venerdì 29 aprile 2011

Recensione: Garibaldi

“Garibaldi”, di Andrea Possieri, edizioni Il Mulino, ISBN 978-88-15-13975-7. Il libro tratta la biografia di del nostro popolarissimo eroe risorgimentale. Il ritratto dell’”eroe dei due mondi” è asciutto, efficace, privo di retorica o sensazionalismi; se ne ricava un quadro realistico dell’uomo che sta dietro l’eroe. Garibaldi è innanzi tutto un marinaio che conduce un’esistenza ordinaria fino a che non viene coinvolto dai Democratici mazziniani (allora erano assimilabili a degli estremisti!) in un tentativo insurrezionale a Genova nel 1833-34 che lo costringe alla fuga in America del Sud. In Brasile, sempre in contatto con la numerosa comunità di transfughi italiani, ne segue in un certo senso i destini, assumendo a mano a mano il ruolo di protagonista. Si lascia coinvolgere nel tentativo insurrezionale della Repubblica del Rio Grande e nella guerra fra Uruguay ed Argentina, ed in questi conflitti acquisisce sia la sua peculiare esperienza militare che la doppia fama,che lo contraddistinguerà anche successivamente: eroico, e avventuroso condottiero per i democratici da una parte; ateo, fosco e violento bandito per i conservatori, dall’altra. Al ritorno dall’America, Garibaldi sarà coinvolto, sempre più da protagonista, in tutti i principali fatti risorgimentali a partire dai moti del ’48 fino alla spedizione dei mille ed oltre. Sempre farà da catalizzatore di uomini, sempre si distinguerà per le sue abilità di comandante militare, ma in fine, la sua visione politica, per alcuni aspetti moderna, per altri utopistica ed a tratti confusa ed ambivalente ne uscirà sconfitta ed annichilita, imbrigliata, non senza qualche difficoltà, dal lucido pragmatismo di Cavour.

mercoledì 20 aprile 2011

Recensione: L'Angola Indipendente

“L’Angola Indipendente”, di Maria Cristina Ercolessi, edizioni Carocci, ISBN 978-88-430-5788-7. Il libro riassume in maniera sintetica ed efficace la storia del Paese africano fin dai primi momenti della colonizzazione portoghese, i cui primi contatti risalgono all’ultimo decennio del quindicesimo secolo, fino ai giorni nostri. I periodi che vengono maggiormente approfonditi sono da una parte, quello della fase coloniale moderna, che comprende un lasso di tempo che parte dai primi anni del novecento per arrivare fino all’indipendenza, conseguita nel 1975, dall’altra, la fase successiva all’indipendenza che giunge dalla dichiarazione fino ai giorni nostri. Soprattutto la seconda fase storica, quella che interessa il paese dal 1975 è caratterizzata dallo stato di guerra civile continua che vede contrapporsi le forze del MPLA, d’inspirazione marxista-leninista ed appoggiate lungamente dal blocco sovietico, a FPLA ed UNITA di orientamento filo-occidentale e supportate da varie potenze regionali quali il Sud Africa e l’ex Zaire. La fase della guerriglia cesserà solo dopo la caduta del regime “bianco”Sudafricano e l’uccisione del leader carismatico dell’UNITA Jonas Savimbi avvenuta nel 2002. In tutto questo periodo e fino ai giorni nostri il MPLA resterà al potere, subendo però trasformazioni che finiranno per allontanarlo, almeno formalmente, dalla stretta osservanza della dottrina marxista-leninista per imboccare, sotto tutela ONU, la via delle consultazioni democratiche.
Il Paese in se ricchissimo, è ancora ampiamente sottosviluppato ed in formazione, le ferite inferte alla popolazione ed al territorio dalla lunga fase di guerra civile, di ingerenza esterna e di malgoverno locale saranno lunghe da risanare, mentre continuano ad intravvedersi tensioni separatiste e su base tribale. Nonostante ciò, l’Angola ha le risorse e le possibilità per iniziare un percorso di sviluppo che porti ad un rapido miglioramento delle condizioni della popolazione ed a una migliore gestione e redistribuzione delle ampie risorse a disposizione. Il Paese ha dunque tutte le potenzialità per assumere un ruolo di rilevanza all’interno del panorama africano.

martedì 12 aprile 2011

Immigrati, Europa e pasticci

Le affermazioni del Ministro dell’Interno Maroni e la posizione del Governo italiano causate dal massiccio afflusso di clandestini hanno aperto un profondo dissidio con gli altri partner europei. Gli alleati europei si trincerano dietro ad un rigoroso formalismo riguardo alle interpretazioni del trattato di Schengen, il quale permette la libera circolazione ai soli soggetti muniti di passaporto, dall’altro lato invece, le autorità italiane invocano l’eccezione rispetto alla forma e chiedono agli altri membri UE una fattiva collaborazione rispetto al problema della gestione dei clandestini, da attuarsi preferibilmente attraverso una redistribuzione degli stessi presso i vari Paesi dell’Unione. Di fronte al netto rifiuto di collaborazione da parte degli altri partner il Ministro Maroni è arrivato a prospettare una rottura fra Italia e UE, evidentemente esagerando un poco riguardo ai toni, ma in fondo, esprimendo un malessere condiviso da non sottovalutare.
Il problema dei clandestini è serio e la delusione da parte italiana per la scarsa collaborazione UE è in parte moralmente giustificabile. Bisogna però sottolineare che l’atteggiamento italiano è formalmente sbagliato ed irrispettoso non solo delle regole condivise, ma anche dello stesso “spirito” di Schengen, che doveva garantire la libera circolazione dei cittadini della UE e non di tutti i soggetti in assoluto, meno che mai i clandestini e quelli che, a torto o a ragione, risultano “indesiderabili”. I politici italiani continuano a incorrere nei medesimi errori nei confronti delle controparti europee, da una parte danno l’impressione di considerare con troppa disinvoltura le regole stabilite consensualmente fornendone continuamente interpretazioni od estensioni non concordate a priori con gli altri partner e non capendo come questa nostra attitudine sia considerata sgradevole e scorretta dagli altri attori europei; dall’altra sembra che la nostra classe politica non sia veramente in grado ne di raggiungere la conoscenza esatta di tali accordi, o peggio, che ne sia consapevole, ma ignori volutamente gli impegni per svolgere propaganda ai fini della politica interna ma a scapito della nostra credibilità internazionale. Un bel pasticcio quindi, forse causato da soggetti abituati a parlare solo alle piazze e senza pensare troppo, che però rischiamo di pagare caro.

lunedì 4 aprile 2011

Recensione: Guerre, Armi e Democrazia

“Guerre, Armi e democrazia”, titolo originale “Wars, Guns and Votes. Democracy in dangerous places”, di Paul Collier, edizioni Laterza, ISBN 978-88-420-8895-0. E’ un’opera molto interessante scritta da uno studioso di scienze economiche, particolarmente esperto nel settore delle economie africane. Il libro è dedicato esplicitamente ai Paesi dell’”ultimo miliardo”, ovvero a quegli Stati (perlopiù africani) che accolgono l’ultimo miliardo di popolazione in termini di arretratezza di sviluppo economico. L’autore, attraverso l’analisi di una serie di dati economici e statistici si pone delle domande scomode riguardo a questi Paesi: ad essi ha giovato e giova la democrazia? Essa porta sviluppo e tranquillità sociale? Oppure, in qualche modo il ricorso al voto “interferisce” con lo sviluppo economico e la pace sociale delle popolazioni in oggetto? Quanto sono importanti le divisioni interne, ed in particolare, quelle religiose ed etniche? In quali casi è lecita l’interferenza politica di potenze estere o di organizzazioni internazionali? Qual è l’efficacia del peace keeping? E’ lecito rovesciare un dittatore con la forza intervenendo direttamente, appoggiando o fomentando una guerra civile o ispirando oppure avallando un golpe militare? Alla fine il libro fornisce risposte interessanti ed anche parecchio sorprendenti. Per ciò che mi riguarda, ne ho ricavato molti spunti di riflessione che possono essere applicati anche alle nostre società e democrazie più stabili e mature; una bella lista di opzioni da applicare e di errori da evitare.