martedì 25 agosto 2015

Recensione: Un Anno sull’Altipiano


“Un Anno sull’Altipiano”, di Emilio Lussu, edizioni Einaudi, ISBN: 978-88-06-21917-8.
 
Si tratta di un classico sulla Prima Guerra Mondiale scritto dall’Autore fra il 1936 e il 1937 durante una convalescenza in Svizzera e pubblicato in Francia nel 1938 (Lussu era un fuoriuscito antifascista fuggito dal confino e, pertanto, egli non poteva rientrare in patria). Il libro venne pubblicato in Italia per la prima volta solo nel dopoguerra.
 
Gli eventi trattati riguardano un solo anno di guerra, fra il giugno 1916 e il luglio 1917, periodo entro il quale la Brigata Sassari fu trasferita sull’Altipiano di Asiago per arginare l’offensiva della truppe austro-ungariche attuata nel corso della “Strafexpedition", (“Spedizione punitiva”).
 
Lussu scrisse il suo resoconto solo a seguito delle forti pressioni esercitate da Gaetano Salvemini, suo grande amico e compagno di lotta contro il regime fascista e forse, proprio per questo, il libro si presenta sotto forma di un memoriale molto “asciutto” (circa 200 pagine), sobrio, incredibilmente scorrevole, coinvolgente ma, curiosamente privo di eccessi retorici. Ciò mi appare singolare, se si tiene conto che l’Autore non nasconde ne rinnega il fatto di essere stato un giovane studente “interventista”.
 
Coerentemente, egli si arruolò volontario per la Grande Guerra e ne uscì con il grado di capitano dopo essere stato decorato più volte per atti di coraggio (fonte Wikipedia); eppure, a parer mio, in “Un Anno sull’Altipiano” emerge il ritratto di una figura pacata, lontanissimo dalla prosopopea dell’eroe marziale, agli antipodi rispetto a figure guerresche e grottesche quali ad esempio, il nostro “vate” nazionale, Gabriele D’Annunzio.
 Osservatore attento e empatico nei confronti dei propri commilitoni e persino dei suoi avversari, per i quali è capace di parole d’ammirazione, non ama evidentemente i paroloni e le frasi altisonanti e si limita a descrivere la realtà della guerra per quel che è, facendo ricorso ad uno stile da cronista moderno che, a parer mio precorre i tempi. Semmai, egli, pone una certa enfasi nello stigmatizzare l’incredibile stupidità, disumanità, supponenza e impreparazione degli ufficiali di grado superiore e, in poche pagine riesce a rendere chiaro al lettore dove va il merito del successo italiano, tutto da ascrivere alla tenacia, al coraggio e allo spirito di corpo di soldati e ufficiali inferiori e non certo dovuto alle doti tattiche e strategiche dei nostri alti comandi.

martedì 18 agosto 2015

Recensione: Liberi Servi– Il Grande Inquisitore e l’enigma del Potere


“Liberi Servi– Il Grande Inquisitore e l’enigma del Potere” di Gustavo Zagrebelsky, edizioni Einaudi, ISBN: 978-88-06-20458-7.

Il saggio è incentrato su la “Leggenda del Grande Inquisitore”, uno dei capitoli più noti de i “Fratelli Karamazov”, di Fëdor Dostoevskij. A partire da quel testo, Zagrebelsky estende la sua analisi un po’ all’intera produzione letteraria del noto scrittore russo tracciandone un excursus che mette in evidenza il progressivo approfondimento dei temi cari all’Autore: la distorsione attuata dal cattolicesimo (contrapposto al mondo ortodosso) del messaggio cristiano, il rapporto “necessario” che sussiste fra i concetti di “Bene” e “Male”, gli effetti corrosivi del nichilismo, l’ostilità verso il progresso tecnologico, il timore dell’allontanamento dal mondo tradizionale e pastorale a scapito di un inurbamento foriero di artificialità e disumanizzazione, ecc.

In sintesi il saggio, che estende la sua analisi anche al nostro attuale modo di vivere, mi è apparso utile e ben fatto, ma devo aggiungere che, a mio parere, i temi trattati nella “Leggenda del Grande Inquisitore”, per quanto interessanti e per quanto bella essa sia, non valgano più la fatica di affrontare un romanzo come “Fratelli Karamazov” che, ormai per me, ha fatto il suo tempo.

lunedì 17 agosto 2015

Recensione: L'Adversaire


“L’Adversaire”, di Emmanuel Carrère, edizioni Folio, ISBN: 978-2-07-041621-9.

Se questo romanzo fosse una “fiction” avremmo scosso le spalle delusi dalle “sparate” dell’Autore colpevole di aver messo in piedi una trama che, secondo logica e buon senso non potrebbe stare in piedi. Invece si tratta di una storia vera, incredibile, surreale, impossibile, come solo la realtà sa essere in certi casi.

Jean-Claude Romand è un medico di successo ricercatore presso l’OMS con sede a Ginevra. Vive da frontaliero di lusso attraversando quotidianamente il confine e conducendo una vita agiata ma un po’ appartata nella provincia francese; conosce e frequenta politici e personaggi di spicco; manda i figli alle scuole private; è stimato da amici e parenti e si permette persino un’amante che corteggia a suon di cene e doni costosi. Il 9 gennaio 1993, “inspiegabilmente” uccide moglie, figli e genitori tentando (senza convinzione) il suicidio. “Perché!”, si chiedono tutti? Perché la vita di Jean-Claude per oltre quindici anni è stata una totale impostura; egli non è nulla di ciò che sembra: non è medico (non è neppure laureato), non lavora all’OMS e campa truffando gli ignari parenti e, nel momento in cui il suo castello di menzogne ha cominciato a sgretolarsi, non ha retto alla vergogna di vedersi svelato di fronte ai propri affetti.

Jean-Claude verrà condannato all’ergastolo (per tranquillizzarvi, nel romanzo viene detto che dovrebbe uscire quest’anno, nel 2015!) e l’Autore vorrà conoscerlo, intrattenere con lui della corrispondenza e, soprattutto cercherà di “capirlo” (anche se, non di “giustificarlo”).

La lettura di questo romanzo potrebbe apparire a molti un tantino fastidiosa, personalmente però, lo definirei un caso “interessante” e quello che lo rende tale ai miei occhi non è tanto l’impostura, che non è certo un fenomeno raro (nei fatti di cronaca si legge spesso di falsi medici e avvocati e molti di noi conoscono persone che hanno mentito per anni riguardo al loro curriculum universitario!), ma la dicotomia fra quella che è la vera vita del protagonista contrapposta a quanto, invece, viene creduto e percepito all’esterno anche dalle persone più intime. Il più abissale e noiosissimo “nulla” (di quello che a me sembra il ritratto di un perfetto “sfigato”) rivestito da una scintillante patina di successo.

Dietro a tutto ciò, personalmente e da profano vedo solo della gran vigliaccheria, l’Autore, invece, che a quel tempo doveva essere nella sua fase di fervore religioso, si sforza di trovarci qualcosa di più, e finisce per scorgerci nientemeno che l’ombra delle corna e degli zoccoli de l’”Adversaire”, in altre parole, il Diavolo. Boh!