mercoledì 19 luglio 2023

Recensione: Anarchia

 "Anarchia”; di William Dalrymple; titolo originale “The Anarchy – The Relentless Rise of The East India Company”; traduzione Svevo D’Onofrio, edizioni Adelphi; Isbn 978-88-459-3661-6.

Il saggio descrive l’epopea della Compagnia britannica delle indie orientali a partire dal 1600 fino al suo definitivo scioglimento avvenuto nel 1874.

Nel corso della sua lunga esistenza, benché la Compagnia fosse partita da una condizione di una certa inferiorità rispetto ad altri concorrenti (ad es. la VOC olandese), essa finì per acquisire un potere economico e militare immenso che non coinvolse solo il continente indiano (infine completamente soggiogato da essa), ma tale da divenire una potenza planetaria.

La Compagnia, attraverso il suo potere economico e le sue attività di lobby finì per costituire un vero impero all’interno di un impero, tanto che quello britannico si sentì condizionato e minacciato dalla potenza emanata dalla sua stessa creazione e dovette progressivamente porre sempre più sotto il controllo del Parlamento le attività e gli organi direzionali della Compagnia, giungendo infine a privarla delle sue funzione amministrative nel 1860 (a seguito della cosiddetta “Rivolta dei Sepoy”) data in cui, tutti i possedimenti della Compagnia passarono sotto il controllo della Corona.

La Compagnia non conquistò solo il controllo del continente indiano attraverso una costante opera di interferenza politica, economica e militare con i potentati locali e con le compagnie commerciali concorrenti, ma si spinse ad inglobare il territorio birmano, Singapore, Hong Kong e l’isola di Giava e fu il principale agente responsabile delle due “Guerre dell’Oppio” che contrapposero l’impero britannico alla Cina. Circa un quinto della popolazione mondiale finì per sottostare alla sua autorità.

La politica commerciale della Compagnia fu spesso predatoria, irrispettosa e irriguardosa delle sorti della popolazione ad essa assoggettata (es. disastrosa gestione della carestia del Bengala del 1770) e in più di un caso la sua politica aggressiva la portò ad un passo dal fallimento rischiando di trascinare anche l’impero britannico nei suoi dissesti; dall’altro lato garantì per lo più ritorni economici favolosi ai propri associati dotandoli di immense ricchezze utilizzate non di rado per condizionare la stessa vita politica britannica.

In sintesi, la storia della Compagnia rimane a costante memento dell’immenso potere che può scaturire da un “persona giuridica” con finalità esclusivamente o prevalentemente economiche e la sua storia dovrebbe insegnare a tutti gli agenti politici, soprattutto quelli operanti in società democratiche, la necessità di vigilare contro lo strapotere che può scaturire dalla potenza economica di un Ente. Per chi lo vuol vedere, infatti, il problema del potere passato e presente di certe Corporation (spesso definite “Too big to fail”) è ancora un tema attualissimo e costituisce un pericolo potenziale per il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche e, spesso, un grosso fattore di perturbazione delle economie (ricordiamoci dell'ancora relativamente recente crisi finanziaria del 2007!).