mercoledì 23 maggio 2012

Movimento Cinque Stelle: Qualche considerazione

Dopo la conclusione dei ballottaggi delle amministrative che ha confermato la forza della marea montante del Movimento Cinque Stelle, è tutto un fiorire di analisi riguardo alle motivazioni e alle conseguenze di tale successo. Uno degli aspetti più importanti che è chiaramente emerso da queste riflessioni post voto è la constatazione che non esiste necessariamente un’identità di vedute e neppure un’unitarietà di obiettivi fra la “Base”, i singoli candidati, le varie organizzazioni territoriali e l’ideologia e la vulgata di Beppe Grillo. Anzi, a me sembra che, proprio la mancanza d’indirizzi specifici dall’alto debba ascriversi fra i fattori di successo del Movimento. Il comico genovese non è quindi, a mio avviso, il leader indiscusso, a lui invece va riconosciuto il ruolo di catalizzatore della protesta, di fattore aggregante, di pungolo e di sensibilizzatore di una parte consistente e inascoltata dell’opinione pubblica, soprattutto di quella che non si riconosce più, o che non si è mai riconosciuta (anche solo per fattori anagrafici!) in un qualche facile contenitore ideologico: sinistra, destra, ambientalismo, laicismo, fervore religioso, liberismo, statalismo, assistenzialismo, federalismo, localismo, ecc. A mio avviso, il vero ruolo che va riservato a Grillo è di aver creato un polo di attrazione e aggregazione per soggetti che non si distinguono molto da ”L’uomo della porta accanto” per la sostanza, ma per la volontà (o la disperazione) che li ha fatti decidere, insieme magari a una certa disponibilità di tempo, a muovere un primo passo contro un sistema politico che, fino ad ora, ci aveva costretto in un circolo vizioso che riservava all’elettore, al più, il ruolo di spettatore passivo di un surreale talk show nel quale i soliti noti, i professionisti della politica e i loro clienti, rappresentavano un’eterna commedia dell’assurdo completamente autoreferenziale. Fra i meriti del movimento va sicuramente ascritto proprio il superamento dell’idea che la politica debba essere appannaggio di “Professionisti”. Spesso, per altro, termine applicabile a una base di soggetti che non si sono mai distinti molto per le loro capacità e che anzi, forse ha scelto la politica proprio perché non ne richiedeva alcuna (se non l’obbedienza!) o perché non aveva null’altro (di serio) da fare, oppure a semplici “Volti”, o peggio, “Clienti” o famigliari, scelti dai leader di partito, oppure ancora a ex manager, professionisti, baroni universitari e gregari funzionali alle proprie lobby e all’elite al potere. Altro aspetto chiarificatore è quello riguardante i costi della politica. Il Movimento ha dimostrato che, per fare politica e, soprattutto per cominciare, non è necessario dissanguarsi o avere a disposizioni risorse personali rilevanti oppure messe a disposizioni non si sa da chi e con quali motivazioni. E’ emerso quello che molti già sospettavano, cioè che i “Professionisti” pretendono di campare, e anche bene del loro mestiere e, soprattutto, posto che si auto-referenziano anche e soprattutto nell’assegnazione dei propri emolumenti, non è difficile far lievitare i costi.
Un aspetto importante che, tra l’altro, rende spiegabile lo sfondamento del movimento a queste elezioni riguarda il fatto che esse fossero amministrative e quindi a carattere locale. In questi casi spesso emerge più chiaramente la volontà di protesta da una parte e, dall’altra è più semplice e visibile l’accesso alla vita politica attraverso l’aggregazione in circoli e liste civiche e, spesso, si riesce a polarizzazione il consenso verso singole persone a discapito dei partiti. Quest’aspetto sarà molto importante e forse determinante per il voto delle politiche del prossimo anno dove, se non ci fosse già un chiaro successo alle spalle, ci vorrebbe molto più coraggio per dare la preferenza a un movimento giovane che, tra l’altro, non è certo favorito dall’attuale meccanismo di voto. Di nuovo, questo successo potrebbe essere finalmente decisivo proprio ai fini della modifica della legge elettorale, che mi auguro, sarà orientata verso un sistema maggiormente proporzionale comprensivo, spero, di preferenze. Ripongo questa speranza perché ritengo che, molti “Grandi” partiti non siano adesso per nulla sicuri di non venire completamente annichiliti dalla prossima espressione di voto e che pertanto, puntino almeno a una sopravvivenza ai margini. A questo proposito, nel momento in cui strombazza vittorie inesistenti, anche lo stesso PD dovrebbe sentirsi avvertito. Ora, infatti, la sinistra moderata ha solo beneficiato dell’abbandono del campo dei precedenti avversari ma, a mio avviso, si trova perfettamente nel ruolo di prossima vittima designata di un calo consistente di consensi.
Dopo uno sguardo agli aspetti positivi legati al Movimento Cinque Stelle, provo adesso a puntualizzarne alcuni potenziali nodi che potrebbero emergere rapidamente, facendo magari involvere la situazione. Gli aspetti delicati sono necessariamente il contro altare delle caratteristiche positive dei Grillini, i quali nascono sostanzialmente apartitici ma anche molto eterogenei e poco caratterizzabili dal punto di vista ideologico. Per loro natura poi, tendono a essere giovani e ben rappresentati da studenti, impiegati e precari. Essi mancano quindi di quello status che spesso, un po’ borghesemente, accompagna l’immagine di serietà e competenza. Poco male! E’ forse giunto il momento di verificare se, soprattutto in questo momento che sembra avviarci verso scenari totalmente nuovi, c’è veramente tutta questa necessità di tecnica rispetto a quanto sia invece opportuna la scelta di osare nuove soluzioni e di riporre fiducia in una nuova visione delle cose, possibilmente accompagnati da un agire onesto, da impegno e buon senso. Per mio conto. Dopo l’ondata di entusiasmo mi aspetto dunque qualche difficoltà nell’affrontare la prova della realtà e conseguentemente arriveranno qualche delusione e battuta di arresto. Rispetto a prima, però, non mi aspetto disastri, e spero almeno che siano evitati molti sprechi. Tutto sommato quindi guardo con ottimismo a questo nuovo esperimento e faccio i miei migliori auguri ai nuovi arrivati.

sabato 19 maggio 2012

Recensione: Nudi e Crudi

“Nudi e Crudi”, titolo originale: “The Clothes They Stood Up In”, di Alan Bennett, traduzione di Giulia Arborio Mella e Claudia Valeria Letizia, edizioni Adelphi, ISBN 88-459-1610-3.
Una sera, ritornando da uno spettacolo teatrale, i coniugi Ransome trovano la casa svaligiata. Il fatto peculiare è che i ladri hanno asportato completamente ogni cosa, compreso ogni oggetto personale o suppellettile, carta igienica e moquette comprese. Comprensibilmente shoccati dall’avvenimento i due coniugi, ormai logorati da un rapporto un po’ consunto e routinario, reagiranno molto diversamente a un fatto che, in un certo senso da loro una sferzata e fornisce loro la possibilità di ripartire da nuove basi.
Bella l’idea iniziale, che l’Autore sviluppa in maniera divertente per buona parte del racconto svelando una trama logica seppur paradossale e attraversata da curiosi colpi di scena. Purtroppo però tutto viene rovinato da un finale banale e privo di significato che lascia un filo di amaro in bocca.

venerdì 18 maggio 2012

Recensione: Obbedienza e Libertà: Critica e rinnovamento della coscienza cristiana

“Obbedienza e Libertà: Critica e rinnovamento della coscienza cristiana”, di Vito Mancuso, edizioni Campo dei Fiori, ISBN 978-88-6411-576-4.
L’Autore affronta uno degli aspetti più moderni del disagio dell’essere cristiano, illustrando il dilemma che spesso si pone al credente quando egli è posto di fronte alla scelta fra l’obbedienza all’autorità della Chiesa e ai dettami della dottrina raffrontati alla libertà d’azione, di pensiero e di giudizio che gli vengono suggeriti dalla propria coscienza. Il libro tratta quindi una serie di temi interessanti affrontando il problema di come l’istituzione ecclesiastica, accettando di essere coinvolta nell’agire politico, sia stata fortemente influenzata e contaminata dalle logiche del potere e dall’affermazione e conservazione del principio di autorità.
Riprendendo un famoso passo tratto dai “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij, che immagina un dialogo intercorso fra un anziano Grande inquisitore e un Cristo redivivo riapparso nella Spagna medioevale e da questi immediatamente riconosciuto e arrestato, l’Autore affronta il problema del “Disagio” della libertà, ritenuta nella pratica e secondo una costante interpretazione storica della Chiesa, (forse non sempre a torto) invisa agli esseri umani, dal cui “Peso” essi se ne sgravano volentieri alla prima occasione accettando un ben più confortevole autoritarismo supportato da un rassicurante dogmatismo dottrinale e a scapito della libera ricerca spirituale. Da quest’arroccamento su posizioni tradizionaliste emergono un progressivo distacco e una crescente incoerenza nei confronti del mondo reale che non può che creare una costante contraddizione che si estrinseca nella tensione fra i dettami della dottrina da una parte e la percezione di sensatezza e verità dall’altra. Da qui la necessità e la proposta di un nuovo metodo di ricerca religiosa basato sostanzialmente sull’applicazione della “Regola aurea” (Non fare agli altri ciò che non desideri sia fatto a te stesso!) e sull’incessante ricerca del giusto, dell’equo e della verità intrinseca che emergono dal giudizio morale emesso dalla coscienza, vera essenza del pneūma ed espressione della componente morale e spirituale dell’essere umano. Tale approccio, secondo l’Autore, assieme al processo d’interiorizzazione a livello individuale di quei valori che la morale cristiana considera come non negoziabili, permetterebbe al cristianesimo di lasciare maggiori spazi di libertà sociale e di eliminare parte delle contraddizioni che lo contrappongono ad altre fedi o ai valori laici. Quest’approccio eliminerebbe parte dell’interferenza della Chiesa rispetto al dibattito politico, il che consentirebbe rapidi progressi nel campo di quelle riforme sociali che continuano a mancare a causa dell’opposizione del mondo cattolico.
In sintesi, il libro è scorrevole e interessante, anche se forse dai contenuti un po’ prevedibili. Per il sottoscritto ha poi il difetto di giungere in ritardo di parecchi decenni. Personalmente. Infatti, non mi sono mai realmente dibattuto nel dilemma proposto dall’Autore e, forse per questo motivo, non ho potuto riservare a quest’opera più che una tiepida seppure favorevole accoglienza.

martedì 15 maggio 2012

Recensione: La Battaglia di Maratona

“La Battaglia di Maratona”, titolo originale: “The Battle of Marathon”, di Peter Krentz, traduzione di Stefano Manfredi, edizioni Il Mulino, ISBN 978-88-15-23379-0.
Lo scontro si svolse nella tarda estate del 490 a.c. e vide contrapporsi i greci ateniesi, supportati da un contingente di platesi, all’esercito persiano. Gli avvenimenti e gli antefatti che si riferiscono alla battaglia di Maratona ci sono pervenuti soprattutto grazie all’opera dello storico Erodoto. La battaglia fu il culmine di una fase di attrito fra le genti elleniche e l’impero che traeva origine dalla rivolta iniziata nel 499 a.c. nella città di Mileto in Asia Minore. Sedata la rivolta, l’impero persiano cominciò una politica di pressione ed espansione verso la sponda europea dell’Egeo che aveva come obiettivo la sottomissione della Grecia. Nell’ambito di questa strategia rientrava la punizione e la sottomissione delle città di Eretria e di Atene che avevano entrambe contribuito alla rivolta ionica e alla presa e al saccheggio della città di Sardi. Riguardo ad Atene, i persiani intendevano far leva anche sui dissidi interni alla città e portarono avanti il progetto, forse appoggiato anche dalla potente famiglia ateniese degli Alcmeonidi, di abbattere la democrazia e di re-instaurare il tiranno Ippia, espulso dalla città nel 510 a.c. con l’aiuto degli spartani.
Le forze persiane si radunarono in Cilicia per poi salpare verso le Cicladi, che furono sottomesse senza particolare difficoltà; esse giunsero sulla piana di Maratona, distante da Atene circa 40 km, verso i primi di settembre. Il luogo fu scelto dal comandante persiano Dati perché ricco d’acqua e favorevole all’uso e all’acquartieramento della cavalleria, l’elemento più temibile dell’esercito persiano. Nonostante la scelta tattica, i greci, dopo alcuni giorni di reciproco studio, presero l’iniziativa sotto il comando dello stratego Milziade e inflissero ai persiani una pesante sconfitta, assestando la prima battuta d’arresto a un apparato bellico che, fino a quel momento, era apparso sostanzialmente invincibile.
Il libro è bello e scorrevole e prende in considerazione tutti gli aspetti principali che portarono alla battaglia, è possibile però che chi sia interessato al solo svolgimento del fatto d’armi rimanga deluso perché la descrizione del combattimento in se non è preponderante in quest’opera che, invece, riproduce efficacemente tutto il quadro di riferimento e i fatti essenziali, ma non pretende di ricostruire con esattezza un evento così distante nel tempo e del quale si sono ormai persi i dettagli. L’Autore, partendo dalle contese politiche che, dalla cacciata di Ippia da Atene, portarono la città prima a ricercare l’alleanza dei persiani per poi porsi in contrapposizione a essi, si sofferma sulla descrizione del funzionamento dell’esercito persiano e della situazione sociale e politica della regione. È inoltre riposta molta attenzione nel tentativo di ricostruzione della topografia del terreno sul quale avvenne lo scontro e degli avvenimenti che ne caratterizzarono lo svolgimento. Da questa cura ne scaturisce una ricostruzione convincente che, effettivamente, sembra superare le non poche contraddizioni che sono pervenute fino a noi.

lunedì 7 maggio 2012

Recensione: Il Sol dell'Avvenire

“Il Sol Dell’Avvenire” di Giovanni Fasanella e Gianfranco Pannonei, editrice Chiarelettere, iSBN 978-88-6199-076-9.
Premetto che mi sono avvicinato a quest’opera un po’ per ventura. In questo caso, infatti, non si tratta esattamente di un libro, ma di una confezione contenente un dvd del film documentario “Il Sol dell’Avvenire” riguardante la nascita delle brigate rosse e corredato da un interessante libretto: “Il Sol dell’avvenire, diario tragicomico di un film politicamente scorretto”, che alla fine, ho trovato forse più istruttivo del film. Il tutto giaceva ancora incellofanato, non so da quando,nella mia libreria, probabile risultato di un passato acquisto compulsivo. L’ho ripreso in mano in seguito di una recente lettura sul difficile periodo della nostra storia che attraversa gli anni sessanta e settanta (Ordine nero, guerriglia rossa - La violenza politica nell’Italia sessanta e settanta (1966-1975)”, iSBN 978-88-06-19449-9) ed ero totalmente ignaro delle polemiche che erano seguite alla produzione, la proiezione e la distribuzione del film.
Il documentario riprende un incontro, promosso dal regista avvenuto nel 2007 fra cinque ex ragazzi del sessantotto, ormai ampiamente sessantenni. L’incontro avviene in un ristorante a Costaferrata (RE), diventato celebre per aver ospitato nel 1970 un convegno di giovani aderenti ai partiti e movimenti di sinistra che finirà per sancire, per alcuni di essi, la scelta di entrata in clandestinità e l’avvio della lotta armata contro la Repubblica e l’ordinamento democratico. Fra i protagonisti della rimpatriata troveremo quindi: Alberto Franceschini, fondatore con Renato Curcio delle BR (Brigate Rosse), reduce da diciotto anni di carcere e dissociatosi dal terrorismo nel 1983; Tonino Loris Paroli, anch’egli incarcerato per sedici anni e mai dissociatosi dal proprio passato rivoluzionario; Roberto Ognibene, condannato a vent’otto anni di carcere e dissociatosi dalla lotta armata nel 1986; Paolo Rozzi, Presidente del IV Municipio di Reggio, originariamente presente alla riunione storica di Costaferrata, ma che rifiutò la scelta della lotta armata continuando a impegnarsi in politica nell’alveo del PCI; e infine, Annibale Viappiani, sindacalista che rifiutò anch’egli l’adesione al terrorismo, seppure, a suo dire, fosse stato tentato e ad un passo da intraprendere tale scelta. Il collegamento fra tutti questi personaggi passa attraverso la comune esperienza dell’”Appartamento”, un locale affittato da ragazzi di sinistra nel centro di Reggio Emilia sul finire degli anni sessanta dove essi svolsero tutti attività politica. Il documentario quindi, parte da una rimpatriata svoltasi ai giorni nostri per cercare di spiegare il contesto sociale e le motivazioni che portarono alcuni a optare per la lotta armata, ma non si pone l’obiettivo né di ricostruire la genesi e la storia della BR, né di dare un vero giudizio sul periodo storico degli “Anni di piombo” e rimane, a mio avviso, volutamente, più nell’ambito dell’analisi delle scelte e della descrizione delle esperienze dei protagonisti, soffermandosi più sulla descrizione dei personaggi rispetto a quanto tratti effettivamente dei fatti di cronaca a essi riconducibili. Premetto che, pare, che il film abbia ottenuto un grande successo di critiche e di pubblico dalla sua presentazione al festival cinematografico di Locarno svoltosi nel 2008 e pertanto mi sono assai sorpreso quando ho scoperto che, fin dal progetto di realizzazione, ma soprattutto nelle fasi successive alla realizzazione si sia scatenata una tempesta mediatica che ha visto contrapporsi i sostenitori e i detrattori dell’opera. Questo è esattamente l’aspetto che ha finito per interessarmi di più. Tale storia nella storia è raccontata dagli autori della pellicola nel libretto allegato al dvd: “Il Sol dell’avvenire, diario tragicomico di un film politicamente scorretto”. Esso svela, seppure secondo il punto di vista dei produttori (ma allegando anche una consistente rassegna stampa di quanto emerso sui principali quotidiani), l’imbarazzo degli ambienti politici, in particolare di quelli di sinistra, nell’affrontare un periodo storico che ancora presenta molte aree grigie e responsabilità da chiarire; soprattutto però, illumina in maniera impietosa i meccanismi che smuovono o negano i finanziamenti pubblici da parte del Mibac, il ministero per i Beni e le Attività culturali. Come profano, sono rimasto incuriosito anche solo riguardo all’esistenza e alla funzione di tale organismo, come spettatore mi sono in parte divertito di fronte alle meschinerie di alcuni dei soggetti citati e come contribuente rimango perplesso riguardo all’uso che viene fatto delle imposte che sono tenuto a versare. Ringrazio pertanto gli Autori e l’editrice Chiarelettere per avermi permesso di assistere a un tal emblematico siparietto!

giovedì 3 maggio 2012

Recensione: Ordine nero, guerriglia rossa - La violenza politica nell’Italia sessanta e settanta (1966-1975)

“Ordine nero, guerriglia rossa - La violenza politica nell’Italia sessanta e settanta (1966-1975)”, Guido Panvini, editrice Einaudi, iSBN 978-88-06-19449-9.
Il saggio cerca di spiegare la genesi e l’evoluzione della violenza politica in Italia nel cruciale decennio che va dalla seconda parte degli anni sessanta alla prima metà dei settanta del novecento. Durante quel particolare periodo il nostro paese fu, da una parte, inserito in una situazione più generale a livello internazionale di fermenti politici, scontri ideologici e movimenti rivoluzionari, dall’altra, anche riferendosi al solo contesto europeo, l’Italia, rispetto ad altri paesi, fu caratterizzata da un tipo di violenza politica molto più estesa e radicale e che traeva origine da una serie di specificità nazionali. Il periodo trattato fu denso di cambiamenti sociali ed economici, basti ricordare: le lotte sindacali per la tutela dei lavoratori (in quegli anni fu promulgato lo “Statuto dei lavoratori”), i primi problemi di crisi e di riconversione industriale seguiti a un lungo periodo di sviluppo, i temi riguardanti l’immigrazione e ai conseguenti mutamenti sociali legati al cambiamento da una società agricola a una maggiormente incentrata su industria e terziario, la crescita disordinata delle metropoli in assenza di organici piani di sviluppo urbanistico, le tensioni nelle scuole e nelle università, eccetera. A tutto questo, andrebbe aggiunto un altro aspetto caratterizzante che può farsi risalire al travagliato periodo della guerra civile e alla difficile transizione del dopo guerra; infatti, per molti che aderirono all’RSI oppure che condussero la guerra partigiana, la neonata Repubblica italiana fu vista più che come vero momento di cambiamento e di riconciliazione nazionale, come creatura politica sotto tutela degli alleati e frutto di accordi internazionali. Forte rimase nelle nuove generazioni di estrema sinistra il richiamo alla rivoluzione mancata e all’epica dell’esperienza partigiana vista come antesignana della guerra di popolo di matrice rivoluzionaria; mentre, nell’estrema destra continuavano a rimanere un numero consistente di nostalgici e, fra i giovani, come anche all’interno di alcuni settori delle istituzioni era molto radicato il sentimento di timore e di forte avversione verso il comunismo, ma anche verso la società liberale e democratica, il modello capitalista, come anche verso quelle forme di riformismo sociale ed economico che, non di rado, erano viste come elementi perturbatori dell’ordine tradizionale. Nello stesso tempo, l’estremismo di destra poteva anche trarre ispirazione da una serie di esperienze estere che, come nel caso del colpo di stato dei “colonnelli” in Grecia, mostravano una certa propensione dell’esercito a interferire per sovvertire i regimi democratici. La polarizzazione della violenza venne anche favorita dal montante clima di confronto internazionale e dalla messa in atto di quella strategia di contenimento che caratterizzerà l’operato dell’amministrazione americana nei confronti del blocco sovietico e dei vari movimenti d’insorgenza. Infine, per quanto riguarda il caso italiano, non va neanche dimenticato che una parte non trascurabile della pubblica amministrazione e soprattutto delle forze armate e di quelle dell’ordine era di orientamento molto conservatore, quando persino non era stato formato durante il passato regime fascista; quest’aspetto influenzerà non poco il clima politico dell’epoca favorendo l’insorgere di un certo pregiudizio nei confronti della sinistra istituzionale e delle parti sociali più propense al varo di riforme. L’insieme di queste caratteristiche, da una parte finirà per dare maggiore credibilità alla sinistra extraparlamentare e radicale a scapito di altre componenti più moderate, favorendone la visibilità e l’opera di proselitismo e, dall’altra, vedrà il crearsi di tutta una serie di situazioni, ancora oggi ampiamente da chiarire, che favorirono gli estremisti di destra, i quali, non di rado furono aiutati, manipolati e fiancheggiati da soggetti appartenenti alle istituzioni.
Il libro cerca di riassumere tutte questi e altri molteplici aspetti, lo fa con un grande equilibrio e attraverso una seria attività di ricerca e il ricorso a una copiosa documentazione e fonti d’archivio, mantenendo uno stile di scrittura neutrale e privo di enfasi. Proprio quest’approccio, che, si potrebbe definire come “Accademico”, costituisce sia il principale pregio, sia, specularmente, il peggiore difetto di questo saggio che, a mio avviso, è assai utile, ma che, dalla’altra parte, potrebbe lasciare alcuni perplessi perché, nonostante riguardi un periodo storico tormentato e rilevante della nostra storia recente, finisce anche per non coinvolgere molto il lettore.