venerdì 17 dicembre 2021

Recensione: "L’arte di non essere governati – Una storia anarchica degli altopiani del Sud-est asiatico"

"L’arte di non essere governati – Una storia anarchica degli altopiani del Sud-est asiatico”; di James C. Scott; titolo originale: “The Art of Not Being Governed. An Anarchist History of Upland Southeast Asia”; Traduzione di Maddalena Ferrara; edizioni Einaudi, Isbn 978-88-06-24469-9.

L’area di cui si parla è stata definita dallo storico olandese Willem van Schendel “Zomia”, sulla base di un termine diffuso in parecchi dialetti locali che significa “abitante degli altopiani”. Geograficamente si tratta di una vasta area collinare e montuosa che si estende fra India Nord-orientale, Birmania-Myanmar e penisola indocinese, qui comprendendo ampie zone di Vietnam, Laos e Thailandia. Questa vasta zona, da sempre costituisce un’area di rifugio per tutte quelle etnie e parte delle popolazioni che tende a sottrarsi al controllo centralizzato che emana tradizionalmente dalle zone di pianure, aree che invece, da millenni sono amministrate da regimi centralizzati.

L’Autore si addentra sull'analisi delle differenze economiche, culturali e sociali che caratterizzano i due modelli contrapposti eppure, in parte, anche porosi e sinergici; l’uno basato storicamente sull'agricoltura risicola intensiva e su modelli sociali gerarchizzati, l’altro caratterizzato più sulla diversificazione delle culture e dall'agricoltura itinerante e, politicamente, più frammentato ma socialmente più egualitario.

L’Autore critica anche una percezione culturale diffusa che è spesso caratterizzata da una visione semplicistica dei due diversi modelli e che, in termini generali, definisce le società strutturate delle pianure come “civili” contrapponendole alle popolazioni degli altopiani etichettate come “selvagge”. La definizione di “civiltà” risulta spesso fuorviante ed ambigua in questi casi e, soprattutto, la Storia ufficiale solitamente tende a privilegiare e ad emanare il punto di vista delle società strutturate che, attraverso l’uso della scrittura lasciano maggiori tracce di sé e che, in virtù del loro peso demografico, tendono ad assumere il controllo delle aree periferiche attraverso un processo che non si può che definire “imperialista”.

In sintesi, Saggio interessante nelle premesse e nelle argomentazioni ma che finisce per essere spesso inutilmente ripetitivo.


martedì 7 dicembre 2021

Recensione: Abitare la frontiera - Lotte neorurali e solidarietà ai migranti sul confine franco-italiano

"Abitare la frontiera - Lotte neorurali e solidarietà ai migranti sul confine franco-italiano”; di Luca Giliberti; edizioni Ombre Corte, Isbn 9788869481673.

Il saggio è incentrato sull'esperienza sul campo dell’Autore che lavora come sociologo presso l’Università di Genova. L’opera si concentra sul caso della Val Roja, valle francese confinante con il cuneese e ad esso collegata attraverso il passo di Tenda.

A partire dal 2015, a seguito dell’inasprimento dei controlli di frontiera relativamente ad altri punti di accesso, la valle si ritrova interessata da un significativo flusso migratorio che trova il suo collo di bottiglia nella cittadina ligure di frontiera di Ventimiglia. Il fenomeno acquista una tal portata da divenire un “caso” che, tra le altre cose, porta ad una crescente militarizzazione della frontiera da parte delle autorità italiane e francesi.

Fra le varie conseguenze del fenomeno l’Autore si interessa allo studio del diverso comportamento della popolazione locale che, grossomodo, si divide in blocchi polarizzati. Una componente del tessuto territoriale si fa coinvolgere nell'attività di assistenza ai migranti anche mettendo in atto comportamenti sanzionati dalle autorità, un’altra parte è invece sostanzialmente ostile nei confronti dei migranti e si schiera su valori più “conservatori”.

L’Autore si concentra su uno studio etnografico con l’obiettivo di determinare le caratteristiche e le ragioni rilevanti che spieghino la diversa composizione e il diverso atteggiamento dei due diversi raggruppamenti di “locali” nei confronti dei migranti e, nel condurre la sua analisi, produce anche una serie di indizi utili che gettano una luce sul come si stia caratterizzando nel tempo il fenomeno di spopolamento e di reinsediamento delle nostre montagne (al di là del caso specifico).

L’Autore (per sua stessa dichiarazione) risulta un po’ di parte. Personalmente però, ho trovato gli spunti e i risultati dell’analisi piuttosto interessanti persino là dove non ero sicuro di condividere le stesse opinioni dello scrivente. 

Recensione: Uccidi per primo – La Storia segreta degli omicidi mirati di Israele

 "Uccidi per primo – La Storia segreta degli omicidi mirati di Israele”, di Ronen Bergman; titolo originale: “Rise and Kill first”; Traduzione di Sara Crimi e Laura Tasso; edizioni Mondadori, Isbn 978-88-04-70290-0.

Il saggio copre le gesta dei servizi di sicurezza a partire dalla costituzione dello Stato di Israele fino ai giorni nostri (2010) ancorché riporti anche alcuni episodi precedenti e risalenti al periodo di occupazione inglese.

Molto preciso, spesso costruito sulla base di una solida documentazione e di testimonianze dirette, ben annotato e argomentato, non lascia dubitare della veridicità dei fatti che vengono riportati e, allo stesso tempo, può essere letto come un romanzo tanto coinvolgente quanto divisivo.

Il tema trattato è indubbiamente difficile da inquadrare perché, per definizione descrive affari “sporchi” e azioni spesso in contrasto non solo con le leggi ma anche con la morale e i sentimenti comuni; questo però è esattamente il “terreno di gioco” di questo tipo di organizzazioni che, appunto, spesso e per necessità, si collocano in un limbo etico/normativo.

Detto ciò, sulla base del mio parere personale e, sembrerebbe, anche sulla base di ciò che pensa l’Autore, i fatti riportati nel saggio possono prestarsi, sul piano morale, ad una classificazione temporale che, seppur grossolana come tutte le categorizzazioni, io penso di aver percepito. Questa linea di demarcazione è costituita dall'invasione del Libano del 1982 (operazione “pace in Galilea”). C’è un “prima” dove si percepisce la volontà dello Stato d’Israele di sopravvivere in un contesto che lo vedeva oggettivamente svantaggiato e, di conseguenza, in questa ottica molti (mis)fatti, trovano agli occhi di un lettore imparziale una certa giustificazione; lentamente però emerge un “dopo” che vede uno Stato sempre più strutturato e forte assumere progressivamente una natura più imperialista ed egemone e allora, il baricentro morale tende a spostarsi...  

Questi però sono ovviamente i pensieri di chi può permettersi di esaminare i fatti mentre se ne sta comodamente seduto in poltrona ...

mercoledì 13 ottobre 2021

Assalto No Vax alla sede GCIL: A quando una risposta decisa dalle Autorità?

Forse non sarà un modo molto "politically correct" per esprimere il concetto ...

Basta con questi quattro gatti rompi scatole e violenti! Leggendo dell’assalto alla sede della CGIL, sinceramente mi chiedo quando le nostre forze dell’ordine si decideranno a spazzar via tutto questo “marciume” costituito per lo più da estremisti di destra e macachi ignoranti: “No pass”, “No Vax”, “sovranisti” e altre sigle di guitti, fanatici, complottisti ed altri disturbati.

Questi trattamenti li riserviamo solo agli studentelli, effettivamente pacifici e corretti, del G8 di Genova?

Tra l’altro, molti di questi "zooantropi" (vi piace il neologismo?) si dichiarano fan dello “Stato Forte”, dunque cosa si aspetta a mostrare i muscoli?  Arrestiamoli tutti e facciamoli marcire in galera e, alla prossima manifestazione, spazziamoli via con una carica in stile “cavalleria cosacca” in omaggio ad uno stile "retrò" di stampo zarista! Sono convinto che loro stessi apprezzerebbero in fondo in fondo, almeno nel loro subconscio e mentre si massaggiano il cranio e il fondo schiena! 😊


mercoledì 6 ottobre 2021

Recensione: Buchi neri, wormholes e macchine del tempo

 

"Buchi neri, wormholes e macchine del tempo”; di Jim Al-Khalili; titolo originale: “Black Holes, Wormholes & Time Machines”; traduzione di Elisabetta Maurutto, edizioni Dedalo, Isbn 9788822062673.

Avevo già letto altri libri del medesimo Autore (“La fisica dei Perplessi”, isbn 9788833925158 e la “Fisica del Diavolo”, isbn 9788833923123) e mi ero trovato benissimo con il suo stile veramente accessibile a tutti; quindi, sono andato a “colpo sicuro” e, anche questa volta, sono stato pienamente soddisfatto nelle mie aspettative.

Il Saggio parla, ovviamente della fisica moderna e del suo status quo (anche se ormai ci sono sicuramente pubblicazioni più recenti sull’argomento), soffermandosi sulle meraviglie e sui paradossi che ancora emergono considerando le tre grandi teorie che si cerca di far convergere insieme nella cosiddetta “Teoria del Tutto”: le due teorie di Einstein sulla relatività (generale e ristretta) e gli studi sulla fisica quantistica.

In specifico però, con una strizzatina d’occhio a “Flatlandia”, si parla dello “Spazio” (prima parte), della sua bizzarra natura, delle sue molteplici dimensioni (fino alle 11 previste nella “Teoria delle Stringhe” ... ma pare che non bastino!), della sua origine, insieme a tutto il resto dell’Universo e delle strane caratteristiche di alcuni suoi “corpi” e/o “luoghi” (un buco nero è un corpo, un luogo ... oppure un “non” luogo?). Una seconda parte è dedicata al “Tempo” e alla sua relatività e direzionalità, infine, nella terza parte ci si avventura nel tema dei viaggi nel Tempo. Potremo un giorno viaggiare nel tempo? ... come si viene a capo dei tanti paradossi che questa possibilità renderebbe manifesti? ... cos’è, come si trova o come si “crea” un “Tunnel temporale” o “Wormhole”?  

Buona lettura!

lunedì 16 agosto 2021

Recensione: Conquistador – Cortés, Montezuma e la caduta dell’impero azteco

 "Conquistador – Cortés, Montezuma e la caduta dell’impero azteco”, di Buddy Levy, titolo originale: “Hernàn Cortés, King Montezuma and the Last Stand of the Aztecs”; traduzione di Luna Orlando, edizioni Bruno Mondadori, Isbn 9788861594166.

Bellissimo saggio, dettagliato e avvincente come un romanzo d’azione.

La storia della conquista del Messico, della caduta dell’impero azteco e dell’intricato rapporto che intercorse fra Montezuma e Cortés ha veramente dell’incredibile tanto che, se non fosse storia, sicuramente la si crederebbe opera di fantasia.

Notevole il ritratto di Cortés e dei tanti conquistadores che lo accompagnarono; certamente furfanti, avidi, feroci e, per lo più, bigotti, ma dotati di una vigoria fisica, di un coraggio, di una tenacia e di una determinazione da lasciare stupefatti ... Que hombres excepcionales!  

Kabul è caduta! ... come al solito, per altro!

Ecco che si ripete la nemesi storica afghana e, per l’ennesima volta, un governo supportato dall'intervento straniero viene spazzato via!

Già Alessandro Magno si era impelagato nella regione che corrisponde in parte con l’attuale Afghanistan; forse, a quei tempi, le cose non andarono poi tanto male, posto che quei territori furono centro di una fiorente civiltà sincretica e, almeno nominalmente, fecero a lungo parte dell’impero seleucide anche dopo la morte del condottiero.

Quello che è certo però è che, in tempi “moderni”, cercare di controllare l’Afghanistan non è mai stata una buona idea. Ci hanno provato gli inglesi a più riprese a partire dal 1839 e, in quel frangente con esiti disastrosi, mentre andò meglio con la campagna del 1878 -1880 (“Seconda guerra Afghana”), ma alla fine si tornò al punto di partenza al termine della “Terza guerra Afghana” (1919) a seguito della quale questi territori riottennero la piena indipendenza.

Poi fu la volta dei russi con un conflitto che durò dal 1979 al 1989 ed infine ecco il turno degli americani e dei rispettivi alleati (compresi noi italiani) che, a partire dal 2001 sono rimasti impantanati laggiù per vent'anni per poi assistere al crollo del governo da essi supportato nel giro di pochi mesi!

E adesso a chi passa il cerino? Viene infatti un poco il sospetto che dietro l’abbandono del teatro dopo vent'anni di presenza infruttuosa ci sia non solo il desiderio di lasciarsi alle spalle l’ennesima esperienza fallimentare in quelle lande, ma anche il non troppo celato proposito di mettere nei guai proprio qualcuna delle altre più o meno conclamate potenze regionali. Certamente i russi e relativi alleati, i cinesi, gli indiani, i pakistani e gli iraniani saranno   giustamente in apprensione 😊!

Quantomeno per il popolo afghano in toto, speriamo che non si ponga il problema e che non siano necessari altri “gendarmi” per spiegare a queste popolazioni come debbano comportarsi a casa loro; ma soprattutto c’è da sperare che i talebani, obbiettivamente da considerarsi gli attuali vincitori, abbiano fatto tesoro dell’esperienza precedente, siano infine anche loro stufi di vivere perennemente in guerra, siano disposti a una maggiore moderazione e che, soprattutto, siano propensi a condividere il potere anche con le altre componenti politiche ed etniche del Paese... sennò sarà di nuovo il caos!

Solo con il tempo si potrà capire come evolveranno le cose, sicuramente però non c’è da essere molto ottimisti e, non vorrei proprio essere nei panni di una giovane studentessa afghana o di qualche collaboratore del passato governo! Come il solito, in questo immane disastro chi ci andrà di mezzo saranno le persone normali ...

Tornando a noi, io però ancora mi chiedo ... ma noi italiani cosa ci facevamo laggiù da così tanto tempo? Per quale misterioso “interesse”? Con quale ambizioso obiettivo? Qualcuno se lo ricorda?

Possibile che la nostra condizione di vassallaggio sia ancora così stringente da costringerti a far parte di tali disastri annunciati in luoghi oggettivamente così lontani e alieni?

mercoledì 16 giugno 2021

Recensione: Tiger nel fango

 

 "Tiger nel fango” di Otto Carius, traduzione di Vincenzo Valentini, Edizioni Italia Storica Isbn 9788894226546.

Spigolando nella libreria in tempi di Covid mi sono imbattuto in questo libro acquistato dai miei figli fan di video games “carristi” (war thunder, world of tanks ... ammetto che piacciono anche a me 😊!).

Si tratta della biografia di uno dei più famosi carristi tedeschi della Seconda guerra mondiale; veterano del fronte orientale, gli fu accreditata la distruzione di più di 150 mezzi corrazzati nemici. Venne decorato con una delle massime onorificenze previste dal regime nazista (la croce di cavaliere con fronde di quercia), combatté fino all’ultimo sul fronte occidentale e dopo la guerra aprì una farmacia. Aggiungo (per me questo è importante visto il soggetto trattato) che sul suo conto, facendo qualche rapida ricerca in rete, non si fa alcuna menzione riguardo a particolari simpatie e vicinanze con il regime nazista o, nel dopo guerra, con movimenti di estrema destra. Anzi, l’Autore, per sua stessa ammissione scrisse queste memorie per “riscattare l’onore” di tanti soldati tedeschi cercando di spiegare, in un dopoguerra che vide (fortunatamente) la piena condanna del nazifascismo, che la grande parte dei militi fecero semplicemente il loro dovere di soldati senza forse porsi troppe domande riguardo al regime che stavano servendo (penso che questo sia valso anche per tanti italiani) perché prevalse il sentimento di lealtà verso la Patria e quello verso i propri commilitoni; in fondo, la spiegazione più semplice e naturale del fenomeno!

Tornando al libro, non ci aspetti nessun particolare capolavoro; le descrizioni sono asciutte e tutto viene spiegato nei termini e nel linguaggio più semplice e con l’ausilio di qualche cartina un po’ rudimentale. L’Autore racconta gli episodi come se descrivesse ciò che vedeva sotto i suoi occhi durante lo svolgimento delle azioni e della vita al fronte, gettando solo qualche commento riguardo alle più o meno buone capacità di comando dei propri superiori. Curiosamente, emerge una certa stima delle qualità dei soldati sovietici ...

Tutto ciò non intacca l’interesse per questa biografia che per me ha proprio il pregio di spiegare in modo semplice, razionale e molto umano il “perché” i soldati tedeschi combatterono fino all’ultimo con quella “professionalità”, dedizione (spesso intesa da altri come fanatismo) e magari con quel briciolo di ottusità che, in fin dei conti sono qualità che tendiamo a riconoscere a questo popolo.

martedì 8 giugno 2021

Un commento sul caso di Saman Abbas

Sono rimasto colpito dal caso di Saman Abbas, la giovane donna pachistana uccisa di recente a causa del suo rifiuto di convolare a nozze combinate. Il mio stupore non riguarda tanto il caso in sé che, purtroppo risulta simile ad altri fatti di cronaca che raccontano episodi analoghi, ma il fatto che, in questo caso, sulla base di quanto leggo sul giornale, l’esito del dramma appariva prevedibile, ma soprattutto PREVENIBILE.

Ad esempio, su: https://www.repubblica.it/cronaca/2021/06/07/news/saman_uccisa_in_13_minuti_lo_zio_l_ha_strangolata_dopo_mio_padre_piangeva_-304736292/?ref=RHTP-BH-I293269148-P2-S1

Viene raccontata tutta la vicenda, ma quello che emerge in sintesi è che la ragazza era già ospite di una comunità protetta e che si era recata nuovamente dai genitori per recuperare i suoi documenti e effetti personali.

Dunque, la situazione di pericolo/disagio era già nota ai nostri servizi sociali e mi chiedo come mai, in casi del genere, si permetta che una persona a rischio venga lasciata sola ad entrare nella tana del leone, senza che venga accompagnata da un assistente sociale o, forse meglio, da qualche agente di pubblica sicurezza.

In sintesi, questa giovane donna non l’abbiamo certo uccisa noi, ma mi sembra, che noi abbiamo permesso che ciò accadesse a causa della nostra “incuria”. Se infatti, gli altri sono “barbari”, noi certamente non ci distinguiamo per l’efficienza con la quale facciamo applicare le nostre regole, i nostri principi e, soprattutto, per come tuteliamo coloro che si affidano alla nostra assistenza e protezione.

lunedì 8 febbraio 2021

Recensione: La strettoia - come le nazioni possono essere libere

 "La strettoia – come le nazioni possono essere libere”, titolo originale: “The Narrow Corridor”; di Daron Acemoglu e James A. Robinson, traduzione di Fabio Galimberti e Gaia Seller, editrice Il Saggiatore, Isbn 978-88-428-2702-3.

A metà del milleseicento Hobbes pubblica “Il Leviatano, o la materia, la forma e il potere di uno stato ecclesiastico e civile” prendendo a prestito la figura del Leviatano, il mitico mostro marino, per raffigurare il potere dello Stato. Hobbes è quindi forse il primo filosofo a formalizzare una serie di temi antichi quanto noti che ruotano attorno almeno ad un paio di concetti:

1)     Da una parte, comunemente (ma non universalmente!)  si riconosce come un’organizzazione statale sia necessaria o, quantomeno benvenuta per congiurare la “Warre”, cioè la guerra di tutti contro tutti che, inevitabilmente caratterizzerebbe una società senza Stato. Lo Stato deve quindi essere dotato di forza e autorità (nonché, si spera, di autorevolezza!) e, in particolare, ad esso va ascritto quel “monopolio” dell’uso della forza che gli permetta di imporsi sui propri cittadini e/o sudditi e quindi, sui “nemici” interni o esterni che siano.

2)  Dall’altra risulta raccomandabile, se non proprio necessario” incatenare” il Leviatano, cioè trovare quella serie di contrappesi politici, legali e culturali che impediscano la crescita dispotica del Leviatano, in modo che tale eccesso di potere non soffochi le libertà e le iniziative individuali.

In sintesi, l’intero (bellissimo) saggio distingue tra:

a)  Società ove il Leviatano è “assente”, cioè ove il potere dello Stato è inesistente o attivamente depotenziato da norme sociali e/o gruppi di potere alternativi.

b)  Società ove il Leviatano è “dispotico”, cioè ove il potere dello Stato è saldamente presente, ma non validamente contrastato da adeguati contrappesi che permettano il fiorire delle libertà individuali, dando così spazio alle forme di autoritarismo.

c)   Società ove il Leviatano è di “carta” per le quali gli autori tendono a trasmettere un’immagine ove lo Stato è caratterizzato da un apparato burocratico disfunzionale, anche se non necessariamente dispotico. In questi casi, anche se uno Stato non è necessariamente violento e autoritario, esso si dimostra largamente inefficiente ed incapace di sopperire ai bisogni della società civile.

d)   Società ove il Leviatano sia ragionevolmente “incatenato”, cioè zavorrato da quella giusta combinazione di contrappesi atti a limitarne gli eccessi. Tali situazioni costituiscono la condizione necessaria per ottenere una durevole crescita di quelle società in termini sociali, civili, culturali ed economici.

È evidente quindi che, per gli autori l’unica condizione auspicabile sia quella di una società retta da un Leviatano incatenato.

Detto ciò, essi non si limitano alla proposta di concetti statici e, attraverso una serie di esempi storici e attuali guidano il lettore attraverso il processo, le cause, le iniziative e i contesti che spiegano le ragioni per le quali in alcuni luoghi e momenti si creino e si siano le create le condizioni per giungere a qualcuna delle figure sopracitate del Leviatano.

Più importante di tutto, gli autori giungono infine alla loro sintesi (per me convincente) che consta di alcuni messaggi molto importanti, fra i quali:

-    Le società sono dinamiche, c’è un percorso che porta alla creazione di Stati ove il Leviatano viene incatenato con successo, ma non si può dormire sugli allori; tali società possono involvere in un processo che le porta al dispotismo (es. Italia fascista?) o allo stato di “nazione fallite” (es. Somalia?).

-       Il percorso che porta a creare e ad incatenare il Leviatano è essenzialmente “interno” e dinamico. Consta nel continuo impegno effettivo dello Stato a sopperire ai crescenti bisogni della cittadinanza contrapposto all’impegno della società civile a contrastarne gli eccessi di potere e a limitarne le indebite interferenze nella sfera privata derivanti proprio dal ruolo crescente che lo Stato è chiamato ad assumere. Gli autori parlano quindi di un effetto “Regina Rossa”, prendendo in prestito un’immagine tratta dal romanzo “Alice attraverso lo specchio” (il meno conosciuto sequel di “Alice nel paese delle meraviglie”), ove la Regina Rossa e, in generale il “sottomondo” sono costretti a correre continuamente per conservare uno stato di equilibrio invariato.

-     Una volta che il Leviatano sia stato adeguatamente incatenato esiste dunque un percorso virtuoso che tende ad allargare le maglie di tale traiettoria, in altre parole, le pareti del “corridoio” si allargano rendendo più difficile un regresso verso forme più sgradite di governo. Lo Stato, e la società civile divengono quindi mutualmente e progressivamente sempre più consapevoli delle reciproche interdipendenze diventando anche più resilienti di fronte al rischio di involuzione e aumentando il tasso di fiducia reciproci, condizione necessarie per un’ulteriore fase di crescita.

In conclusione, una lettura che, secondo il mio parere non può che essere interessantissima e piacevole (bellissima la serie di tutti i “casi” prodotti ad esempio) e che costituisce il degno complemento dell’opera precedente già pubblicata dai medesimi autori:

“Perché le nazioni falliscono – alle origini di prosperità, potenza e povertà”; titolo originale: “Why Nations Fail”, Il Saggiatore, isbn 978-88-428-1873-1.


giovedì 4 febbraio 2021

Sorge l'alba dei Draghi?

Trovo vagamente umiliante che un Paese civile non riesca mai ad esprimere un politico di livello, eletto dal popolo (ne esistono in Italia?), che sappia trarre la Nazione fuori dagli impicci nel momento del bisogno; in più, nutro sempre un certo scetticismo verso il cosiddetto ”uomo del destino” che, in virtù delle sue superiori doti, risolva finalmente almeno qualcuno dei nostri annosi problemi. Dunque, non mi faccio molte illusioni, Mario Draghi, come già Mario Monti prima di lui, potrebbe essere l’ennesimo tecnico che poi finisce per impantanarsi nella nostra palude politica.

Eppure, un po’ ci spero e ci credo e non solo per “fede” ma anche per “logica” e “ragione”, perché viste le caratteristiche e le competenze del personaggio, i tempi perigliosi, e soprattutto, le possibili figure alternative politiche c’è comunque da tirare un gran sospiro di sollievo; sono infatti ragionevolmente convinto che la scelta del Presidente della Repubblica non potesse essere migliore.

Dunque, in bocca al lupo con tutto il cuore Mario Draghi! E fosse la volta buona che si combini qualcosa di realmente buono e si riesca finalmente a prendere un po’ il vento invece di limitarsi a beccheggiare... se poi non si finisse spiaggiati come al solito sarebbe anche meglio! 😊

venerdì 15 gennaio 2021

Recensione: Il prigioniero libero

 

 "Il prigioniero libero” di Giuseppe Trautteur, editrice Adelphi, ISBN 978-88-459-3514-5.

Esiste la liberà scelta? Esiste il libero arbitrio? E, di conseguenza, esiste il principio di “responsabilità”?

Sul piano scientifico, fisico, biologico, medico questi interrogativi appaiono privi di sostanza, ed anzi, gli studi neurologici recenti sembrano propensi ad attribuire ai nostri comportamenti un certo “determinismo”. L’accettazione sociale e sul piano giuridico di questi concetti potrebbe dunque comportare uno stravolgimento ed un completo cambio di paradigma del nostro modo di giudicare l’altrui operato.

Questo, mi pare essere il “succo” di questo breve saggio. L’uso del termine “mi pare” risulta doveroso perché, devo ammettere di aver incontrato una certa difficoltà a seguire tutto il filo del discorso.

Ritengo che il peggiore difetto di quest’opera sia proprio la sua brevità, nel senso che molti approfondimenti siano demandati direttamente a delle note che rimandano ad articoli, saggi ed interventi che il lettore dovrebbe pazientemente cercare, leggere e approfondire per potersi muovere agevolmente nel contesto. Tutto ciò supera ampiamente la disponibilità di tempo che può mettere a disposizione un semplice curioso.