giovedì 26 dicembre 2013

Recensione: I Panni Sporchi della Sinistra – I segreti di Napolitano e gli affari del PD


“I Panni Sporchi della Sinistra – I segreti di Napolitano e gli affari del PD”, di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara, edizioni Chiarelettere, ISBN: 978-88-6190-427-9.
Dopo più di vent’anni di guerra di logoramento contro la sub-cultura berlusconiana e gli effetti del suo malgoverno valeva comunque la pena di approfondire un po’ il tema del malaffare “de noi altri”, tanto più che, in varie occasioni, il confronto politico ha sfiorato i toni di una guerra di religione che ha cercato di suddividere i cittadini della nazione fra presunti buoni e cattivi.
Leggendo queste pagine, che per altro non svelano niente di veramente sensazionale, si finisce un po’ per soffrire della sindrome del reduce che, guardandosi alle spalle, si chiede se veramente valeva la pena di scaldarsi tanto. Saremmo veramente migliori se, nell’ultimo ventennio avesse governato in maniera prevalente questo centro-sinistra descritto da Pinotti e Santachiara? Il beneficio del dubbio, in questo caso è d’obbligo! La triste verità, a ben vedere, è quasi scontata e dimostra per l’ennesima volta che i “cattivi” non stanno solo nel campo avverso e, che nel proprio non sempre alberga la virtù. Anche questa, però è una lettura banale e limitata del problema legato alla cosiddetta “questione morale”, mai seriamente affrontata dalla politica italiana; perché quello che emerge dal libro di Pinotti e Santachiara è una verità amara che ci ricorda che le origini del sistema politico che ha retto l’Italia dagli anni novanta a oggi sono frutto di scelte e compromessi bipartisan più o meno consci, di accordi sottobanco, di spartizioni trasversali e di clamorosi errori di sottovalutazione. La classe politica, di destra o sinistra appare per quello che probabilmente è, un ceto a se stante, un circolo di amici e compari dove alla fine, di là dal colore degli stendardi e lontani dall’arena mediatica, una soluzione concordata si trova sempre.

mercoledì 18 dicembre 2013

Recensione: Il bonobo e l’ateo: In cerca di umanità fra i primati


“Il bonobo e l’ateo: In cerca di umanità fra i primati”, titolo originale “The Bonobo and the Atheist. In Search of Humanism Among the Primates”, Frans de Waal, traduzione di Libero Sosio, edizioni Raffaello Cortina, ISBN: 978-88-6030-600-5.
Frans de Waal è un primatologo olandese naturalizzato americano, del quale avevo sentito parlare già qualche fa grazie a un articolo apparso sulla rubrica “Tutto Scienze” del quotidiano La Stampa intitolato “Noi, le scimmie buone” (La Stampa 14/09/2011).
Sostanzialmente, nel libro egli riprende ed espande i concetti già espressi allora, il tema principale del saggio è incentrato sull’origine della moralità. L’Autore sostiene che, sulla base delle ricerche effettuate su alcuni animali e, in particolare sulle scimmie antropomorfe, si può ipotizzare e affermare con un certo grado di certezza che per l’uomo, i concetti alla base dei comportamenti che potremmo definire “morali” siano preesistenti all’avvento della religiosità; anzi, è probabile che la stessa religione sia, invece, il frutto di una codificazione successiva sviluppatesi al fine di facilitare la vita sociale in società organizzate via, via più complesse.
De Waal sviluppa questo concetto sulla base dell’esperienza scientifica sua e di altri maturata sia nel campo della zoologia sia attraverso le recenti scoperte rese possibili dallo sviluppo delle neuroscienze e incentrate sullo studio delle aree cerebrali interessate al cosiddetto “circuito dell’empatia”. Sembra che uomini e scimmie antropomorfe (e altri animali) abbiano un cervello empatico; questa capacità d’immedesimazione negli altri soggetti, suggerita in campo neurologico dalla scoperta dei neuroni a specchio, ci predispone a una socialità positiva senza doppi fini, smentendo in questo, in buona parte, il filone filosofico ed evoluzionista legato all’”utilitarismo”. Per De Waal, l’uomo nasce fondamentalmente “buono” perché predisposto a comprendere e fare sue le emozioni degli altri.
Queste tesi spingono l’Autore ad approdare a una visione personale equilibrata e moderata nei confronti della religiosità, tanto che la sua critica, già espressa nel titolo dell’opera, si rivolge più agli atei militanti che verso i credenti. Nei confronti dei primi, esprime l’augurio che essi smettano di “dormire furiosamente”, immagine che coglie la contraddizione di chi si ostina a condurre con fervore “religioso” una campagna contro tali credenze. I credenti, invece, sono invitati a rifuggire l'approccio dogmatico e a non irrigidirsi su una visione arretrata e obsoleta delle cose.
L’Autore fa anche di più perché mette in guardia dallo sviluppare un cieco fideismo nei confronti della scienza che, secondo il suo modo di pensare, rimane un insostituibile strumento per accrescere le nostre conoscenze, ma che non può essa stessa assumere i caratteri di una religione “della ragione”. De Waal, al contrario, invita a non rigettare l’elemento sensibile e istintivo nel nostro essere “umani” perché inscindibile e altrettanto importante rispetto alle capacità raziocinanti.
In sintesi, ne viene fuori un libro molto bello, interessante e pacato che mescola in modo equilibrato le esperienze scientifiche dell’Autore, la sua visione filosofica e un certo amore per l’arte espressa attraverso l’ammirazione dell’opera di un grande pittore fiammingo, Hieronymus Bosch, che grazie a una delle sue opere di maggior interesse, il “Il Giardino delle Delizie”, fa da sfondo a molte delle osservazioni contenute in questo libro.

giovedì 12 dicembre 2013

Una pazza idea: Come “licenziare i politici”?


Sono convinto che la protesta dei forconi, almeno in Piemonte, abbia trovato un certo consenso non solo a causa del disagio economico, ma anche a seguito degli effetti di “Rimborsopoli”, cioè la vicenda dei rimborsi spese non esattamente irreprensibili richiesti e ottenuti negli ultimi due anni da moltissimi assessori regionali, quasi tutti appartenenti alla maggioranza. Riguardo a questo presunto abuso amministrativo si è già chiusa la fase di indagine e, di conseguenza, 43 consiglieri hanno ricevuto l’avviso da parte della procura. Seguirà la fase giudiziaria. Il punto però che fa riflettere è il seguente: come possono fare i cittadini  liberarsi speditamente e anzitempo di una classe dirigente della quale essi hanno perso la fiducia? Su questo punto, secondo me, viene fuori una dei tanti limiti del nostro sistema democratico; eleggendo un rappresentante gli si accorda la fiducia di amministrazione e governo per un certo periodo di tempo, di solito un certo numero di anni, ma come si può ritirare tale fiducia  prima di tale scadenza? E’ facile notare che in altri tipi di assemblee ci sono strumenti per superare questo problema: gli azionisti di una società possono richiedere un’assemblea straordinaria e sfiduciarne i vertici, un condominio può  fare lo stesso, invece gli elettori non hanno uno strumento istituzionale e pratico per ottenere il medesimo risultato. Possono solo protestare e sperare che si coaguli il dissenso, oppure augurarsi un rapido intervento da parte degli organi amministrativi e giudiziari che si incarichino di rimuovere gli “amministratori” infedeli! Ma un attimo! Questi sono innanzi tutto i nostri rappresentanti e solo in secondo luogo essi si qualificano anche come “amministratori”, è quindi incredibile che essi non possano essere rimossi dai delegatari legittimi per il solo fatto che essi non raccolgono più la  fiducia degli stessi (a pensarci bene, non è neanche necessario che essi abbiano infranto qualche legge). E’ ovvio che, iniziative in questo senso odorano un po’ di populismo ed è anche facile comprendere come strumenti di questo genere possano essere facilmente manipolati da chi ha il controllo dei mezzi di informazione, eppure, personalmente sono convinto che  questi rischi non giustifichino l’impossibilità di rimuovere dalle cariche  gli organi sfiduciati. Nel caso della giunta regionale piemontese, per esempio, è evidente che bisognerebbe rinnovarla completamente e rieleggerne un’altra in quanto quella attuale è chiaramente sfiduciata, ma come si può ottenere tale risultato rapidamente  senza prendere a sassate le finestre del palazzo? In pratica, mi sembra che l’unico modo per mantenere il dissenso nei limiti della legalità sia quello di permettere ai delegatari di ritirare la fiducia e di spostarla su altri rappresentanti, ma non mi sembra che il nostro sistema democratico abbia previsto degli strumenti efficaci per dare i cittadini i mezzi per ottenere tale risultato.

giovedì 5 dicembre 2013

La fine del Porcellum!

Era ora, grazie alla Consulta il "Porcellum" non c'è più. Se dalla sua dipartita se ne potessero cavare almeno un paio di prosciutti e qualche salame, questi sarebbero i soli frutti positivi di questo ignobile sistema elettorale!
Per il momento, in attesa che la politica si svegli, si torna al proporzionale.
Io spero che nella sostanza la nuova legge elettorale, che ora le forze politiche dovranno per forza ideare, sarà basata proprio su questo meccanismo.
Non mi dispiacerebbe che venissero reintrodotte le preferenze e che fosse esplicitamente vietato di presentare liste apparentate che raccolgano più simboli.
Sarebbe accettabile, in nome della cosiddetta governabilità, introdurre anche una piccola soglia di sbarramento (2%?) in modo da evitare una proliferazione eccessiva di simboli e liste.
L'importante è che si seppellisca l'esperienza sull'uninominale, perché, personalmente, sono convinto che sia meglio una litigiosa ingovernabilità rispetto ad un tipo di stabilità come quello che abbiamo avuto negli ultimi vent'anni. :-)