giovedì 28 febbraio 2013

Politiche 2013: E' l'ora del coraggio!

E’ l’ora del coraggio! Approvo totalmente l’appello del leader del PD Bersani nei confronti del M5s, ma gli ricordo che si può governare anche senza fiducia sostanziale (basta quella formale). Si può governare da soli, spiegando alle camere le ragioni di ogni singolo atto legislativo, coinvolgendo ed invitando tutti i virtuosi di tutti gli schieramenti a collaborare nel nome del bene comune. Quello che invece non si può fare, è fare accordi con colui che continua ad esser il vero problema d’Italia.

 Dall’altro lato posso comprendere in parte il timore dei grillini nel dare una delega a priori a uno schieramento che, sicuramente e per molti versi ha deluso, vorrei però che loro ricordassero che il loro ruolo non è quello di semplici megafoni della loro comunità, tanto meno, essi devono per forza considerarsi totalmente dipendenti dal pensiero del loro leader. Alle camere ci sono loro e non Grillo, essi sono laggiù come gruppo portatore di specifiche idee e valori, ma soprattutto come individui che, come tali, innanzitutto devono chiedersi quale sia “la cosa giusta” da fare. A loro consiglio qualche lettura politica del filosofo Norberto Bobbio che affermava che il rappresentante democraticamente eletto deve conservare il diritto e il dovere di agire secondo la propria coscienza. Ricordo ad essi, però, che il “Voto di fiducia” formale è elemento necessario all’insediamento di un Governo (art. 94 della Costituzione). La fiducia viene votata per appella nominale e, se nessuna parte politica è in grado di ottenerla, non si può che tornare alle urne.

La soluzione quindi, potrebbe passare per un programma molto chiaro che spieghi l’azione di governo per un certo lasso di tempo (non necessariamente l’intera legislatura). Si richiedebbe quindi ai singoli parlamentari di prendersi degli impegni solo relativamente ai punti specifici di quel programma e per il lasso di tempo necessario alla loro realizzazione. Esaurito il compito un esecutivo responsabile dovrebbe rendicontare il proprio operato alle Camere e presentare un nuovo programma richiedendo nuovamente la fiducia.

 


martedì 26 febbraio 2013

Elezioni 2013: Il bicchiere mezzo pieno


Le elezioni si sono appena terminate con la netta affermazione del Movimento 5 Stelle.  Nelle prime battute a caldo registro soprattutto molto sconcerto da parte dell’elettorato moderato di centro-sinistra, si teme l’ingovernabilità perché al Senato non esiste una maggioranza chiara.
La situazione è pericolosa, non c’è da nasconderselo perché un quadro d’instabilità potrebbe spaventare i mercati finanziari e i partner europei; però, per chi ha memoria storica, non è detto che lo scenario sia così negativo e che ci si debba fasciarsi la testa prima di esserla rotta.
In primo luogo, fino a che il sistema di voto si è basato sul sistema proporzionale, i governi della repubblica erano spesso litigiosi e di breve durata. Nella pratica questa relativa instabilità politica non ha impedito la realizzazione di riforme profonde e positive. Invece, durante il cosiddetto “ventennio berlusconiano”, durante il quale, però, ha governato anche il centro-sinistra e nonostante i numeri che garantivano la governabilità, non si è riuscita a realizzare nessuna riforma strutturale dell’economia ed è mancata anche qualsiasi seria apertura riguardo ai temi sociali. Forse si potrebbe dedurre che, se chi governa, si sente troppo sicuro della propria posizione, non ha molti interessi nel modificare lo status quo. Non è dunque da considerarsi per forza svantaggiosa una situazione in cui chi governa debba per forza tenere presenti le istanze di una nuova forza politica, magari un po’ idealista e, sicuramente frammentata e inesperta, ma che almeno appare “sana”.
Se temo una cosa in questo contesto, non è dunque un governo minoritario al Senato che necessiti di un appoggio esterno sempre tenacemente negoziato, ma una grande coalizione PD - PDL che finisca per essere una “Sant’Alleanza” conservatrice contro ogni forma di riformismo e cambiamento.
Un altro aspetto da valutare, poi, è il seguente: nella giornata di ieri, la mia personale preoccupazione non era tanto legata all’exploit del M5s, quanto al costatare che, di ora in ora si assottigliava il vantaggio del centro-sinistra rispetto al centro-destra alla Camera, rischiando così di rovesciare la situazione a causa del premio di maggioranza previsto dal “Porcellum”. Sarebbe bene ammettere che il tatticismo immorale del PD che, nel corso dell’anno scorso ha impedito il cambiamento della legge elettorale, ha rischiato di portare la situazione al disastro. Chi è dunque da considerarsi veramente irresponsabile?
Scelgo quindi, almeno per oggi, l’atteggiamento mentale di chi vede il bicchiere mezzo pieno. Io, personalmente, credo nella ragionevolezza. Cerchiamo di dare fiducia ai nuovi venuti, gettiamo dei ponti, incoraggiamo la loro collaborazione, sarà presto evidente se essi sono effettivamente indipendenti nel loro modo di pensare e se anch’essi, come credo, hanno a cuore la stabilità e il benessere del Paese.
Dunque, niente paura! Forse un buon cane da guardia è proprio la garanzia che serve per tenere alto il livello di attenzione e, soprattutto, perché in casa nostra non tornino a scorrazzare i ladri.  

giovedì 21 febbraio 2013

Recensione: Il Sistema Corruzione – Come rubano i nostri soldi e perché dobbiamo dire basta


“Il Sistema Corruzione – Come rubano i nostri soldi e perché dobbiamo dire basta”, di Piero Di Caterina e Laura Marinaro, edizioni Add Editore, ISBN: 978-8896873-97-7.
Il libro/intervista riporta le esperienze di Piero Di Caterina, imprenditore nel settore dei trasporti e grande accusatore di Filippo Penati, sindaco di Sesto San Giovanni fra il 1994 e il 2001 e presidente della Provincia di Milano fra il 2004 e il 2009, rinviato a giudizio dalla Procura della Repubblica di Monza per corruzione e concussione nell’ambito del cosiddetto “Sistema Sesto”.
L’imprenditore, attraverso una lunga intervista con la giornalista Laura Marinaro racconta la sua esperienza personale, ma s’incarica anche di descrivere le modalità attraverso le quali prospera l’illegalità, mettendo in risalto non solo la capillare diffusione del fenomeno presso la pubblica amministrazione, ma svelandone anche i meccanismi di attuazione, i fattori ambientali legali e amministrativi che ne favoriscono la diffusione e i notevoli costi sociali.
Una certa enfasi viene anche posta nell’evidenziare la posizione di debolezza di coloro che, per le proprie esigenze o per promuovere le proprie attività, necessitano di intrattenere rapporti con le istituzioni, sottolineando, tra l’altro, come sia insufficiente la loro tutela civile e legale nel momento in cui essi si prestino a collaborare con le autorità giudiziarie. L’ultima parte, invece, contiene un invito ai cittadini perché s’interessino maggiormente al fenomeno e lottino attivamente contro di esso.
Niente di nuovo sotto il sole! Il libro è interessante, ma non approfondisce più di tanto né gli aspetti concernenti il “Sistema Sesto”, e ciò è sicuramente dovuto al fatto che l’Autore non possa esporsi troppo con il processo ancora da svolgersi, né le modalità attraverso le quali prospera l’illegalità. A dire il vero, alcuni aspetti vengono chiariti anche scendendo nei particolari, ad esempio quando l’Autore stigmatizza il ruolo di strumenti quali: i “Piani generali per il territorio”, l’istituzione dello “Sportello unico per l’edilizia” e i “Piani integrati d’intervento”; altre volte, invece, i meccanismi e i casi trattati rimangono più sul vago, anche perché, effettivamente il potenziale reo può sbizzarrirsi a trovare soluzioni sempre nuove per arricchirsi illecitamente (consulenze, appalti pilotati, privatizzazioni ed espropri a prezzi fuori mercato, ecc.), mentre mancano strumenti obiettivi che favoriscano la trasparenza riguardo all’operato delle pubbliche amministrazioni.
La mia conclusione, porta a una riflessione pericolosa e amara: il problema della corruzione è culturale prima che normativo. Certo, un buon sistema di leggi aiuterebbe, ma non sembra quella la ragione per la quale ci distinguiamo dal resto d’Europa in senso negativo. Il problema, infatti, sembra legato soprattutto alle persone, a quell’intera generazione di amministratori e politici che prosperano da troppo tempo in un sistema che, da fuori, appare immodificabile. Detto ciò, se si pensa agli umori di molta parte della piazza, la soluzione sembra facile e scontata, soprattutto nel momento in cui ci si trova sotto elezioni e alla fine di un ciclo ... ma, sarà anche la soluzione giusta?

sabato 16 febbraio 2013

Recensione: Antonio Ingroia – Io So


“Antonio Ingroia – Io So”, di Antonio Ingroia, Giuseppe Lo Bianco, Sandra Rizza, edizioni Chiarelettere, ISBN: 978-88-6190-304-3.
Il libro si svolge in forma d’intervista fra gli Autori; il protagonista è Antonio Ingroia, in magistratura dal 1987, allievo e collaboratore di Paolo Borsellino, dal 1992, incaricato presso la Procura distrettuale di Palermo.
Ingroia ripercorre il “ventennio berlusconiano” cercando di ricostruire la tela dei rapporti fra istituzioni e la mafia. Egli illumina il delicato momento di passaggio fra la prima e la seconda Repubblica avvenuto nei primi anni novanta fra l’esplosione delle inchieste legate a Tangentopoli, gli attentati mafiosi e le stragi di Capaci e via D’Amelio, dove persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel corso dell’intervista, viene dunque  fornita una lucida interpretazione delle ragioni che portarono la mafia a sfidare apertamente le istituzioni alla ricerca di un nuovo accordo e assetto in sostituzione di quello decaduto e, fisicamente seppellito, con l’omicidio di Salvo Lima. In questo contesto, l’Autore si sofferma a fornire delle valide spiegazioni riguardo alla genesi di Forza Italia, il contenitore politico voluto da Marcello Dell’Utri che, mutatosi in partito favorirà la discesa in campo e l’ascesa al potere di Silvio Berlusconi. Sullo sfondo, riemergono temi che affondano le radici fin negli anni settanta e che s’intrecciano con le trame della P2 di Licio Gelli, insomma, molti dei misteri d’Italia. Il vero punto di snodo e di svolta dell’intero corso degli eventi è però, secondo l’Autore, “l’accordo Stato – mafia”, fatto ancora non chiaramente provato, ma intervenuto, secondo il magistrato, proprio nel corso del cruciale biennio del 92-93. Secondo Ingroia Il patto scellerato fu siglato da parte delle istituzioni per interesse, ma soprattutto per pavidità; molti erano, infatti, quei politici che temevano di fare la stessa fine di Lima o che paventavano la necessità di affrontare un periodo di guerra aperta contro le cosche mafiose. In sintesi, la tesi degli Autori è che lo Stato, attraverso i suoi funzionari e politici infedeli, si piegò al ricatto mafioso senza neanche provare a combattere una guerra che, nei primi anni novanta, proprio a seguito dell’operato di uomini dello stampo di Falcone e Borsellino, cominciava a svoltare a favore delle istituzioni.
Secondo Ingroia, il prezzo da pagare si è dimostrato salatissimo, egli vede il “ventennio berlusconiano” come una lunga eclissi morale che ha pesantemente inciso sul costume e sulla tenuta etica non solo delle istituzioni, ma dell’intero popolo italiano. Secondo il magistrato, siamo però giunti a un possibile punto di svolta e proprio le prossime elezioni potrebbero costituire un’occasione per invertire la tendenza.
Un bel libro, che fornisce un quadro chiaro ed esaustivo dell’ultimo ventennio e potrebbe servire a chiarire le idee a qualche giovane elettore sulle soglie dei vent’anni. Esso però non aggiunge molti elementi a ciò che già si sapeva. Per gli elettori più attempati, rimane pur sempre vero che: “Non c’è peggior orbo di chi non vuol vedere” e temo che ciò, rimanga purtroppo valido per molti di essi.   

martedì 12 febbraio 2013

Recensione: Dei Delitti e Delle Pene


“Dei Delitti e Delle Pene”, di Cesare Beccaria, a cura di Alberto Burgio, edizioni Feltrinelli, ISBN: 978-88-07-82000-7.
Scritto dall’illuminista Cesare Beccaria e pubblicato nel 1764, “Dei Delitti e Delle Pene” è forse uno dei saggi giuridici più conosciuti e citati fin dal suo esordio. In esso si affronta in maniera razionale, forse per la prima volta, il tema di ciò che dovrebbe essere in una società civile, vista come aggregazione libera e spontanea di soggetti individuali, la funzione delle pene in rapporto ai delitti commessi dai cittadini. 

Vista la notorietà dell’opera e l’alone di cui essa è circonfusa, ci si potrebbe aspettare un tomo ponderoso, invece, la prima sorpresa che forse colpisce il lettore, è il formato del trattato, poco più di un breve saggio di circa di cento pagine, alle quali, l’edizione in oggetto ne aggiunge una settantina d’indispensabili note, in tutto meno di duecento. 

Il linguaggio appare un po’ superato (stiamo parlando di un libro del diciottesimo secolo!), eppure, il saggio conserva pienamente la sua modernità. Gli argomenti principali, fra i quali alcuni sistemi di pesi e contrappesi che sono alla base della separatezza fra sistema legislativo, esecutivo e giudiziario, ci sono tutti e, ormai, risultano così incorporati nei moderni ordinamenti giuridici e nel nostro modo di pensare da apparirci completamente famigliari; a ben vedere, però, è opportuno che essi non siano mai dati per scontati. Ecco quindi che l'Autore parla dell'indipendenza dei giudici dal potere esecutivo, della proporzionalità della pena, della presunzione di non colpevolezza, dei limiti posti alle autorità nell'opera di prevenzione dei delitti, della rapidità del processo penale, della prescrizione dei reati, del rifiuto dei metodi istruttori violenti e della tortura. Infine, risulta conosciutissima e molto citata la parte dell’opera che critica le pene eccessive e, in particolare, la pena di morte; non solo perché da considerarsi inefficaci ai fini della prevenzione dei delitti, ma anche, perché contrarie allo spirito del contratto sociale che lega i cittadini.
Proprio sul concetto di patto o contratto sociale, Beccaria dimostra di essere figlio del suo tempo, tributario della filosofia utilitarista di Bentham, del pensiero filosofico di Rousseau, ma in realtà, impregnato, ispirato e promotore di quella particolare corrente del pensiero razionale che verrà definita “illuminismo” e che getterà le fondamenta del moderno pensiero laico e scientifico occidentale. 

giovedì 7 febbraio 2013

Recensione: Il Partito di Grillo


“Il Partito di Grillo”, di Piergiorgio Corbetta e Elisabetta Gualmini, edizioni Il Mulino, ISBN: 978-88-15-24159-7.
Avvalendosi delle ricerche dell’Istituto Cattaneo, gli Autori presentano una radiografia del Movimento Cinque Stelle, descrivendone le origini, le caratteristiche e la possibile evoluzione. L’analisi è soprattutto indirizzata a individuare l’identikit dei “grillini” e, si basa principalmente su una ricerca statistica svoltasi fra marzo e luglio 2012 che si propone di definire il bacino elettorale del M5s e di tracciarne l’evoluzione in base alle intenzioni di voto e tenendo conto del mutamento di contesto avvenuto a seguito dell’affermazione del Movimento nelle elezioni amministrative della primavera del 2012.
Gli Autori svolgono un’analisi dei dati che, a me, è apparsa rigorosa e convincente fornendo al lettore un preciso ritratto della tipologia di elettori che aderiscono al Movimento o che hanno le caratteristiche per aggregarsi a esso.

Un’altra parte di questo interessante lavoro è dedicata alla ricostruzione della storia del M5s e alla definizione dello stesso rispetto agli altri fenomeni simili, oppure rapportandolo alle caratteristiche dei partiti tradizionali, ai quali esso si vuole esplicitamente contrapporre.
Le conclusioni dell’analisi, che finisce per includere il Movimento nell’insieme dei “partiti” populisti, non trascurano di mettere in luce gli aspetti problematici e contradditori, ma anche le caratteristiche positive e distintive del M5s, finendo per dare una chiara rappresentazione delle sfide evolutive che esso dovrà affrontare per consolidare il suo successo ma, soprattutto, evidenziando i nodi che dovranno essere sciolti e affrontati per venire a capo delle sue numerose e intrinseche contraddizioni interne. 

In sintesi, secondo il  mio giudizio, questo è n libro da leggere, che esce in stampa con quel giusto tempismo che lascia al lettore l’occasione di riflettere in vista delle prossime elezioni politiche.

lunedì 4 febbraio 2013

Recensione: Il tempo Sacro dell’Uomo


“Il tempo Sacro dell’Uomo”, titolo originale: “A la recherche du temps sacré”, di Jacques Le Goff, traduzione di Paolo Galloni, edizioni Laterza, ISBN: 978-88-420- 9994-9.
Il libro di Le Goff descrive i contenuti e gli obiettivi di una famosa opera medievale, “la legenda aurea”, scritta dal frate domenicano Jacopo da Varazze nella seconda metà del tredicesimo secolo. La “Legenda aurea”, testo che consta di centosessantotto capitoli e più di mille pagine, fu uno dei successi editoriali dell’epoca e confermò la sua fama di “best seller” rimanendo fra i titoli più diffusi anche dopo l’invenzione della stampa nella seconda metà del quattordicesimo secolo. Il libro, originariamente scritto in latino, cominciò da subito a essere tradotto in “volgare” (a ciò è anche dovuto parte del suo successo) e, già partire dalle versioni copiate, si contano decine di traduzioni nei principali vernacoli europei: “Italiano”, francese, inglese, olandese. “Alto” e “Basso” tedesco e ceco. Secondo l’Autore, il successo di quest’opera è in parte dovuto proprio al particolare momento storico nel quale essa fu prodotta; la sua diffusione su favorita sia dalle traduzioni in “volgare” sia all’introduzione della stampa sia, a sua volta, si avvantaggiava della crescente domanda di testi stampati. Detto ciò, secondo Le Goff, il testo merita attenzione anche per alcune notevoli qualità intrinseche che vanno al di là della forma compilativa che essa assume. Se da una parte, infatti, la “legenda aurea” si presenta essenzialmente come una raccolta di vite di santi che Jacopo da Varazze riprende dalla tradizione, la vera importanza dell’opera deriva proprio dalla sua struttura e organizzazione che svela una presentazione non casuale dei vari capitoli, i quali, vanno a ordinarsi secondo un percorso che, in sintesi, ha l’obiettivo di scandire lo scorrere del “Tempo” secondo tre fondamentali prospettive: quella “temporale” che sancisce la circolarità del calendario cristiano; quella “santorale”, che invece si svolge linearmente proponendo una sequenza di avvenimenti e vite di santi e, infine, quella escatologica, racchiusa in “epoche”, che mostra il cammino dell’umanità dalla creazione fino al giudizio universale e che suddivide gli eventi secondo quattro blocchi espliciti della “legenda aurea”: Il tempo della “Deviazione” (da Adamo a Mosè); il tempo del “Rinnovamento” (da Mosè alla nascita di Cristo), il tempo della “Riconciliazione” (da Pasqua alla Pentecoste) e il tempo della “Peregrinazione” (Il tempo attuale). 

Parlando invece del libro in sé, dal punto di vista, sicuramente superficiale, del lettore dilettante, devo ammettere di non essere rimasto particolarmente colpito da questo studio di Le Goff, scrittore e studioso che, per altro, di solito apprezzo moltissimo. Forse, in questo caso, il tema era troppo specifico, oppure, l’argomento non mi è risultato troppo congeniale. Sia quel che sia, ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a un lavoro, per certi versi, ridondante, oppure, per altri, incompleto. La descrizione dell’opera, le tesi, l’analisi e le spiegazioni dell’Autore sono già tutte sviluppate fin dalle prime pagine e, a parer mio, si esauriscono già nei primi capitoli, mentre buona parte del libro, mi è sembrata, per lo più, un riassunto del contenuto dei capitoli principali della “legenda aurea” senza però aggiungere più nulla di particolarmente rilevante rispetto agli obiettivi iniziali. Per dirla in breve, l’impressione è un po’ quella di essermi sorbito del brodo allungato, oppure, all’opposto, che manchi un maggior spessore per fornire una conoscenza più specifica del testo e dei contenuti della “legenda”. Forse mancava il testo originale a fronte?