giovedì 26 aprile 2012

Fra rigore e sviluppo, la ricetta che l’elite fa finta di non capire. Una riflessione sull’operato di Monti e sulle affermazioni di Draghi.

Finalmente politici, tecnici, economisti e banchieri cominciano a rendersi conto che il rigore fiscale non può essere considerato l’unico strumento utile per il superamento della crisi e, anzi, ormai emerge chiaramente che il livello di tassazione attuale ha probabilmente contribuito a inasprire la spirale recessiva e, per molti contribuenti si avvicina ormai pericolosamente, se non supera, la soglia di accettabilità e sostenibilità. Probabilmente, la leva fiscale era necessaria per dimostrare nei fatti la volontà di rigore ed anche per garantire qualche entrata immediata le esauste casse dello Stato, quello che però emerge chiaramente è come questa sia stata applicata in maniera meno che proporzionale e in certi casi persino regressiva (ad es. Iva e accise!) mettendo così in seria difficoltà una grossa parte della popolazione, spesso per altro, proprio i medesimi soggetti toccati dal perdurare della crisi, già provati dalla disoccupazione e dalle crescenti difficoltà del mondo del lavoro e più esposti ai tagli del welfare. Per questi cittadini, tanto per fare un esempio, l’introduzione dell’IMU come attualmente configurata, rischia di essere devastante, come anche i previsti futuri aumenti dell’IVA. Personalmente, ho già espresso il mio parere favorevole riguardo all’introduzione di una seria imposta patrimoniale, certo però che, soprattutto in questo contesto, si dovrebbe cercare di immunizzare i redditi più bassi tenendo soprattutto conto dei soggetti a carico del contribuente e dando quindi maggior spazio al concetto di reddito famigliare. Per quanto riguarda invece il prospettato aumento dell’Iva, la mia bocciatura è senza appello.
La lunga digressione che ho fatto serve per introdurre un concetto apparentemente ovvio, ma che a me non sembra sia stato tenuto minimamente in conto né da questo esecutivo, né dagli altri governi dell’Unione Europea nella loro ansia rigorista. Tal elemento invece emerge, non si capisce se in buona fede o in nome di un facile populismo, nei proclami elettorali di qualche candidato (es. il francese Hollande), cioè la necessità di ridistribuire i carichi fiscali introducendo maggiori elementi di progressività. Sembrerebbe ovvio ai più, infatti, che i soldi andrebbero cercati presso di quelli che li hanno e non presso chi ormai è allo stremo, questo varrebbe, ovviamente, per ogni tipo di manovra fiscale, che essa sia sui redditi, sulle rendite, sui patrimoni, oppure ancora, e questo sarebbe il migliore per tutti, che riguardi la lotta all’evasione, campo nella quale, bisogna riconoscere, il governo Monti ha cominciato ad agire, seppur timidamente. Anche questo esecutivo però, sembra non voler capire (e questo per me è un vero mistero!) che la lotta all’evasione, almeno in Italia, debba passare attraverso l’introduzione di qualche forma di detraibilità delle spese nelle denunce dei redditi (lusso, prestazioni professionali, ecc.) che sia affiancata da controlli incrociati e dalla tracciabilità dei pagamenti.
In sintesi, con la parola “Rigore” si dovrebbe intendere non tanto l’inasprimento delle vessazioni poste a carico dei “Soliti noti”, che anzi, mai come ora sono invece bisognosi di maggior assistenza e sostegno, ma, la ricerca di coloro che, fino ad ora, non hanno pagato dazio. Soprattutto però l’attenzione della classe dirigente dovrebbe rivolgersi alla razionalizzazione (più che alla riduzione) della spesa pubblica e soprattutto al contenimento e all’abbattimento di quei privilegi e ruberie che, senza entrare nel campo di una facile anti-politica, emergono chiaramente dagli odierni e passati fatti di cronaca.
Per dirla tutta, la sensazione è che non siano i soldi a mancare veramente, ne quelli pubblici, ne forse i capitali privati, anche se è vero che la ricchezza globale si è ridotta, almeno se si considera il puro ammontare del suo valore monetario, parte del quale si è letteralmente volatilizzato dalla crisi del 2007. Forse è possibile affermare che non sia questa colossale perdita di valore la causa prima dei nostri problemi, personalmente, infatti, ritengo che tale processo non abbia direttamente intaccato l’economia reale. Il collasso di tale montagna di risparmi di “Carta” (che poi si è rivelata “Straccia”) ha solo svelato la verità che si nascondeva dietro decenni di menzogne e illusioni, cioè che l’economia reale dei paesi occidentali andava progressivamente deteriorandosi a causa di una mancanza cronica d’investimenti e innovazione che, almeno in Italia, può farsi risalire fin dagli anni 70 e 80 e, che di fatto, larga parte del nostro tessuto sociale ha cominciato a vivere da allora, un po’ con la complicità di tutti, ricorrendo al credito, rimanendo spesso sottoimpiegato o impegnato in attività che non di rado faticheremmo a definire. Molti si sono soffermati sulle cause di tale processo: la New economy, la globalizzazione (fenomeno di per sé non necessariamente negativo e comunque difficilmente evitabile o arrestabile!), la progressiva perdita di competitività, le scelte produttive delle multinazionali, la perdita della leadership tecnologica, ecc. ma pochissimi hanno cercato di soffermarsi sui soggetti che devono essere considerati responsabili per aver portato il nostro modello socio-economico sull’orlo del disastro. A me sembra, che tali soggetti non siano altri che quelli che ci governano ancora oggi o che l’hanno fatto fino a ieri e che, per lo più, continuano a rimanere ai loro posti fra le alte cariche della politica, del mondo culturale ed economico e che, ostinatamente, nonostante i tanti errori e anche l’avanzata età anagrafica si rifiutano di farsi da parte in nome di una stabilità, che in realtà per la gente normale non esiste più, e in funzione di una continuità che forse va messa in discussione. Questi sono anche gli stessi soggetti, nelle cui tasche forse si trovano parte quelle risorse non sempre onestamente accumulate e spesso ingiustamente sottratte alla collettività e delle quali adesso abbiamo bisogno per rilanciare l’economia e per mantenere un livello sufficiente di servizi pubblici e di ammortizzatori sociali. Stiamo comunque parlando di quelle elite che in passato hanno evitato di affrontare responsabilmente la situazione e che anche ora non sembrano né in grado di trovare delle soluzioni durature ai nostri problemi né tanto meno appaiono intenzionate a modificare sostanzialmente quel sistema di potere neanche nei suoi aspetti espliciti e legittimi, ad esempio cambiando le regole di accesso alla vita politica e la legge elettorale. Esse invece rimangono determinate a mantenere in piedi le proprie strutture di potere informale, se non persino illegale, rimanendo legati a quelle lobby o consorterie che le ha fatte prosperare in passato e che conferisce loro privilegi e immunità che adesso non possiamo più permetterci.
Ecco quindi il vero significato che dovrebbe avere la parola “Rigore”, cioè l’esplicazione di un auto-processo interno di valutazione che deve riguardare proprio il mondo al quale appartiene sia Monti, che Draghi insieme alla nostra intera classe dirigente e che implichi una seria ricerca paziente delle cause, la riduzione degli sprechi, l’onesta individuazione degli errori e delle responsabilità, la rimozione degli elementi inadeguati (partendo dall’alto, questa volta!), la coscienziosa applicazione delle leggi e delle procedure, la ricerca di una stabile equità, il rinnovo di una classe dirigente ormai anziana e la reintroduzione di una reale rappresentatività democratica.

lunedì 23 aprile 2012

Recensione: Tutto ciò che sono

“Tutto ciò che sono”, titolo originale: “All That I am”, di Anna Funder, traduzione di Silvia Rota Sperti, editrice Feltrinelli, iSBN 978-88-07-01874-9.
Il romanzo racconta la storia di quattro giovani tedeschi: Ernst, Dora, Ruth e Hans impegnati politicamente nel difficile clima della Repubblica di Weimar. Essi finiranno per assistere impotenti all’ascesa e al consolidamento del nazismo e saranno costretti alla fuga per sfuggire alle persecuzioni del regime. Trascinati dall’indomita e straripante vitalità di Dora, essi continueranno la propria lotta anche dall’estero e, insieme con altri fuoriusciti, tenteranno inutilmente di mettere in guardia il mondo contro i propositi bellicosi e criminosi di Hitler, finendo per pagare ai propri ideali un prezzo elevatissimo che, per alcuni sarà la morte, per altri l’esilio, per altri ancora il soccombere alle proprie paure e la corruzione dei propri stessi ideali. Il libro è molto bello, scorrevole, coinvolgente, drammatico e passionale. Dora è bella e seducente, seppure un po’ sregolata, quanto si addice a un’eroina tragica; ma la mia simpatia va a Ruth, apparentemente fragile e forse un po’ scialba, eppure lucida osservatrice di una tragedia alla quale essa è destinata a sopravvivere per poter ricordare.
Aggiungo che, l’interesse per questo bel libro non si limita all’intreccio avvincente, esso, infatti, stimola il lettore all’approfondimento e alla comprensione di un periodo storico non facile da decifrare che, dall’immane tragedia della Grande Guerra si snoda nel convulso periodo del dopoguerra fra rivoluzioni riuscite e abortite, crisi economiche, disoccupazione, colpi di stato, promesse deluse e rancori covati fino a generare il virus dello stalinismo e del nazifascismo, l’olocausto e l’immane carnaio della Seconda Guerra mondiale.

lunedì 16 aprile 2012

Recensione: Hagakure. Il Libro Perduto dei Samurai

“Hagakure. Il Libro Perduto dei Samurai”, di Yamamoto Tsunetomo, traduzione di Maki Kasano, editrice Mondadori, iSBN 978-88-04-58850-4.
Viene riconosciuto come un testo importante della letteratura giapponese del diciottesimo secolo. Si tratta di una raccolta di aforismi ricavati attraverso una serie di conversazioni intrattenute fra Yamamoto Tsunetomo, un ex samurai divenuto monaco buddhista e il suo allievo, Tashiro Tsuramoto, che le trascrisse in un opera di undici volumi. L’edizione attuale è ridotta e riporta solo una parte dell’opera originale.
Il libro è interessante, soprattutto per coloro che sono vicino al mondo delle arti marziali, e alcuni degli aforismi sono molto belli. A mio avviso, non bisogna però esagerarne troppo i contenuti o soffermarsi troppo per ricercare chissà quali temi etici e norme di vita; molti di essi, infatti, descrivono solo una certa situazione storica, altri sono puro buon senso, altri ancora possono essere interpretati un po’ come si desidera. Un po’ come avviene con certi testi zen, ho l’impressione che tante storie messe insieme non facciano necessariamente una dottrina. Detto ciò non intendo assolutamente sminuire quest’opera che si legge con piacere e che induce comunque a parecchi spunti di riflessione.

domenica 15 aprile 2012

Recensione: TAV in Val di Susa. Le ragioni di una lotta

“TAV in Val di Susa. Le ragioni di una lotta”, di Giovanni Guastini, editrice Massari, iSBN 978-88-457-0234-1.
Questo è un libro che tratta di un tema politico, di un conflitto sociale e d’interessi molto attuale e molto sentito (almeno per gli abitanti della Val di Susa), nel momento in cui, pertanto, mi accingo a sottoporlo al mio personale giudizio, le più banali regole di equità mi costringono innanzi tutto a svelare la mia posizione ideologica. Io sono un tiepido pro TAV! Forse sarebbe più onesto ammettere che faccio parte della massa vischiosa di coloro che sono sostanzialmente incapaci di farsi un’idea compiuta del bilancio di costi-benefici che implica questo progetto e soffro di quel “Pre-giudizio di razionalità” verso le decisioni pubbliche, che è stato illustrato molto bene dal Prof. Antonio Calafatti proprio all’interno del libro. Aggiungo che, abitando a Torino, sono, sì fisicamente vicino alla Val di Susa, ma, probabilmente, mi trovo abbastanza lontano dal luogo dei lavori da sentirmi sufficientemente tutelato contro i rischi e i disagi che invece si devono accollare gli abitanti della vallata. Probabilmente sono anche in un posto che, forse, trarrà effettivamente sviluppo e benefici economici dalla realizzazione di questa infrastruttura. In sintesi, mi sento pro TAV perché ho ancora fiducia nella capacità dell’autorità pubblica di fare delle scelte corrette tenendo presente le esigenze economiche e della società nazionale. Mi rendo conto che, insito in quest’atteggiamento mentale si nasconda una buona dose di dogmatismo, dall’altra parte però, posto che siamo in un contesto democratico, la presenza di un pre-giudizio a favore dell’autorità mi appare in un certo senso fisiologico e giustificabile e difficile da rigettare.
Dopo questa premessa, consiglio comunque vivamente la lettura di questo libro che, non solo ha il pregio di inquadrare abbastanza bene l’intera questione, ma che soprattutto, mi sembra, segua un approccio razionale ed è improntato a un confronto rispettoso e moderato riguardo alle scelte dell’autorità e della maggioranza, la quale per altro appare poco interessata al problema (per definizione “Locale”) e pertanto, acritica e “Silenziosa”. Ricordando che, lo spirito democratico non si esaurisce nel semplice arbitrio della maggioranza nei confronti delle minoranze e, costatando come, spesso il livello del consenso dipenda dalla distanza alla quale si traccia il confine all’interno di una collettività territoriale, ritengo un buon esercizio cimentarsi con questa pubblicazione intelligente. E mi auguro, anche al solo scopo di confortare il mio fideismo verso le nostre autorità, che esse siano in grado di fornire ai No TAV delle risposte che siano effettivamente convincenti.

mercoledì 11 aprile 2012

Recensione: I Mimi

“I Mimi”, titolo originale: “The Mimic Men”, di V. S. Naipaul, traduzione di Valeria Gattei, editrice Adelphi, iSBN 978-88-459-2642-6.
Difficilmente scelgo un libro basandomi principalmente sulla mia esperienza o sulle informazioni raccolte riguardo all’Autore, in questo caso ho fatto un’eccezione perché ero rimasto colpito positivamente da “La Maschera dell’Africa”. Mi è capitato di notare “I Mimi” in esposizione e ho acquistato il romanzo in maniera un po’ compulsiva. Temo di aver fatto male a derogare ai miei principi perché sono rimasto assai deluso della scelta. Il libro non mi ha coinvolto e riconosco di non essere stato in grado né di capire l’argomento trattato, né di entrare in sintonia con il personaggio principale che ho trovato semplicemente apatico e scialbo, quasi una caricatura del supposto carattere indolente spesso attribuito agli abitanti dei tropici. Ho trovato la Londra descritta dal romanzo così cupa che mi ha fatto pensare a Stalingrado, ed anche l’isola tropicale di Isabella (che immagino sia un luogo di fantasia!) mi è apparsa surreale e claustrofobica, pervasa di un’afa così opprimente da far rimpiangere le malsane giungle fluviali di Conrad. Peccato! Soprattutto perché ritengo indiscutibili le riconosciute capacità dell’Autore, per il quale, mantengo inalterata la mia stima.

domenica 8 aprile 2012

Recensione: Risorgimento disonorato

“Risorgimento disonorato”, di Lorenzo Del Boca, editrice UTET, iSBN 978-88-02-08422-0.
Il periodo risorgimentale, come tutti i momenti storici complessi, può essere esaminato sotto molteplici punti di vista. Si può quindi mettere in luce il processo positivo che, non senza contraddizioni, ha portato al compimento l’unità nazionale e se ne può esaltare lo spirito ideale ricorrendo magari ad ampie dosi di ampollosa retorica, oppure ancora, ci si può soffermare sugli aspetti negativi, evidenziando come il Risorgimento, se da un lato può essere sicuramente posto alla base della nostra attuale realtà nazionale, dall’altra, finì per travolgere senza troppo riguardo molte situazioni, anche virtuose, che non sappiamo come sarebbero evolute se la storia avesse seguito un altro corso, mentre, infine, sappiamo per certo come l’unità abbia portato con sé una serie di tensioni, frustrazioni e nodi irrisolti che, forse, perdurano fino ad oggi. Non bisogna poi dimenticare che, il Risorgimento, fu sì, in parte, fenomeno spontaneo e genuinamente intellettuale e culturale, ma anche il frutto di una politica imperialista promossa dal piccolo ma ambizioso regno di Sardegna. Il libro di Del Boca si colloca nel filone delle opere critiche, ma ha un taglio originale, non si sofferma, infatti, su una critica filo-meridionalista o pro-federalista del fenomeno risorgimentale, ma cerca di darci un assaggio di ciò che è avvenuto sullo sfondo, oltre la facciata degli slogan, dell’ideologia e della retorica. L’Autore racconta di servizi segreti, agenti doppi, di crimini efferati, appropriazioni indebite, saccheggi, assassinii e trame oscure; di corruzione dilagante e mazzette distribuite a piene mani; di volontà popolare manipolata e di speranze tradite; di generali incapaci, insicuri, boriosi e sanguinari e di elite rampanti, ignoranti e corrotte che si sostituirono a potenti non necessariamente peggiori di loro. A pensarci bene c’era da immaginarselo e bisogna riconoscere che, per certi versi, i nostri “Padri della Patria” gli italiani sono riusciti a farli eccome! Basta guardare alla nostra storia patria o al nostro Parlamento.
Il libro, a mio avviso, ha il solo difetto di essere un po’ frammentario; forse l’argomento meritava maggior approfondimento e soprattutto, una sintesi e un giudizio che, altre agli aspetti morali, implicasse un’analisi delle evidenti ricadute negative che si ebbero in seguito.
Rilevo invece un aspetto curioso; a parer mio, certi fatti e certi personaggi (si veda ad esempio la parte dedicata a Filippo Curletti) sono stati d’ispirazione anche a Umberto Eco per la parte del “Cimitero di Praga” che tratta dei fatti risorgimentali.

Lega Nord: Pasqua di Passione

Finalmente l’italietta padana svela clamorosamente la sua vera sostanza. Già si sapeva che il movimento, salvo qualche eccezione, non era esattamente ispirato dai più alti valori culturali. I più ingenui però speravano almeno che, proprio perché un po’ ruspante, fosse almeno un poco più onesto del resto del panorama politico. Non si capisce effettivamente da dove fosse nata quest’illusione, se, infatti, non si può certo affermare che la cultura sia anche garanzia di onestà (anche se personalmente sostengo invece che esista una correlazione positiva fra queste due qualità morali), non vedo come si possa sperare come populismo, rozzezza, volgarità e ignoranza possano, mediamente, produrre di meglio. Ecco quindi che emergono i soliti mali della politica italica! Mi par di capire che, a partire da Bossi, per procedere verso i famigliari e gli stretti collaboratori si riescono a mettere insieme al più un paio di diplomi prezzolati, altro che trojke tecniche! Come malvezzo assai diffuso anche in altri ambienti, ma soprattutto nella fisiologia della tipica azienda famigliare stile Nord-Est (per altro avvezza a evasione Iva e lavoro nero!), la suddivisione fra finanza di partito e famigliare risulta meno trasparente di quella che c’era ai tempi e alla corte del re sole e, sempre seguendo il paragone, è lo jus sanguinis più che le capacità personali a determinare il rango di delfini, trote e balene, la nordica versione ittica dello zoo al quale ormai siamo tutti abituati. Non parliamo delle letture famigliari poi, secondo quanto appare sui quotidiani sembrerebbe che a Gemonio ci fosse la biblioteca esoterica più fornita d’Europa. Non mi stupirei che nelle cantine si trovassero un laboratorio alchemico e lo studio professionale di qualche chiromante, se non proprio l’attuale domicilio di Vanna Marchi.
Giubiliamo quindi e con genuina gioia, questo carrozzone di guitti, augurandoci che, visti i tempi pasquali, un novello Ponzio Pilato questa volta non si dimostri ozioso e pavido ma amministri finalmente genuina giustizia e, al posto di una crocifissione che apparirebbe per altro assai blasfema, data la levatura del potenziale candidato disponibile, disponga un più opportuno e catartico impalamento in stile turchesco.

martedì 3 aprile 2012

A Franca

E' Primavera.
Potrebbe il vento trattenere il respiro?
Delicata è la promessa dei fiori del pesco.



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Ti domando!
Dietro che nuvola è celata oggi la vittoria?

lunedì 2 aprile 2012

Aung San Suu Kyi: Una riflessione sui miti fondanti della Democrazia

Il caso di Aung San Suu Kyi, la leader politica birmana , premio nobel per la pace e fondatrice della Lega Nazionale per la Democrazia (Nld), appena eletta in parlamento, asseconda una mia convinzione personale riguardo ad una delle condizioni fondamentali perché il modello democratico abbia successo. La Democrazia, per funzionare ha bisogno di un’elite che sia colta, raffinata e, se vogliamo, economicamente almeno benestante. Queste caratteristiche, che forse implicano un po’ di snobismo, sono a mio avviso propedeutiche al creare quel clima di comprensione, di sicurezza e forse persino di altero e sereno distacco che permette, alle volte, di esprimere dei personaggi che siano intimamente convinti della necessità di agire in politica con un piglio etico superiore, con quell’austerità e quella volontà di farsi “modello” che rimangono impressi nell’immaginario collettivo. Osservando un personaggio come la “Signora”, viene sempre da chiedersi quanto di vero ci sia in lei, quanto l’immagine di se stessa rispecchi una genuina sostanza, quanto il mito si sia veramente sostituito al personaggio reale. Eppure, guardando anche solo una sua fotografia, penso che non sia facile sfuggire al suo fascino profondo, alla magia di una bellezza che sembra filtrare oltre l’età, ad un’idea di raffinata austerità e a una fisicità che nel contempo appare fragile, indomita ed incorruttibile. Non mi sembra strano che, per il suo popolo, Aung San Suu Kyi, possa apparire una specie di dea del pantheon buddista, oppure se vogliamo, l’incarnazione vivente delle virtù politiche confuciane del “Saggio”. Al di là del fatto che, qualora effettivamente posti nella possibilità di governare realmente, personaggi del genere siano poi in grado di mantenere le promesse insite nel proprio modo di essere, rimane comunque la profonda ammirazione per quell’innegabile carisma, per quella incredibile combinazione atomica e spirituale di immagine e materia che trasforma tali esseri in miti fondanti collettivi.