Ordine politico delle Comunità”, scritto da Adriano Olivetti nel corso della seconda guerra mondiale. L’idea dell’Autore era di contrapporre la sua ideologia comunitaria sia alla visione capitalistica sia a quella comunista, prefigurando una forma di umanesimo basato su una combinazione di valori d’ispirazione cristiana e sull’idea di progresso scientifico e culturale. Funzionale a questa ideologia era il concetto di Comunità, che doveva rappresentare una collettività omogenea dal punto di vista culturale e territoriale e che, aggregata a insiemi del medesimo tipo, avrebbe dato vita a uno stato federale e liberale dove il cittadino sarebbe stato effettivamente il protagonista della vita politica della nazione.

Il progetto di Adriano Olivetti non fu solo un edificio teorico ma trovò un campo pratico di attuazione nelle pratiche di politica sociale promossa dalle industrie Olivetti e attraverso l’opera del Movimento di Comunità, del quale i “centri comunitari” canavesani ne furono una delle espressioni. Fra gli anni cinquanta e il 1964, anno in cui il movimento rinunciò all’attività politica, questa rappresentanza politica (che non si definì mai un “partito”) riuscì ad amministrare con successo una quarantina di comuni canavesani e a far eleggere alla Camera dei deputati Adriano Olivetti, durante le elezioni del 1958 nelle liste di “Comunità”.

Recensione: Democrazia senza partiti


"Democrazia senza partiti”, di Adriano Olivetti, edizioni di Comunità, ISBN: 978-88-98220-01-4. 

“Democrazia senza partiti” vista la situazione politica odierna, benché scritto dall’imprenditore Adriano Olivetti (1901-1960) nell’ormai lontano 1949, appare di una certa attualità. L’Autore svolge una critica del sistema partitico e del modello parlamentare basato sulla democrazia rappresentativa che sembra applicarsi anche alla situazione di oggi. Egli, infatti, stigmatizzò la lontananza di tali apparati dalla vita e dagli interessi degli individui e delle collettività locali e rilevò come la partitocrazia finisca per impedire un vero processo di rappresentanza democratica. Al sistema basato sui partiti politici, l’Autore contrappose un sistema decentralizzato e federalista con partecipazione “dal basso” incentrato sul concetto di comunità territoriali culturalmente omogenee.

Progetto accattivante ma di non facile attuazione; molto diverso dall’approccio antipartitico di moda oggigiorno. L’imprenditore eporediese cercò di dare vita reale a questi ideali attraverso il Movimento di Comunità e ai centri omonimi diffusisi nel Canavese (provincia di Torino) che, fra gli anni cinquanta e il 1964 (anno in cui il movimento rinunciò all’attività politica), riuscì ad amministrare con successo una quarantina di comuni canavesani.

Altro prodotto di queste idee fu l’IRUR (Istituto per il rinnovamento urbano e rurale), costituito nel 1955 come strumento di accesso al credito e strutturato come ente “no profit” con il compito di promuovere lo sviluppo rurale ed economico dell’area, in collaborazione con gli enti statali e locali. L’istituzione fu messa in liquidazione nella metà degli anni sessanta e, ed è bene rilevarlo, parlando di politica italiana, essa cessò le attività producendo un saldo attivo.

mercoledì 12 giugno 2013

Recensione: Flessibili come di pietra – tattiche di sopravvivenza e pratiche di costruzione nei villaggi montani


"Flessibili come di pietra – tattiche di sopravvivenza e pratiche di costruzione nei villaggi montani”, di Andrea Bocco e Gianfranco Cavaglià, edizioni Celid, ISBN: 978-88-7661-798-0. 

Sicuramente il libro riflette una buona idea; gli Autori cercano di descrivere, in funzione delle diverse variabili che caratterizzano l’ecosistema alpino, le ragioni delle tecniche di costruzioni, le scelte d’insediamento e la logica della disposizione delle opere comuni, ivi comprese le vie di comunicazioni.
 
È messo quindi in rilievo, come tutte le diverse soluzioni trovate dai montanari nel corso del tempo siano di estrema razionalità nel dosare efficacia ed efficienza e, seppur apparentemente collocate armoniosamente nel contesto paesaggistico, siano state poste in atto per sfruttare al meglio gli aspetti positivi o dominare il più possibile quelli sfavorevoli legati all’ecosistema: temperature, esposizione al sole o al vento, disponibilità d’acqua o di altre risorse naturali, variabilità dei cicli stagionali. Ne viene fuori un’interessante disamina dei “perché” il paesaggio montano è stato modificato in un certo modo per opera del lavoro secolare dell’uomo. 

Poteva venirne fuori un libro molto valido, anche perché corredato da belle foto, piantine e cartine; purtroppo però, la parte descrittiva non sembra avere una vera struttura e un chiaro percorso di spiegazione e le singole parti risultano troppo stringate. Neppure le note, che ho trovato un po’ confuse anch’esse, non aiutano più di tanto ad approfondire i molti temi trattati che attirano indubbiamente la curiosità del lettore, ma finiscono per deludere in quanto appena abbozzati e privi di spessore.

Valeva veramente la pena di scrivere molto di più non limitandosi al semplice scorrazzare per il territorio in cerca di aneddoti e belle foto!

domenica 9 giugno 2013

Recensione: Il mondo che nasce – dieci scritti per la cultura, la politica, la società


"Il mondo che nasce – dieci scritti per la cultura, la politica, la società” di Adriano Olivetti, a cura di Alberto Saibene, edizioni di Comunità, ISBN: 978-88-98220-02-1. 

Si tratta di una bella antologia che raccoglie alcuni degli scritti di Adriano Olivetti e che riesce a restituire, almeno in parte, il pensiero poliedrico e innovatore dell’Autore.
Adriano, figlio dell’imprenditore Camillo fondatore dell’Olivetti, occupò il posto del padre alla guida dell’azienda eporediese dopo la fine della seconda guerra mondiale fino alla morte, avvenuta nel 1960. Egli riuscì a trasformare l’azienda di famiglia in una multinazionale di eccellenza tecnologica. Molto importante fu però anche il suo impegno sociale che, seguendo l’esempio paterno, si manifestò nello sviluppo di una politica di relazioni di lavoro all’avanguardia e nella valorizzazione del territorio del Canavese e della città di Ivrea.
L’Olivetti fu la prima azienda italiana a realizzare la settimana di quaranta ore; inoltre, fu istituito un valido sistema di casse assistenza per le cure mediche, il sostegno dei redditi, l’indennità di maternità e venne realizzato un vasto programma di edilizia residenziale per impiegati e operai, asili nido, biblioteche e circoli culturali.
Centrale nel pensiero dell’imprenditore fu l’opera di promozione della cultura, l’applicazione di moderni studi urbanistici e la valorizzazione dell’ambiente di lavoro e del territorio circostante; mentre dal punto di vista politico e sociale egli teorizzò un modello di sviluppo armonioso incentrato sul concetto di “Comunità”, da contrapporsi sia agli eccessi del capitalismo sia a quelli del comunismo. Intorno all’idea di comunità, intesa come un’unità omogenea territoriale, economica e culturale, Adrano Olivetti incentrò la sua esperienza politica che lo vide all’avanguardia negli studi e nelle proposte incentrate sul federalismo e sul decentramento amministrativo.

Nonostante alcune parti datate e un po’ retoriche, stupisce la modernità del pensiero e i chiari obiettivi di responsabilità sociale e territoriale che l’Autore addossa alla “fabbrica” e alla figura dell’imprenditore, siamo ad anni luce da un concetto di gestione parassitaria (stile Ilva o Eternit, per intendersi) improntata sul mancato rispetto del territorio, degli abitanti e delle maestranze, mentre emerge un intelligente modello basato sulla valorizzazione e integrazione delle risorse locali e del rapporto città-campagna.    

giovedì 6 giugno 2013

Recensione: Binario Morto: Lisbona – Kiev, alla scoperta del corridoio 5 e dell’alta velocità che non c’è


"Binario Morto: Lisbona – Kiev, alla scoperta del corridoio 5 e dell’alta velocità che non c’è”, di Andrea De Benedetti e Luca Rastello, edizioni Chiarelettere, ISBN: 978-88-6190-375-3.

Un bel libro, scorrevole e divertente; scritto con lo stile disincantato e ironico del diario di viaggio ma incentrato su un’inchiesta e con un obiettivo di denuncia della situazione presente e delle prospettive future del famigerato “Corridoio n°5”; per noi italiani e, soprattutto per i piemontesi valsusini, in breve, e con molte confusioni e approssimazioni: “La Tav”.

Gli Autori hanno percorso tutto il tracciato del “corridoio”, partendo da Lisbona per giungere fino a Kiev. Le sorprese non sono mancate né per loro che, in sintesi hanno finito per costatare e riportare lo stato di (non) avanzamento dei lavori, né per i lettori “casuali” come il sottoscritto, sostanzialmente un po’disinteressati e disinformati riguardo questo tema e che, un po’ controvoglia, cominciano a dover rinunciare al loro pregiudizio positivo nei confronti delle autorità per cominciare a rendersi conto di quanta distanza esista fra la realtà di questo progetto e l’immagine che ci è stata presentata sui mass media.

Per esempio: lo sapevate che il Portogallo ha rinunciato alla sua parte dell’opera? Che in Spagna il corridoio merci procederà, da Algeciras sulla linea tradizionale a un binario (ma con ben tre rotaie! … Per ovviare alle differenze di scartamento)? Che non esiste un collegamento dell’alta velocità fra la Spagna e la Francia e che esso non è nemmeno in programma? Sapete che eminenti“professoroni” sostengono che non è conveniente far viaggiare treni merci a più di 80 km l’ora a causa dell’incremento esponenziale dei costi una volta superate tali velocità? Che le previsioni d’incremento di traffico dei valichi alpini fatte più di dieci anni fa si sono rivelate clamorosamente errate e che il quantitativo di merci transitate si è sensibilmente ridotto anziché aumentare? E’ che il collegamento fra Orbassano e Torino non può essere realizzato secondo progetto perché interferisce con le falde acquifere dalle quali si trae l'acqua potabile della città? E che la Slovenia non è intenzionata a raccordarsi con la linea Italiana? E che l’Ungheria non costruirà ferrovie ma autostrade? E che la linea ferroviaria in Ucraina sostanzialmente non c’è e che quella ad alta velocità non è in programma? E che l’Unione Europea non impone assolutamente l’Alta Velocità e non finanzierà per niente la gran parte dei costi? E che…? 
Vale la pena di leggerlo questo libro ed anche per molti motivi. Quanto esposto dagli Autori, ovviamente, non è sufficiente per farsi un’opinione definitiva sui pro e contro concernenti questo progetto, infatti, non sarebbe serio, se non si è di parte, liquidare come inutile un tema e un’opera oggettivamente complessi. Vale però la pena di cominciare a rendersi conto di quanto sia elevato il numero di variabili che sono fuori da ogni plausibile controllo e di quanto sia vasto e, se vogliamo, indeterminabile l’impatto di costi e benefici che caratterizzano lo scenario di realizzazione di queste opere. Il punto da tenere presente, a mio avviso, é che la stessa UE parla di corridoi intermodali, lasciando chiaramente capire come l’obiettivo, di per sé logico e auspicabile, sia quello di favorire le comunicazioni, lasciando però piena libertà rispetto alle modalità attraverso le quali tale risultato può essere ottenuto. In Italia, invece, la situazione appare confusa perché si mettono insieme nel progetto troppe cose insieme che, apparentemente dovrebbero essere invece tenute distinte, ad esempio: il traffico merci, rispetto a quello dei passeggeri, l’Alta velocità (quindi le linee specializzate) rispetto alla “velocità alta” (treni tecnologici su linee tradizionali potenziate).

Emerge chiaramente quanto sia fragile, se non in mala fede, la sicumera dei tanti sostenitori a priori della Tav a tutti i costi, mentre dall’altra parte, si comincia a intuire le ragioni dei sempre più numerosi dubbiosi. L’unica cosa che finisce per essere certa è che, purtroppo e come il solito, siamo manipolati e volutamente non informati e che i nostri politici non “ce la dicono” né “giusta”, né “tutta”.

nota bene: dimostrando un certo "fair play" gli Autori segnalano che c'è la possibilità di visionare un libro favorevole al progetto TAV scritto da Stefano Esposito e Paolo Foietta, "TAV sì", scaricabile gratuitamente sul sito http://www.tavsi.it/

 

 

mercoledì 5 giugno 2013

Recensione: Bancarotta – L’economia globale in caduta libera


"Bancarotta – L’economia globale in caduta libera”, titolo originale: “Freefall. America, Free Markets and the Sinking of the World Economy”, di Joseph E. Stiglitz, traduzione di Daria Cavallini, edizioni Einaudi, ISBN: 978-88-06-20526-3. 

Il libro del noto economista Joseph Stiglitz si riferisce alla crisi finanziaria del 2008 ed è stato scritto ormai più di tre anni fa. Esso, comunque, rimane attuale sia riguardo all’analisi che spiega le ragioni del crollo, sia rispetto alle soluzioni che sono suggerite per uscire stabilmente dalla situazione di disequilibrio economico che la crisi ha chiaramente delineato. 

Riguardo alle cause del crollo del 2008, il libro fornisce spiegazioni dettagliate che confermano un quadro, rispetto al quale, sono ormai stati scritti fiumi d’inchiostro e, riguardo al quale, non sono mancati i dibattiti. In sostanza si è capito chiaramente che la crisi è stata causata, soprattutto, dall’eccessivo ricorso all’ingegneria finanziaria e agli strumenti finanziari “complessi” (ABS, CDO, CDS, ecc.), spesso dal funzionamento piuttosto ermetico se non volutamente truffaldino; finalizzati alla ripartizione del rischio sul mercato del credito e, in particolare, principali indiziati nel favorire la crescita e il successivo scoppio della bolla immobiliare. Il perché siano stati inventati questi prodotti, i meccanismi perversi che essi hanno avuto sugli incentivi a commercializzarli e il loro conseguente impatto sui bilanci delle aziende bancarie e assicurative da una parte e, dall’altra, sulla vita di tanti cittadini che si sono trovati spesso sia senza casa, sia senza lavoro, sono spiegati efficacemente all’interno dell’opera. Queste però, se vogliamo, sono grossomodo le cause dirette della crisi, ma è risaputo che il vero aspetto interessante e cruciale di questa tragica vicenda verte soprattutto sulla ricerca delle cause profonde per le quali il mercato ha fallito. Riguardo a questo tema, continuano a contrapporsi due filosofie di pensiero che, grossomodo, vedono le cose in maniera speculare. I liberisti della scuola economica classica, sostengono che il mercato abbia fallito per l’eccesso di regole e di tutele e, soprattutto, affermano che, se nessuno (i diversi Governi) fosse intervenuto per alleviare gli effetti della crisi, questa si sarebbe rapidamente risolta. All’opposto, e l’Autore si dichiara di questa fazione, ci sono i neo Keynesiani, che sostengono l’incapacità dei mercati di regolarsi perfettamente da soli e fanno risalire le origini della crisi alla sperequazione fiscale e all’onda lunga della deregulation, progressivamente estesasi a partire dagli oramai lontani anni ottanta del novecento.  

Sposando il credo keynesiano, l’Autore ha, a mio avviso, gioco facile nel dimostrare come si sono creati i presupposti del crollo: la crisi è stata determinata dall’assenza dei controlli, che sono stati eliminati grazie all’opera delle lobby e in nome di un’ideologia sbagliata (la visione neoliberista) che, tra l’altro prevedeva (e lo fa ancora!) un ampio ricorso alla politica monetaria e l’abbattimento delle aliquote fiscali soprattutto per le classi agiate. E’ stato possibile ottenere tutto ciò facendo leva su una rappresentanza politica accondiscendente, poco indipendente largamente incompetente e, diciamolo, se non proprio corrotta e in malafede, almeno di parte o poco lungimirante, che si è schiacciata completamente sugli interessi delle grandi corporation, soprattutto di matrice bancaria e finanziaria. Questo il succo!

Un po’ più fumoso il quadro delle ricette per uscire dalla crisi, che tra l’altro Stiglitz mette a fuoco soprattutto riferendosi alla situazione degli USA, mentre è noto che per l’Europa, le soluzioni proposte dai neokeynesiani risulterebbero di difficile applicabilità dal punto di vista politico, visto che essa è  maggiormente vincolata riguardo alla possibilità di mettere in atto una politica di “deficit spending”. 

Alla fine, comunque, ne viene fuori un bel libro, istruttivo e non noioso che, a mio avviso ma, neanche tanto fra le righe, riafferma ciò che ormai è gridato da ogni parte da un crescente numero di economisti e non: il nostro sistema economico richiede un profondo ripensamento, che Keynes aveva ritenuto necessario fin dall’elaborazione del suo modello teorico per salvare il capitalismo da se stesso; servono più regole e controlli per correggere le inefficienze e le sperequazioni del liberismo “selvaggio” e queste, tanto più sono necessarie, tanto più l’economia si trova lontano dal suo punto di equilibrio naturale. E’ dunque ruolo fondamentale di stati e governi quello di badare a regolare il sistema. Questo ragionamento, secondo me, finisce per mettere il dito nella vera piaga che ci affligge, che si riassume nella crisi della politica e dei nostri modelli democratici che si riflettono nella perdita di credibilità, autorevolezza e indipendenza della classe politica occidentale.

martedì 4 giugno 2013

Processo Eternit: pesante condanna in appelllo per la proprietà


L’imprenditore svizzero Stephan  Schmidheiny, proprietario della Eternit è stato condannato a diciotto anni di carcere e al pagamento di indennità per circa cento milioni di euro. Questo, l’esito finale del processo intentato contro i due proprietari (uno dei quali mancato recentemente) della multinazionale produttrice di prodotti a base di amianto, responsabile di una lunga ecatombe di morti, sia fra gli operai, sia fra la popolazione che vive attorno agli ex siti estrattivi e produttivi.
Il processo ha dimostrato la piena consapevolezza della proprietà e del management rispetto alla pericolosità delle lavorazioni, basti citare ciò che dice la Stampa di oggi (04-06-13, pag.2) :” …Nel giugno 1976 Schmidheiny riunì a Neuss, in Germania, una trentina di supermanager del gruppo Eternit: li sbalordì con il quadro drammatico che fece dei danni alla salute provocati dall’amianto. Ma impartì loro istruzioni per minimizzare i rischi con i lavoratori e popolazioni: l’amianto non poteva essere sostituito efficacemente con altri materiali e si doveva conti nuare ad utilizzarlo nella produzione di manufatti per l’edilizia e per l’industria. Così è stato fino alle chiusure delle fabbriche senza che nemmeno l’amianto blu, quello più micidiale per la salute, venisse accantonato. In tutti questi anni la sola informazione data ai dipendenti italiani della Eternit è stata contenuta in un foglio allegato alle buste paga di un mese. Vi si raccomandava di non fumare: “Il tabacco uccide”. …”.Si tenga presente che:  la pericolosità dell’amianto è nota a partire almeno dai primi anni sessanta del novecento; la produzione nei siti piemontesi della Eternit proseguì fino al 1986 (fonte: Wikipedia).
Uno dei pochi commenti rilasciato dalla difesa (Fonte: La Stampa 04/06/13) è stato: “in questo modo non vi sarà più un imprenditore che vorrà investire in Italia”.
Il commento risulta, ovviamente irritante, ma, più concretamente,  pensando al disastro ambientale dell’Ilva oppure all’incendio alle Acciaierie di Terni a Torino il pensiero corre a quello che, apparentemente, sembra un conflitto insanabile fra ragioni produttive, obiettivi di profitto e tematiche sanitarie e ambientali. Di fronte ad un contesto internazionale (si pensi, ad esempio, ai paesi in via di sviluppo) senza regole è possibile coniugare produzione e un livello di profitti accettabili con la salute e il rispetto dell’ambiente? Posto che, per un paese civile, la risposta non può che essere positiva, è opportuno che si comincino a creare quelle condizioni normative e culturali che permettano l’effettiva messa in pratica del principio.