venerdì 30 agosto 2013

Siria: che fare?


Bene ha fatto il nostro ministro degli esteri Emma Bonino a raffreddare gli animi rispetto ad un possibile intervento italiano in Siria. Laggiù la situazione è ancora più intricata che in Egitto ed è particolarmente difficile stabilire chi sia giusto, o anche solo, nostro interesse aiutare (si veda a questo proposito l’intervista a Edward Luttwak apparsa su la Stampa il 26 agosto dal titolo “Chiunque prevalga perde L’America” riportata qui sotto).

Il regime del presidente Assad è notoriamente autoritario, recentemente sospettato dell’uso di gas contro la popolazione civile (non certo una novità per ciò che riguarda la storia del medio oriente!), risulta implicato in tutti i principali episodi di destabilizzazione che hanno riguardato la storia libanese degli ultimi trent’anni; tra l’altro, ultimamente egli si è alleato con il movimento scita di Hezbollah, a sua volta appoggiato dall’Iran, retto da un regime non certo noto per le sue inclinazioni democratiche e, certamente, non certo estimatore dei principali valori occidentali.
Invece, il composito fronte di opposizione è formato da una numerosa galassia di sigle e fazioni, alcune delle quali, però, sono riconducibili niente meno che da al Quaeda; in ogni caso, lo zoccolo duro è formato da militanti ispirati dall’estremismo islamico di matrice sunnita, non certo gli alleati naturali di noi occidentali.
A mio avviso, c’è dunque ben poco da scegliere, nessuna delle due parti si merita né il nostro appoggio diretto, né, tantomeno, finirebbe per ringraziarci per averglielo dato.

La storia recente dovrebbe ormai avere insegnato ai nostri governanti (i quali, evidentemente hanno la memoria corta!) che ogni interferenza da parte nostra nella regione non fa che complicare la situazione. Dovremmo riconoscere di non avere il diritto e, soprattutto, la capacità di sciogliere il nodo gordiano che avvolge il medio oriente e l’intero mondo islamico e, pertanto, faremmo meglio ad evitare di metterci ulteriormente nei pasticci. Semmai rimane il problema della popolazione civile e. soprattutto, quello dei profughi, che, come il solito, vengono schiacciati ingiustamente in mezzo agli opposti despotismi e fanatismi.
Solo a loro, secondo il mio parere, dovrebbe essere rivolta l’attenzione dell’occidente, il quale, al posto di buttare soldi in interventi armati dovrebbe semmai mettere più proficuamente mano al portafoglio (probabilmente anche risparmiando rispetto ai costi di un intervento militare!) per sopperire alle loro esigenze immediate. Un’azione esclusivamente di natura umanitaria non solo ridurrebbe gli effetti negativi di questa immane tragedia, ma contribuirebbe anche a farci riguadagnare stima in un area dove certo non godiamo di una buona nomea.
 
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Allego il testo dell'intervista apparsa su La Stampa il 26 agosto intitolata “Chiunque prevalga perde L’America”: 

«Obama sta facendo la cosa giusta in Siria: resistere agli stupidi che cercano di spingerlo all’intervento». Edward Luttwak ha scritto un provocatorio editoriale sul «New York Times», in cui sostiene che gli Stati Uniti perderebbero in ogni caso, se una delle due parti vincesse la guerra. Quindi devono puntare al «pareggio permanente», che logorerebbe nemici dell’America come l’Iran, Hezbollah, Assad e al Qaeda.

Perché la vittoria di Assad sarebbe un disastro?

«Vorrebbe dire il successo di Iran, Hezbollah e gli sciiti più estremisti. Nemici giurati degli Usa, a cui non possiamo consegnare la Siria».

Perché non sarebbe utile neppure il successo dei ribelli?

«Sono una miriade di gruppi diversi, tra cui i fanatici islamici legati ad Al Qaeda, i talebani e i salafisti stanno prendendo il sopravvento. È gente che ammazza i cristiani, anche solo perché la loro squadra ha perso una partita di calcio. Se prendono la Siria, diventa una base per il terrorismo internazionale».

Se l’attacco chimico di mercoledì scorso verrà confermato, Obama potrà resistere ancora all’intervento?

«Certo. Finora sono state ammazzate oltre centomila persone con i proiettili convenzionali, e non siamo intervenuti; adesso dovremmo farlo, perché mille vittime sono state uccise dalle armi chimiche?».

Non le pare un ragionamento cinico, nei confronti dei civili che vengono massacrati?

«Al contrario, è un ragionamento realistico in loro difesa. Se una delle due parti vince, l’altra viene massacrata: i sunniti in caso di successo da parte di Assad; gli sciiti se vincono i gruppi estremisti legati ad al Qaeda. È vero che la gente sto morendo, ma la carneficina diventerebbe ancora più grave se qualcuno prendesse il sopravvento».

Molti criticano Obama, accusandolo di non aver avuto mai una strategia in Siria e Medio Oriente.

«Dicono una fesseria. La strategia di Obama era puntare sull’aiuto della Turchia, per appoggiare gli elementi moderati che all’inizio si erano rivoltati contro il regime, in modo da far cadere Assad e sostituirlo con un governo più amico. È la strategia che ha cercato di realizzare in tutto il Medio Oriente, appoggiando i musulmani moderati per dividerli da quelli più estremisti. Non ha funzionato perché la Turchia non è stata all’altezza, e i moderati siriani si sono dimostrati incapaci».

Ma il «pareggio permanente» a quale soluzione porta?

«Dobbiamo aiutare i ribelli quando Assad sta per vincere, e frenarli quando stanno vincendo loro. Così il regime siriano, l’Iran, Hezbollah, gli sciiti più estremisti, i salafisti, e i fanatici sunniti vicini ad al Qaeda e ai talebani, si logoreranno in una lunga guerra tra di loro, senza avere tempo e risorse per attaccare l’Occidente. Quando non avranno più forza, forse potremo riprendere il controllo. Quella zona del mondo, però, è un inutile covo di serpenti, dove non c’è neppure il petrolio. Non esiste alcuna ragione per cui agli americani convenga di metterci i piedi. Fra tre o quattro secoli, forse, quando torneranno a essere la grande civiltà che sono stati in passato».

lunedì 19 agosto 2013

Recensione: Abbasso Euclide – Il grande racconto della geometria contemporanea


"Abbasso Euclide – Il grande racconto della geometria contemporanea”, di Piergiorgio Odifreddi, edizioni Mondadori ISBN: 978-88-04- 62302-1. 

“Abbasso Euclide”, come anticipato dallo stesso Autore nelle prime pagine dell’opera, non va letto a detrimento del grandissimo matematico vissuto nel terzo secolo a.C. e padre della geometria classica; va invece considerato come un incitamento ad allargare la nostra conoscenza riguardo ai cambiamenti che hanno interessato quest’ambito di studi a partire dal diciottesimo secolo.
L’Autore prova a trascinare il lettore, magari, come il sottoscritto, ormai immemore di nozioni assimilate in un lontano passato, alla scoperta delle nuove geometrie moderne che spaziano in universi multidimensionali e si svolgono in forme strane, variopinte e vagamente aliene, ma che scopriamo essere spesso sotto i nostri occhi e a portata di mano, o persino … sulle nostre tavole (basta pensare ai cavolfiori!): solidi che si svolgono in più di tre dimensioni, “stringhe”, “nastri” e “nodi” dalle proprietà bizzarre, forme affascinanti con superfici infinite ma capienza finita e i misteriosi frattali.
Un libro molto bello, magari non sempre “facile” e non sempre completamente comprensibile, ma comunque alla portata di tutti (garantito dal sottoscritto!) colmo d’indispensabili esempi, illustrazioni e bellissime riproduzioni che insegnano ad apprezzare l’arte, soprattutto quella più astratta e moderna (caspita non sono tutte solo tele “imbrattate”! E io che pensavo ... :-)) e senza le quali, personalmente, mi sarei presto smarrito.  

Alla fine ti viene da chiederti dove saremmo se a scuola le materie scientifiche fossero insegnate attraverso questi metodi narrativi. Non ho dubbi riguardo alla risposta, sicuramente saremmo “più avanti”!

Da ex “somaro” (“ex” solo per raggiunti limiti di età), i miei complimenti all’Autore.
 
p.s. leggetelo alla sera! Personalmente ho fatto bellissimi sogni popolati di tetraedri e dodecaedri colorati :-).

mercoledì 7 agosto 2013

Recensione: Perché le Nazioni Falliscono – Alle origini di prosperità, potenza e povertà


"Perché le Nazioni Falliscono – Alle origini di prosperità, potenza e povertà”, titolo originale: ”Why Nations Fails”, di Daron Acemoglu e James A. Robinson, traduzione di Marco Allegra e Matteo Vegetti, edizioni Il Saggiatore, ISBN: 978-88-428-1873-1. 

La ricerca di valide teorie che riescano a spiegare le differenze che sussistono fra le varie nazioni in termini di sviluppo economico e politico è un’attività in continua evoluzione e una fonte inesauribile di dibattito. Fra le ipotesi sviluppatesi nel corso del tempo, hanno avuto un certo successo alcune spiegazioni che cercavano di far risalire tali diversità a aspetti  ambientali o geografici, altre, a fattori culturali, altre ancora, stigmatizzando l’incapacità delle istituzioni locali di adeguarsi alle esigenze imposte dal “mercato”.
 
Quest’opera, invece, propone un nuovo punto di vista sviluppando una teoria che, nella mia esperienza, ho trovato originale e molto convincente. Per gli Autori il maggiore o minore successo delle nazioni dipende dalla capacità delle stesse a instaurare un circolo virtuoso basato su una relazione molto stretta che unisce l’evoluzione politica e istituzionale alla crescita economica.
In particolare, secondo la terminologia sviluppata nel corso dell’opera, la prosperità tende a beneficiare quei paesi che hanno dato origine a istituzioni politiche ed economiche “inclusive”, vale a dire rappresentative, democratiche, liberali e competitive; al contrario, i paesi sottosviluppati sono per lo più riconducibili a un quadro politico ed economico di tipo “estrattivo”, cioè caratterizzato da istituzioni oligarchiche o di assolutismo politico tale da permettere lo sfruttamento della maggior parte delle risorse e della popolazione a esclusivo beneficio di un’elite ristretta.
Detto in parole più semplici, gli Autori sostengono che là dove la collettività ha avuto successo nel perseguire sia un certo livello di centralizzazione, sia un elevato grado di rappresentatività e di pluralismo nel campo delle istituzioni politiche, tale processo è stato accompagnato anche da una significativa e, soprattutto, diffusa crescita economica.

Gli Autori, ovviamente, mettono in guardia dalle eccessive semplificazioni e avvertono che le combinazioni di variabili che s’intrecciano in una relazione non gerarchica che vede combinarsi crescita economica, forme di condivisione del potere ed evoluzione verso forme di pluralismo politico sono numerosissime e, pertanto, non è possibile entro certi limiti, individuare con precisione le leve e le azioni che pongono in essere un circolo virtuoso di sviluppo. Tra l’altro, essi affermano chiaramente, facendo ricorso a non pochi esempi storici più o meno recenti, che anche le società di tipo “estrattivo”, quelle cioè basate sullo sfruttamento a favore delle elite dominanti, possono garantire periodi anche molto lunghi di sviluppo economico, esse però sono tutte condannate a incontrare un loro limite insito nelle loro forme politiche conservatrici che le porterà inevitabilmente al ristagno e alla decadenza. A esse, infatti, mancherà l’applicazione continua di quella “distruzione creatrice” (secondo la definizione data dell’economista Schumpeter) che garantisce il rinnovamento continuo dell’economia attraverso l’evoluzione della tecnologia ma che, dall’altro lato, causa inevitabilmente anche l’alternanza delle elite al potere. 

Un libro appassionante e illuminante che reinterpreta il passato, giustifica il presente e fornisce qualche elemento in più per scrutare nel futuro.

venerdì 2 agosto 2013

Berlusconi condannato in Cassazione: La fine del ventennio?


A seguito della definitiva condanna in Cassazione per l’evasione fiscale dei diritti Mediaset, forse possiamo dire che il ventennio berlusconiano sia giunto finalmente al suo crepuscolo. Spero sinceramente che questo non porterà a nuove aspre contrapposizioni politiche, anzi, mi auguro che Berlusconi si ritiri “a vita privata” senza troppi clamori. Dopo di ciò sarebbe auspicabile che si desse corso alla tanto attesa riforma elettorale e si tornasse al voto; liberi, questa volta, di sciogliere i ranghi di una lunga, logorante contrapposizione.