martedì 27 dicembre 2011

Recensione: Furore

“Furore”, titolo originale: “The Grapes of Wrath”, di John Steinbeck, editrice Biblioteca di repubblica, traduzione di Carlo Coardi, ISBN: 84-8130-512-X.
Il romanzo descrive le vicissitudini della famiglia Joad, famiglia contadina del Midwest costretta ad emigrare in California a seguito dei cambiamenti economici e sociali prodotti dalla Grande Depressione. Ho riletto il libro subito dopo aver svolto qualche ricerca e dopo la lettura di qualche saggio su quel periodo storico e forse, proprio per questo, ho veramente apprezzato l’opera di Steinbeck, la quale, a mio avviso, si merita pienamente di essere inclusa fra i capolavori della letteratura del novecento.
Il libro descrive in maniera drammatica gli avvenimenti e la situazione di quegli anni partendo dal fenomeno delle “Dust Bowls”, le tempeste di polvere che si abbatterono sulle Grandi Pianure a seguito di una nefasta alternanza di periodi di siccità e di alluvioni, uniti agli effetti delle cattive tecniche agricole e alla scarsa rotazione delle culture. Questi fenomeni, ai quali si sommarono quelli economici, principalmente legati alla caduta dei prezzi agricoli, alla meccanizzazione dell’agricoltura e all’espropriazione dei terreni delle famiglie indebitate, produssero un esodo di massa di proporzioni bibliche verso altre zone degli Usa ritenute, spesso a torto, più prospere, come ad esempio la California.
La lettura suscita emozioni e sensazioni forti; difficilmente si sfugge alla commozione di fronte ai tanti disagi, ma anche di fronte alla forza, alla generosità e alla solidarietà dei protagonisti, mentre forte è l’indignazione per le ingiustizie che devono subire questi soggetti, un tempo liberi, e ora ridotti alla condizione di nomadi migranti; impossibile non riflettere sulle tensioni sociali createsi a seguito di questi eventi e sui conseguenti atti di razzismo causati da questa immensa diaspora; oppure non odiare gli effetti della speculazione finanziaria o dei grandi latifondisti e dell’industria conserviera. Ma è soprattutto la descrizione del clima politico liberticida a colpire di più: i soprusi e le provocazioni della polizia locale collusa con i latifondisti, ai quali peraltro, si oppone invece una politica molto più accondiscendente, umanitaria e preveggente delle autorità federali, diretta conseguenza dei tentativi di Hoover e poi di Roosevelt di attenuare gli effetti della crisi, le quali però non riescono a evitare lo squadrismo contro i migranti e gli atti d’intimidazione e di violenza dei locali che spesso si spingono fino all’omicidio pur di stroncare sul nascere la spontanea inclinazione dei braccianti a organizzare qualche forma di sciopero o di rappresentanza sindacale per mantenere le paghe almeno al livello di sussistenza. Altro aspetto impressionante è l’assillo economico che spinge proprio i più poveri a una feroce competizione al ribasso per un posto di lavoro pur di garantire a se stessi e alle proprie famiglie una minima chance di sopravvivenza. E’ questo il mito americano viene da chiedersi? Ma la potenza di questo libro portentoso non finisce lì perché, con le dovute astrazioni, trasposizioni e differenze ci si accorge che il tema trattato dall’Autore è costante nella storia e attualissimo ai nostri giorni e non risparmia neppure il nostro Paese.

giovedì 15 dicembre 2011

Recensione: L’uomo dimenticato – Una nuova storia della Grande Depressione

“L’uomo dimenticato – Una nuova storia della Grande Depressione”, titolo originale: “The Forgotten man. A new history of the Great Depression”, di Amity Shlaes, editrice Feltrinelli, traduzione di Giancarlo Carlotti, ISBN: 978-88-07-11111-2.
Si tratta di una rivisitazione in chiave critica del New Deal. L’Autore cerca di smitizzare la vera portata della politica economica e sociale intrapresa dal presidente Roosevelt durante tutti gli anni trenta e si spinge a insinuare che anzi, alcuni provvedimenti e il clima creato possano in realtà aver fatto da zavorra a una ripresa più rapida. Il titolo, “L’uomo dimenticato”, s’ispira a una definizione dell’accademico e studioso poliedrico William Graham Sumner (1840-1910) che, riguardo alle sue idee sull’economia fu sostenitore del laissez-faire, del libero commercio e avversario del socialismo e dell’intervento statale. Per Sumner, l’uomo dimenticato è “ ……. L’uomo a cui non si pensa mai …….. Lavora, vota, di solito prega, ma sempre paga …….”, si tratta quindi dell’uomo comune, medio, il tipico alacre ed affidabile “Signor nessuno”, che non appartiene a nessun gruppo di pressione e non è neppure rimarchevole in quanto portatore di un qualche particolare ed evidente bisogno sociale, quello chiamato attraverso il sistema fiscale a finanziare sempre le varie iniziative politiche ed economiche che, per lo più sembrano andare soprattutto a beneficio di “Altri”. Nel 1932, la definizione dell’”Uomo dimenticato” fu modificata a fini propagandistici per un discorso di Roosevelt, nel quale l’aspirante presidente asseriva di volersi interessare “… dell’uomo dimenticato, al fondo della piramide economica …” e da lì mutò completamente di significato andando a indicare l’indigente, colui al quale sarebbero stati indirizzati i programmi di aiuti governativi. Tornando alla Grande Depressione, il libro cerca di riportare più chiaramente il quadro complessivo dell’epoca; la bolla speculativa del ventinove esplose dopo un periodo di forte crescita e sviluppo avvenuti nel solco del liberismo classico, ma che sarebbe stato anche influenzato dai mutamenti organizzativi e sociali resisi necessari durante la prima guerra mondiale. La crisi fu particolarmente acuta anche a causa dei vincoli creati alla politica economica e monetaria dal sistema del gold standard, che Roosevelt cercò in qualche modo di mettere in discussione e dall’inasprirsi delle tariffe protezionistiche, che furono invece incrementate con effetti disastrosi propri come effetto della politica economica non proprio lineare del presidente americano.
Molto interessante sono le considerazioni riportate dall’Autore riguardo al quadro politico, sociale, economico ed internazionale che portarono al New Deal, il quale, è bene ricordare, fu fortemente influenzato non solo dal contesto interno, ma anche dalle esperienze politiche europee che, proprio nello stesso periodo, sembravano evidenziare un maggior successo degli esperimenti di pianificazione della giovane rivoluzione sovietica e dei governi di ispirazione fascista e nazionalsocialista, rispetto a quanto invece riuscivano a proporre i governi delle democrazie europee, le quali, per loro conto erano anch’esse fortemente influenzate dalle influenze keynesiane legate al concetto di deficit spending. In questo insieme di fattori vanno ricercate le giustificazioni di alcune scelte fortemente autoritarie fatte da Roosevelt, le quali ex-post appaiono, se non sempre giustificabili, almeno comprensibili; ad esempio: la sua visione negativa del gigantismo industriale, l’avversione per il sistema delle holdings, la preferenza per un controllo pubblico delle utilities (l’energia elettrica in particolare!), la legislazione fiscale particolarmente punitiva nei confronti delle imprese e degli imprenditori, una certa tendenza verso forme di corporativismo, il rafforzamento del potere sindacale, ma nel contempo, il tentativo di controllarne il movimento politicamente, la propensione al rafforzamento del controllo federale a discapito delle autonomie dei singoli stati dell’unione, la lotta ai “Profittatori” portata, in alcuni casi, ai limiti della persecuzione ed infine, gli esperimenti di collettivizzazione agricola.
Alla fine, a mio avviso, ne viene fuori decisamente un bel libro ed un rapporto del fenomeno che ritengo equilibrato e che, senza denigrare, in parte smitizza la vera portata del New Deal.
Come ulteriore apporto personale, la lettura di “L’Uomo dimenticato” è stata determinante nella decisione di riprendere in mano un libro che avevo ormai dimenticato negli scafali: “Furore”, il capolavoro di John Steinbeck che, collocato in un contesto che finalmente sono in grado di comprendere, mi sta dando grandissime soddisfazioni.

lunedì 12 dicembre 2011

Decreto Salva Italia n°5: Sviluppo, liberalizzazioni, tagli e conclusioni

Non è facile dare un giudizio finale sulla manovra, non sono, infatti, personalmente in grado di valutare a pieno il peso di tutti gli interventi che, oltre a quelli esaminati precedentemente prevedono anche una serie di incentivi alle imprese, quali ad esempio: la defiscalizzazione da IRES e IRPEF della componente IRAP relativa alle spese relative al lavoro dipendente e gli sgravi alla stessa imposta per le assunzioni a tempo indeterminato di personale sotto i 35 anni di età, oppure l’ACE (aiuto alla crescita economica), che permette la detrazione dal reddito imponibile di impresa il rendimento nozionale del nuovo capitale proprio (se non erro fissato al 3% per i primi tre anni!). Vi sono poi interventi di liberalizzazione che riguardano gli orari dei negozi, la vendita dei farmaci e gli ordini professionali, nonché tagli dei costi, a cominciare da quelli della “Politica”: limitazione dei consigli provinciali, eliminazione delle giunte, riduzione del numero di componenti delle authorities, ecc.; o che prevedono la soppressione. l’accorpamento o la razionalizzazione di enti quali: INPDAP , fondo previdenziale dei dipendenti pubblici e il ENPALS, fondo di previdenza per i lavoratori dello spettacolo, i quali confluiscono entrambi nell’INPS; oppure l’ EIPLI, l’ente, per me misterioso, per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania che viene posto in liquidazione, oppure ancora i vari consorzi di gestione e regolazione dei laghi e dei relativi bacini acquiferi che confluiscono nel Consorzio nazionale per i grandi laghi prealpini; ed altre misure ancora.
Alla fine, complessivamente a me sembra una buona manovra, almeno rispetto agli standard ai quali eravamo abituati, risulta, però sostanzialmente una “Ricetta” di tipo classico basata principalmente sull’aumento delle imposte e in questo, a me pare, viene un po' svelato l’imprinting del suo ideatore, sulla serietà del quale mi sentirei di scommettere, ma dal quale non mio aspetto ne soluzioni sostanzialmente nuove che escano dal solco del liberismo, ne scelte coraggiose dal punto di vista sociale. A mio parere, il provvedimento appare carente riguardo all’aspetto dell’equità e alla fine, fra aumenti d’imposte regressivi quali l’IVA e le accise, l’istituzione dell’IMU e la mancata sterilizzazione delle imposte sulla casa per i redditi più bassi, mi aspetto che insorgano difficoltà proprio per quei contribuenti che dovrebbero invece essere maggiormente tutelati. Altro aspetto deludente è quello relativo alla lotta all’evasione; permettere la detrazione di parte dei costi per scovare coloro che, nel nostro immaginario, vengono sempre percepiti come possibili evasori non piace ai nostri politici a prescindere dal loro back ground formativo e culturale. Mi piacerebbe proprio sapere il perché di tanta prudenza riguardo a questo genere di interventi, tanto più che ciò che è stato fatto in passato per le ristrutturazioni edilizie e, fortunatamente riconfermato nella manovra, non sembra aver prodotto risultati insignificanti. Spero che tanta ritrosia non dipenda dal fatto che molti di loro appartengono proprio a quelle categorie potenzialmente indiziate. Per finire, mi permetto un consiglio. Se si riuscirà a fare qualcosa lato tagli degli sprechi e riguardo alla riduzione dei privilegi della casta, questo sarà nell’ambito della presentazione di questa manovra, di fronte alla quale, io sono convinto, la nostra classe politica dovrà fare buon viso di fronte agli occhi della nazione, pertanto, il mio suggerimento è di colpire adesso perché, a breve, non ci sarà una seconda occasione.

Pogrom!

Ieri avevo fra le mani un libro dello storico Niall Ferguson: ”XX Secolo, l’Età della Violenza”, nelle prime cento pagine l’Autore sviluppa la sua tesi e pone come uno dei problemi alla base della violenza moderna il “Meme” della “Razza”. Secondo il biologo Richard Dawkins i memi sono, nel mondo delle idee, gli equivalenti dei “Geni” in ambito biologico. Niall Ferguson spiega come il concetto di razza sia relativamente moderno nella storia e che esso cominci a farsi strada nella cultura umana sostanzialmente solo a partire dalla fine del quattordicesimo secolo, radicandosi in Occidente al crescere del successo della cultura occidentale e legato a processi complessi, quali ad esempio quelli che supportarono la formazione degli stati nazionali basati, anche, sul principio di omogeneità culturale e, più pericolosamente, di purezza etnica. L’Autore si sofferma sul fenomeno dei Pogrom, fenomeno che, sotto molti nomi e forme interessò soprattutto la Russia di fine ottocento - inizi novecento, ma anche buona parte dell’Europa continentale e che furono rivolti soprattutto contro gli ebrei, ma più generalmente contro le minoranze etniche. Sappiamo tutti a cosa portarono questi fenomeni di razzismo che, a partire dal massacro degli armeni, per passare a quello degli ebrei, fino alle recenti guerre civili jugoslave continuano a mostrare la potenza pervasiva e distruttiva del meme della razza. In questo contesto, gli zingari rimangono costantemente una delle popolazioni più colpite da questi episodi ed è inquietante constatare che essi siano vittime di pogrom anche oggi, come è avvenuto recentemente a Torino, la mia città. Lo schema di quanto successo è semplice, ripetitivo e sconcertante: gli zingari vengono accusati di un fatto particolarmente increscioso (in questo caso, di uno stupro di una ragazza poi rivelatosi completamente inventato), che va a “Colmare la misura” di tanti episodi di microcriminalità da essi compiuti o ad essi comunque attribuiti, a questo punto, si scatena la violenza cieca ed indiscriminata, il pogrom appunto. Visti i fatti, è interessante chiedersi se, qualora fossimo stati personalmente coinvolti, ci saremmo trovati nella condizione psicologica di partecipare all’esplosione di violenza anche noi, oppure ancora sarebbe opportuno riflettere se quantomeno, ci sentiamo istintivamente portati a minimizzare o a giustificare l’accaduto. Temo che, se ci trovassimo in una qualsiasi di queste condizioni mentali, dovremmo francamente ammettere di essere razzisti, almeno nel senso tecnico del termine. Il brutto del razzismo è che, a parer mio, si tratta di un sentimento istintivo e di un riflesso semi-automatico che, probabilmente, abitualmente rifiutiamo ma che in realtà è radicato in noi e che dominiamo a stento. Questa inclinazione può venire superata solo attraverso l’esercizio della ragione e il costante riferimento all’etica della Giustizia, che rimangono gli unici appigli per affrontare correttamente certe tipologie di situazioni.

sabato 10 dicembre 2011

Decreto Salva Italia n°4: Il testo del decreto

Chi fosse interessato al testo completo del decreto, può seguire il link seguente:
http://www.scribd.com/doc/75322034/Decreto-Salva-Italia-20111206 che contiene il testo PDF reperibile sul sito di LA REPUBBLICA

oppure seguire il seguente link http://www.repubblica.it/economia/2011/12/06/news/decreto_salva_italia_ecco_il_testo_completo-26170951/

venerdì 9 dicembre 2011

Decreto Salva Italia n°3: Tassazione ed imposte

Riguardo a quest’aspetto la manovra è composita e tradisce le sue diverse esigenze che vanno dalla necessità di fare immediatamente cassa, alla volontà di colpire qualche privilegio e di accontentare l’opinione pubblica con taluni interventi alla: ”Anche i ricchi piangono”.
Personalmente sono abbastanza contrario all’aumento dell’IVA, infatti, sono convinto che questo tipo di imposta “comoda” sia regressiva per definizione colpendo indistintamente tutti i consumatori, inoltre impatta su coloro che non la possono evadere lasciando invece immuni i “soliti noti”, tende a deprimere i consumi e, soprattutto, crea inflazione, fenomeno quanto più da scoraggiare soprattutto nel momento in cui si introducono freni alla rivalutazione delle pensioni e non si è in un clima favorevole all’aumento dei salari e degli stipendi. Si sa che l’aumento dell’IVA è sempre legato all’immediata necessità di fare cassa, ed infatti, è stata la via seguita anche dall’ultimo governo Berlusconi, spero quindi che la partenza scaglionata nel tempo della manovra d’aumento (entrerà in vigore nell’autunno 2012) nasconda il vero proposito di eliminarla nel corso delle discussioni relative alla finanziaria 2013 e mi auguro che, nel contempo, tale provvedimento venga sostituito da un ampio programma di lotta all’evasione fiscale che passi attraverso uno schema di maggior detraibilità di certe tipologie di costi e magari, paradossalmente, da una diminuzione dell’IVA anziché da un aumento.
Sono invece molto favorevole alle stangate su auto di lusso, aerei privati e barche, che forse non peseranno molto in termini di ricavi, ma che finalmente vanno a toccare direttamente i portafogli di chi effettivamente dovrebbe essere chiamato a contribuire di più. In particolare, proprio la reintroduzione della tassa sui posti barca mi lascia particolarmente soddisfatto perché fu vergognosamente abolita dal passato governo di centro-sinistra, dagli evidentemente interessati, nostri “compagni” velisti! Certo la tassa può avere anche effetti negativi, magari distogliendo parte del naviglio dai porti italiani a quelli esteri (Francia e Croazia), ma pazienza, personalmente non sentirò la mancanza di certi tipi di turisti.
L’aumento delle accise sulla benzina mi sembra invece un provvedimento da governicchio della prima repubblica che però, tutto sommato, mi appare giustificabile di fronte alle impellenti esigenze di cassa della pubblica amministrazione. Si tratta di nuovo di un’imposta regressiva e inflattiva, la cui funzione positiva, alla lunga, mi auguro, sarà almeno quella di spostare maggiormente verso un parco veicoli a metano riducendo così l’inquinamento, è chiaro però che, in questo caso, mi sto proprio sforzando di vedere il “bicchiere mezzo pieno”.
Sono invece molto favorevole alla tassazione aggiuntiva dei capitali rientrati grazie allo scudo fiscale. In questo caso ho però due perplessità: la prima riguarda l’entità dell’imposta che, a mio avviso, avrebbe dovuto essere più rilevante, la seconda è invece di natura opposta (e forse giustifica l’aliquota relativamente bassa!), non sono, infatti, certo che questa iniziativa, un po’ paradossalmente, non sia impugnabile dagli ex evasori in quanto avente un effetto sostanzialmente retroattivo.
Vedo poi positivamente l’aumento della tassazione sulle buone uscite milionarie, che non fa altro poi che innalzare la tassazione di tali emolumenti al livello dell’aliquota marginale più alta per quei soggetti che già di per se non si possono certo definire dei poveracci (ad esempio si pensi ai 40 milioni di euro di Alessandro Profumo, ex-ad Unicredit) e che per giunta, in certi casi, non sembrerebbero proprio essersi meritati ne l’alta carica ne il trattamento economico relativo (il riferimento è senza dubbio indirizzato all’ex presidente di Finmeccanica Guarguaglini!).
Infine, positivo è anche il giudizio sulla “piccola” patrimoniale sui titoli che non solo va nella direzione già auspicata, di uno spostamento fra tassazione IRPEF e IRES a favore di un maggior carico patrimoniale, ma anche perché porta a dei correttivi della manovra di luglio-agosto includendo nel plafond assoggettato alcune tipologie di strumenti finanziari prima esentati (i fondi di investimento soprattutto) e spostando il calcolo della tassazione ad una base di calcolo più equa che è quella effettuata a partire dai valori di mercato degli assets, rispetto alla precedente effettuata sui valori nominali.

giovedì 8 dicembre 2011

Decreto Salva Italia n°2: Nuova ICI e tasse patrimoniali

Sono favorevole a un progressivo spostamento dell’imposizione dalle tasse sul reddito delle persone fisiche e sul reddito d’impresa ad una basata più sul patrimonio. Per questo motivo ritengo accettabile che ci si sia orientati verso una nuova versione dell’ICI (l’IMU) e pertanto, in linea di principio, sono favorevole all’operato del Governo, vi sono però alcuni punti che mi lasciano dubbioso e che mi appaiono migliorabili.
Ad esempio, mi lascia perplesso il rialzo generalizzato delle rendite catastali del sessanta per cento. Da una parte, infatti, è vero che le stime erano basse e non erano state riviste da moltissimi anni, dall’altra, forse si sarebbe dovuto procedere attraverso una valutazione più seria degli incrementi da applicare e maggiormente correlata alle varie realtà territoriali nonché ad una più generale revisione e riclassificazione dei catasti. In sintesi, ritengo che l’aliquota sia stata fissata un po’ a casaccio, più per ovviare alla fretta e alle esigenze di cassa, che per perseguire un genuino riordino dei patrimoni edilizi e fondiari.
Mi sembra poi che emergano anche delle problematiche legate all’equità, infatti, è noto a tutti che in Italia il possesso dell’abitazione principale è largamente diffuso anche fra le famiglie con i redditi più bassi, le quali rischiano di trovarsi in difficoltà a causa della reintroduzione del tributo e del contestuale aumento delle rendite catastali. A fronte di ciò è stata introdotta una generale detrazione di 200 euro che può solo attenuare e non risolvere il problema. A questo proposito, a me sembra interessante la proposta del terzo polo che invita a predisporre una detrazione che tenga conto anche del numero di componenti del nucleo famigliare.
Riguardo all’ICI rimane comunque da affrontare il tema scottante e di principio (ma anche di sostanza, posto che si parla di cifre fra i settecento milioni e il miliardo di euro!) che prevede l’esenzione per i beni della Chiesa, fatti salvi, ovviamente, gli edifici adibiti al culto. A me sembrerebbe opportuno di approfittare delle stesse aperture della Cei e porre fine a questo ingiusto privilegio, peraltro, in molti casi, lesivo della concorrenza, tanto più che i maggiori introiti permetterebbero, a parità di impatto della manovra, sgravi più significativi a favore dei redditi più bassi.

Decreto Salva Italia n°1: Riforma del sistema pensionistico

Riguardo alla riforma delle pensioni, io sono sostanzialmente d’accordo con quanto previsto dal decreto. Certo non è una bella notizia, il sapere che si andrà in pensione più tardi, ma dall’altra parte, per me valgono di più altre considerazioni. Continuo a vedere con scetticismo il mio stesso futuro come pensionato, in base alle nuove tabelle dovrei andare in pensione fra il 2032 e il 2033, per quella data possono succedere moltissime cose e passare innumerevoli altri provvedimenti. Semmai, quello che mi preoccupa veramente è quello che mi potrebbe succedere qualora, magari in età un po’ più matura, perdessi il lavoro e fossi ancora lontano dall’età pensionabile. Questo mi sembra un rischio reale cui vanno incontro le persone a partire da un’età di circa cinquant’anni. La domanda quindi non è tanto quando andrò in pensione, quanto se riuscirò a mantenermi un posto di lavoro fino al conseguimento del diritto a fruirla.
Lasciando perdere l’età di pensionamento che comunque mi appare come un traguardo chimerico e tornando al decreto, segnalo, fra i fatti positivi il passaggio immediato al sistema contributivo per tutti.
Venendo invece ai difetti e alle mancanze, penso che il sistema di rivalutazione dovrebbe continuare a persistere anche per le pensioni superiori ai mille euro. In effetti, mi sembra ragionevole quanto proposto dalla Commissione lavoro di Montecitorio che richiede di mantenere l’indicizzazione fino ai 1400 euro. Per quanto riguarda la copertura di tale provvedimento bisognerebbe, come per altro si parla, rifarsi sulle pensioni di maggiore entità. Rispetto a questo punto comunque sarei stato più severo, infatti, non sono completamente favorevole alla tesi dell’intangibilità dei cosiddetti “privilegi acquisiti”, soprattutto quando questi siano stati ottenuti attraverso un sistema ormai riconosciuto come iniquo e che per giunta, per stare in piedi necessita dell’apporto dei miei contributi presenti. Bisognerebbe avere dunque il coraggio di tagliare da subito le cosiddette “pensioni d’oro” e fissare un tetto massimo ragionevole per l’assegno delle pensioni. A questi tagli andrebbero aggiunti, quantomeno a titolo di esempio, interventi più sostanziali per ridurre i privilegi previdenziali dei politici.

lunedì 5 dicembre 2011

Odio i lunedì ....... anzi no!

Di solito odio i lunedì, ci sono però delle eccezioni!
Apro il giornale con il solito misto di svogliatezza e rassegnazione ma scopro invece che abbiamo un Governo serio! Mirabile novità! Dovrei rammaricarmi, perché è tutto uno sciorinare di lacrime e sangue e un tintinnare di denari che scorrono dalle mie tasche a quelle del fisco, invece sono entusiasta. Mi scopro d'accordo con la manovra, con il percorso ed i sacrifici da fare e già storco il naso leggendo di mugugni in territorio sindacale o provenienti da qualche ringalluzzito rifondarol-comunista (esistono ancora!). Ottimo, il mondo torna alla "mia" normalità: La sinistra a sinistra, papisti e conservatori a destra, laici e liberali al centro a far quadrare i conti. Sento che la cattività babilonese al quale mi ha condannato il nostro ex premier sta per finire e questo basta a rallegrarmi ...... chissà che non (ri)nasca un "quarto polo"?!

giovedì 1 dicembre 2011

Asta titoli di Stato: Riflessioni sul rifinanziamento del debito pubblico

Secondo le stime che si leggono sui quotidiani, nel corso del 2012 andrà in scadenza una percentuale vicino al 25% del debito pubblico italiano (circa 400 miliardi di euro), tale importo andrà ovviamente rifinanziato in qualche modo e, secondo le prassi attualmente in vigore, bisognerà farlo ai tassi di interesse richiesti dal mercato. L’ultima asta di titoli di Stato avvenuta lunedì 28 novembre è stata un grandissimo successo ed ha visto il collocamento di 7,5 miliardi di titolo ad un tasso del 7,56% per i BTP aventi scadenza nel 2020, con circa 400 punti di spread rispetto ai paragonabili Bund tedeschi. C’è da rallegrarsi? Non troppo secondo me! Certo, la buona notizia è che gli investitori si sono presentati numerosi all’appello, segno che in fondo, la situazione italiana non è considerata irrimediabilmente irrecuperabile; pensando però ad un ottica più a largo respiro bisognerebbe chiedersi quali saranno le conseguenze sul bilancio statale qualora saremo costretti, come sembra prefigurarsi, a finanziare una consistente fetta del debito a questi tassi o a livelli ancora più alti. Di fronte a vincoli futuri sempre più stringenti riguardo al pareggio di bilancio, ciò non può che tradursi in misure che probabilmente prevedranno un mix di ulteriori imposizioni fiscali, consistenti riduzioni del welfare e alienazioni patrimoni. Unico aspetto positivo in questo scenario è la, questa volta fattibile opera di razionalizzazione dei costi e degli sprechi che può essere attuata dal nuovo governo in carica, il quale, per una volta e quantomeno sulla carta, si presenta finalmente composto da personaggi credibili e competenti. Tornando al problema dell’alto costo del finanziamento del debito mi chiedo però se, oltre al ricorso al mercato, non si potrebbero mettere in atto delle procedure straordinarie per attenuarne sostanzialmente il costo della provvista. Questo anche e proprio allo scopo di raffreddare con qualche messaggio autorevole anche le pretese dello stesso mercato, che deve essere reso conscio del fatto o anche della mera possibilità che, di fronte a regole troppe rigide o a carichi inaccettabili, uno Stato sovrano possa avere il diritto di modificare o di sospendere tali regole. Penso a misure drastiche come potrebbe essere ad esempio l’assoggettamento di soggetti pubblici e privati a prestiti forzosi, la conversione obbligatoria dei fondi recuperati dall’evasione fiscale o l’imposizione a banche, assicurazioni e fondi previdenziali di certi obblighi e vincoli riguardo alla composizione dei loro attivi imponendo l’accoglimento di un certo quantitativo di obbligazioni a tassi sostanzialmente inferiori a quelli richiesti dal mercato. La misura sarebbe certamente di tipo autoritario e senza dubbio contraria alle regole liberiste, ma trasmetterebbe anche un messaggio chiarissimo, che sicuramente non passerebbe inosservato.