giovedì 29 settembre 2011

Recensione: Il dio del massacro

“Il dio del massacro”, titolo originale “le dieu du carnage”, di Yasmina Reza, edizioni Adelphi, ISBN: 978-88-459-2623-5.
Bellissima commedia, al tempo stesso divertente, ironica e crudele. Due coppie di genitori s’incontrano in casa per la prima volta, dovendo cercare di appianare “civilmente” un diverbio avvenuto ai giardinetti fra i rispettivi figli non ancora adolescenti (undici anni). L’episodio sembra di poco conto e gli attori appaiono determinati a raggiungere un rapido accordo. In realtà, dietro una patina di perbenismo borghese emergono fin da subito profondi contrasti e, quasi inesorabilmente, l’incontro degenera in una situazione conflittuale che non solo contrappone le due coppie, ma che ne squarcia anche l’unità. Si scatena una guerra di tutti contro tutti con continui rovesciamenti di alleanze che attraversano i generi e i ruoli e che, al di là della sottile patina di educazione, svela l’ipocrisia delle persone e la profonda crudeltà e violenza che caratterizza il genere umano. Il risultato è sconcertante! Grazie ad un libro di poche pagine di rara intelligenza e intensità ho di nuovo udito il sommesso rullare di tamburi che pervade la caotica, malvagia e oscura giungla di “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad e dalle cui ombre emerge la maschera ghignante ed efferata del demone ancestrale che abita i profondi recessi dell’animo umano e ne domina e regola gli istinti e gli impulsi più profondi. A questa divinità oscura sono stati imposti molti nomi e molti volti, per me è sempre stato “Il Signore delle mosche”, ma da oggi, sarà anche “Il dio del massacro”.

venerdì 23 settembre 2011

Recensione: Esperimenti naturali di storia

“Esperimenti naturali di storia”, titolo originale “Natural Experiments of History”, di Jared Diamond – James Robinson, edizioni Codice, ISBN: 978-88-757818-7.
Lo scopo del libro è di dimostrare l’utilità del cosiddetto “metodo comparativo” che, secondo gli autori, può rivelarsi uno strumento di supporto molto valido per verificare le ipotesi e le ricerche che non possono essere ricondotte ad analisi di laboratorio e dove pertanto non sia possibile per il ricercatore verificare i risultati che possono scaturire da diverse applicazioni e combinazioni delle variabili in gioco semplicemente eseguendo molteplici esperimenti. Evidentemente, l’impossibilità di ricombinare a piacere i fattori e le variabili che hanno determinato un certo tipo di situazione costituisce una seria limitazione per tutte quelle scienze che, come la Storia, si occupano dello studio del passato. In questi casi, di fronte all’impossibilità di usare un approccio metodologico basato sull’osservazione dei diversi risultati ottenuti al modificarsi delle variabili applicate in un esperimento controllato, si può comunque rafforzare l’attendibilità delle proprie tesi riguardo all’importanza relativa di alcuni fattori caratteristici ragionando per analogia e quindi, andando a confrontare l’evoluzione di un certo numero di situazioni di partenza fra esse paragonabili, ma evolutesi differentemente , cercando di spiegare tali difformità attraverso i principali rapporti causa-effetto che si sono supposti come maggiormente rilevanti.
La bontà di questo approccio viene messa alla prova attraverso sette esperimenti diversi che riguardano i più svariati argomenti; si cerca ad esempio: di dimostrare la rilevanza di alcuni fattori ambientali per spiegare la differenziazione culturale delle società polinesiane; si confrontano le caratteristiche delle diverse fasi di sviluppo del West americano per metterle in relazione con quelle di altri territori di frontiera (la pampa argentina, l’Australia e la Siberia); si ricercano le ragioni della diversa evoluzione della rete di istituti bancari in alcuni paesi del continente americano (Brasile, Stati Uniti e Messico); oppure si cerca di dimostrare per i vari paesi africani se esiste una relazione fra l’incidenza della tratta degli schiavi e il loro grado di sviluppo economico a lungo termine; o ancora, si ricercano le cause per spiegare le differenze economiche riscontrabili fra paesi diversi che condividono contesti geografici apparentemente simili (confrontando ad esempio la diversa situazione di San Domingo e Haiti); o si valutano gli effetti a lungo termine dei diversi regimi di tassazione della proprietà terriera sul livello attuale di servizi pubblici presenti nelle diverse parti del territorio indiano; per finire, si cerca di dimostrare una relazione fra l’occupazione napoleonica e il successivo sviluppo economico per i diversi territori germanici.
Alla fine probabilmente il libro finisce per risultare abbastanza convincente riguardo alle possibilità offerte dal metodo comparativo, ma mi ha anche dato l’impressione di essere superficiale e frammentario. I casi proposti sono troppo numerosi, troppo diversi e per giunta, tutti liquidati in poche pagine. Pertanto, mentre da una parte è dimostrata la flessibilità offerta da questa metodologia d’indagine, dall’altra si ricava l’impressione che gli autori abbiano messo insieme un’opera raccogliticcia assemblando e riciclando materiale già disponibile. A titolo di esempio, il capitolo direttamente firmato da Jared Diamond relativo alla comparazione di Santo Domingo con Haiti e dove si accenna inoltre anche ai diversi destini di alcune delle società polinesiane era già apparso in una forma più elegante, chiara e maggiormente esaustiva nel libro “Collasso”, opera per altro egregia e di tutt’altro “spessore” dello stesso autore. Alla fine quindi il bilancio finale è deludente, personalmente da Diamond mi aspettavo di più e di meglio.

venerdì 16 settembre 2011

Noi, le scimmie buone - La scienza alla ricerca delle origini dell'etica

Su La Stampa del 14-09-2011, allegato all'inserto di Tuttoscienze è stato pubblicato un interessante articolo del primatologo Frans De Waal con il seguente titolo:"Noi, le scimmie buone - I test con i primati dimostrano che non c'è bisogno di Dio - gli ingredienti morali sono radicati nel passato evolutivo". Chi volesse consultare direttamente l'articolo può farlo ricercardo il percorso qui sotto indicato:
http://www.scribd.com/doc/65177065

Nel corso dell'articolo lo scienziato spiega i risultati di alcune ricerche riguardo al comportamento dei primati che sembrano dimostrare come essi siano capaci di comportamenti disinteressati che noi classificheremmo come "etici", quali ad esempio: consolare altri soggetti, aiutarli nella ricerca del cibo, ricercare riconpense per il prossimo oppure invece, rifiutare riconpense di qualità inferiore (cibo meno gradito) quando invece, per gli stessi compiti, altri soggetti ricevono ricompense di qualità superiore.
Creando un parallelo con gli esseri umani, si lascia intendere che la moralità possa essere più antica della religione. L'Autore quindi mette in guardia contro tutti coloro che vedono nella sola fede l'unico baluardo contro i comportamenti ripugnanti.

L'articolo è bello ed interessante e lascia spazio a considerazioni rilevanti. Devo però premettere che l'Autore non parla di Dio (il titolo in effetti è sensazionalistico ma fuorviante), ma solo di fede, peraltro immagino, più intesa nel senso di "religione" che non nel senso di ricerca di "spiritualità".
Secondo quanto ho capito, in sintesi si affermerebbe che i primati (uomini compresi) hanno una loro moralità innata e genetica. Semmai quindi ciò che ci sarebbe ancora da capire, sarebbero le ragioni per le quali essi si sono evoluti in questo senso (qui eventualmente si potrebbe immaginare uno spazio per reintrodurre l'opera divina!). Soprattutto però è possibile ipotizzare che siano le varie fedi e religioni a derivare da questa naturale inclinazione dell'uomo all'etica e non viceversa. Verrebbe quindi messo in crisi il dogma che siano state le religioni a creare le basi e i presupposti dell'etica umana. Tale ragionamento è ovviamente dironpente per tutti coloro che si ritengono depositari del "Verbo incarnato" in quanto dimostrebbe proprio la fallacità di quanti si ritengono gli unici custodi dell'etica, della morale e della verità assoluta. Nella migliore delle ipotesi infatti, cioè che un Dio "buono" effettivamente esista e sia alla base dell'etica umana, ogni diversa fede si ridurrebbe ad essere solo uno dei tanti ruscelli in cui si è disperso l'aveo che conduce a Dio ...... pertanto, ogni religione verrebbe ricondotta al più, ad essere solo un percorso utile fra tanti altri!

Recensione: La nascita delle civiltà

“La nascita delle civiltà”, titolo originale “Civilizations”, di Felipe Fernàndez-Armesto, edizione Bruno Mondadori, ISBN: 978-88-61-593947.
L’Autore affronta il tema della nascita della diffusione e, nei molti casi in cui ciò è avvenuto, della decadenza e dell’estinzione delle civiltà umane. Il tema è già stato trattato in passato da molti autori e secondo molti punti di vista ma Fernàndez_Armesto riesce a conferire alla sua opera un taglio particolarmente interessante e di grande originalità. L’Autore sviluppa una serie di tesi convincenti che rompono i soliti schemi basati sul “diffusionismo”, la teoria che in sostanza descrive la civiltà umana come un percorso cronologico basato su un processo di progressivo irraggiamento avente origine da pochi e specifici luoghi, quali ad esempio: l’Egitto, la Mesopotamia, la Cina, l’india, l’America Centrale, ecc. Secondo l’Autore invece, la storia della civiltà, o meglio, delle civiltà umane è molto più ricca e variegata e può essere meglio compresa se osservata con riferimento ai diversi ambienti fisici e geografici ai quali la vita umana ha finito per adattarsi. Il libro quindi non descrive le civiltà secondo un criterio tradizionale e scolastico, ma cercando di instaurare una relazione fra le diverse tipologie di ambienti fisici e geografici e le varie società umane che hanno finito per colonizzarli, modificarli o comunque adattarsi a essi. l'opera è suddivisa in varie parti che descrivono vari casi di adattamento a diverse tipologie di ambiente, fra i quali vengono ricompresi ad esempio: i deserti caldi e quelli freddi, le praterie e le steppe, le foreste e le giungle, le pianure alluvionali, le montagne, le isole, le coste e i mari. Se ne ricava una visione fantasmagorica e caleidoscopica delle diverse società umane che si sono succedute o che ancora permangono nei più svariati ecosistemi e, in molti casi citati, nei luoghi più impensabili e inospitali, e sono descritte le tante strategie adattive messe in atto per sopravvivere e prosperare nelle più diverse situazioni ambientali. Questa particolare impostazione della narrazione che permette appunto di comparare la capacità di sopravvivenza delle diverse organizzazioni umane rispetto alle reali potenzialità fornite dall’ecosistema nel quale furono o sono ancora collocate, è utile per rendere giustizia a quelle culture che, secondo standard meno ponderati, sono state o vengono considerate sottosviluppate. Pertanto, uno degli aspetti positivi del libro è di estendere, elevare e rendere più equo il concetto riferibile al termine “civiltà”. Importantissimo anche il messaggio dell’Autore che ci ricorda che lo sforzo di civilizzazione non è di norma una mera risposta organizzativa a degli stimoli ambientali, ma storicamente si è più spesso configurato come un’esplicita scelta e un ideale che prescinde dalle caratteristiche fisiche del proprio ecosistema di riferimento e che è originato soprattutto dalla volontà di una certa organizzazione umana di adattare e modificare l’ambiente circostante. Questa volontà di “civilizzare” non sempre ha prodotto risultati positivi in termini di costi umani; spesso ha favorito l’instaurazione di regimi fortemente gerarchizzati, oligarchici ed autoritari e la concentrazione della ricchezza, del potere e degli agi nelle mani di un’elite ristretta. A questi aspetti vanno aggiunti quei casi nei quali sono stati prodotti effetti deleteri anche sull’ambiente che in più di un caso ha smesso di essere “sostenibile” perché modificatosi, magari a seguito di fattori concomitanti, ma fra i quali spesso figurava l’eccessivo sfruttamento da parte dell’uomo. Eppure, nonostante i fallimenti, le ingiustizie e i disastri prodotti, la volontà di civilizzare continua a rimanere una di quelle specificità del genere umano che lo distingue, in termini positivi, dal resto degli esseri viventi.

martedì 6 settembre 2011

Statuto dei lavoratori e manovra finanziaria - Sciopero!

Oggi ho deciso di partecipare allo sciopero nazionale indetto dalla CGIL. Per me si tratta di una novità epocale. Fino ad ora infatti, ed ormai si tratta per giunta di lontani ricordi, gli unici scioperi ai quali avevo aderito erano quelli relativi al rinnovo del contratto aziendale per dipendenti assicurativi che venivano indetti dai sindacati del Gruppo Assicurativo Reale Mutua. Queste tipologie di “proteste” non avevano, almeno secondo la mia percezione, alcun significato politico ed anzi, in ottica dichiarativamente corporativa, miravano al miglioramento e non tanto alla salvaguardia delle condizioni economiche dei dipendenti. Potrei anche aggiungere che a me, nella mia disincantata gioventù, apparivano un po’ “rituali” in quanto il risultato sembrava sempre abbastanza scontato. I sindacati chiedevano e l’azienda, comunque improntata ad una gestione del personale benignamente paternalistica, inizialmente rifiutava e poi, “piegata” dalla protesta, normalmente acconsentiva alla concessione di quasi tutte (mai tutte!) le richieste. A me sembrava tutto molto “per bene” ed era ovviamente una realtà molto lontano dagli scioperi e delle lotte sindacali degli anni sessanta e settanta; soprattutto, era tutto molto distante dal tipo di confronto che ha sempre caratterizzato le relazioni sindacali del settore industriale. Sono ormai passati più di dodici anni da quando ho volontariamente lasciato in cerca di migliori occasioni e con un po’ di nostalgia, quella realtà lavorativa e i suoi “minuetti” sindacali e, nel corso di tutti questi anni, fortunatamente, non ho mai dovuto lottare per le mie richieste economiche. Dal punto di vita politico, mi sono realmente fatto coinvolgere solo nell’occasione del referendum abrogativo relativo all’applicazione dell’Art.18 dello Statuto dei Lavoratori, promosso nel 2003 da Rifondazione Comunista (anche allora mi sembrò strano questo mio schierarmi con i “comunisti” :-)!) e sonoramente bocciato dall’elettorato con una partecipazione inferiore al 26% (io ero uno fra quei pochi votanti). Allora, seppure la vicenda non mi riguardasse da vicino, ritenevo che fosse etico estendere alle realtà lavorative con pochi dipendenti quelle tutele che caratterizzano le imprese più grandi. Oggi purtroppo, non si parla più di estendere delle tutele, ma anzi si vanno ad intaccare progressivamente dei diritti importanti dei lavoratori seguendo una logica che, secondo il mio punto di vista, poco ha a che vedere con la necessità di dare maggior competitività e flessibilità al nostro sistema economico, ma che sembra semplicemente indirizzata a riportare indietro l’orologio della storia. Ecco quindi che, seppure a distanza di sicurezza dalla “piazza”, mi trovo di nuovo per motivi di coscienza a fare comunella con i “komunisti” (come li definirebbe il nostro “stimato” Presidente del Consiglio). Bene, magari non servirà a nulla, ma almeno, pensando al futuro di questo Paese e a quello dei miei figli, questo minuscolo atto di protesta questa sera mi consentirà di dormire tranquillo pensando che la vera democrazia si estrinseca in tanti piccoli singoli atti, che alla giusa di granelli di polvere vanno ad intaccare il percorso di regressione verso nuove forme di totalitarismo.
Se vogliamo poi parlare di manovra finanziaria, scopo iniziale dello sciopero! Beh, ci vorrebbero molte pagine per motivare e distillare la parola “Vergogna”…….