venerdì 17 agosto 2018

Strade, autostrade ... e non solo "strade". Concessioni, monopoli, utili e investimenti


Al di là delle cause e dalle polemiche, il crollo del viadotto Morandi di Genova dovrebbe fare riflettere sul fatto che moltissime delle nostre infrastrutture risalgono agli anni sessanta - settanta del novecento e, pertanto, cominciano ad essere insicure, obsolete o quanto meno inadeguate. 

Mi chiedo (retoricamente) se la nostra classe politica stia prendendo atto del problema e se ha all'ordine del giorno qualche studio e/o soluzione per affrontare strutturalmente tale situazione ..., già mi viene da ridere!

Quello che è certo, infatti, è che serviranno ingenti risorse per adeguare le infrastrutture esistenti alle esigenze attuali e future e, magari, per farne di nuove.

Altrettanto "certo" che si sarebbe dovuto tenere conto di tali esigenze di "sostituzione" nei meccanismi di accordo di concessione ai privati che sono stati instaurati in passato (esattamente come è "certo" che ciò non è stato fatto se non molto parzialmente!), tutto ciò però, è già acqua passata, a meno delle responsabilità civili e penali che, quelle sì, speriamo vengano doverosamente accertate (evitando però, possibilmente, la ricerca del colpevole ad ogni costo!). 

Per il futuro, sarebbe però quanto meno auspicabile fare tesoro dell’esperienza passata e prendere spunto da essa per stipulare migliori accordi per le concessioni che prevedano possibilmente piani di mantenimento, migliorie e sviluppo di tali rendite di posizione, tenendo anche presente, tra l'altro, che le concessioni sono dei monopoli concessi ai privati e che tale pratica non deve essere data necessariamente per scontata.

Sembrerebbe infatti che il business delle concessioni abbia forse eccessivamente favorito i titolari delle stesse; nel caso specifico, per dare un'idea di ciò che intendo, cito un articolo del Post (fonte che spero sia "accurata") che in un suo pezzo intitolato: "Cosa c'entrano le concessioni autostradali con il ponte Morandi?"(https://www.ilpost.it/2018/08/15/autostrade-benetton-ponte-morandi-genova/), ricapitola un po’ l’intera vicenda delle concessioni autostradali e riporta:

"... Dopo una serie di fusioni e consolidamenti, nel 2002 la società divenne Autostrade per l’Italia, un colosso che oggi fattura 4 miliardi di euro all'anno e produce 900 milioni di euro di utile per il suo azionista, la società Atlantia, ...”.

Ora … posto che il dato riportato sia accurato, riconosco come esso, di per sé non sia effettivamente insufficiente per formulare giudizi perché poco dice riguardo ai meriti di Atlantia in termini di capacità organizzativa e di efficienza; detto ciò, calcolatrice alla mano, 900 milioni/4 miliardi fa a casa mia 22,5% che, così a prima vista e con le dovute cautele, mi sembra un margine un tantino eccessivo da lasciare a chi, in sostanza, si è accaparrato un monopolio costruito con i soldi pubblici!
In sintesi, bravi loro e fortunati i loro azionisti … rimane però il dubbio che, da parte pubblica, si potessero spuntare condizioni migliori, o magari, rivedere nel tempo gli accordi o ancora, perché questo è il punto, costringere i titolari di concessioni a maggiori investimenti.

Attenzione poi che oggi si parla delle concessioni per le strade, ma di rendite monopoliste lo Stato ne concede parecchie, ad esempio, acqua, treni, frequenze radio, telefoniche, televisive, ecc.

ci sono quindi molte "strade"  che portano a Roma!

Magari pensiamoci per “un domani”?

Recensione: Marx e la follia del capitale


“Marx e la follia del capitale”, titolo originale: “Marx, Capital and the madness of economic reason”, di David Harvey, traduzione di Virgino B. Sala, edizioni Feltrinelli, ISBN: 978-88-07-10534-0.

David Harvey, economista dichiaratamente marxista, continua la sua profonda rivisitazione e il recupero del pensiero e degli scritti di Karl Marx cercando di mettere in evidenza e trasporre in chiave moderna tutte quelle contraddizioni del sistema capitalistico che, a suo dire, erano già presenti allora nel pensiero del pensatore ottocentesco.

Sicuramente il titolo in lingua originale, rispetto a quello tradotto in italiano, rende maggior giustizia alle ragioni dell’Autore; Harvey è effettivamente molto convincente nel rilevare alcuni aspetti del nostro sistema economico che, a ben vedere, appaiono assurdi nonché, alla lunga, forse insostenibili.  C’è una contraddizione intrinseca legata all’accumulazione della ricchezza, alle sue ragioni e finalità e alle sue conseguenze a lungo termine; altre sono legate ad altre caratteristiche del capitale, alla sua continua necessità di espansione e di superamento delle barriere fisiche e temporali oppure ancora, esiste un contrasto evidente fra le figure del lavoratore da un lato e del consumatore dall’altro o fra il capitale inteso come valore o come fattore produttivo … I nodi non mancano e, queste frizioni emergono continuamente sotto forma di crisi, inefficienze e discontinuità del sistema (non è forse una coincidenza che l’Autore, forse con un po’ fortuna, citi la Turchia!). Semmai la vera questione ruota intorno alla domanda di chi si chiede se il sistema capitalistico sarà sempre in grado (come è avvenuto fino ad ora) di superare tali contraddizioni e rinnovarsi, rispetto a chi scommette, spera o paventa che ci si stia avvicinando sempre più ad una fase critica che finirà per far implodere l’intero meccanismo.

Al di là di ciò che si pensa di capitalismo e marxismo, ne viene fuori l’ennesimo saggio interessante ancorché non sempre agevole e “digeribile”, che sicuramente contiene elementi e spunti convincenti e da tenere presenti.

Strano destino quello di Marx! Comincio a pensare che, una volta seppellito e dimenticato il comunismo, possa essere adottato un po’ a 360° da tutti coloro che criticano il sistema. Potrebbe quindi diventare sia un’icona “liberal” della “middle class” come trovare nuovi ammiratori fra i “sovranisti” e, persino fra i neo conservatori nazionalisti! 
   
Molto völkisch, in sintesi (e paradossalmente 😊, 😊)!

lunedì 13 agosto 2018

A sostegno dei vaccini ... ma che noia!


... e, soprattutto, perché si deve perdere tempo a discutere di tutto ciò nel terzo millennio?

Tutta questo parlare di vaccino, di obblighi, di libera scelta, ecc. mi appare non solo ridicolo, ma francamente noioso. 

... per non parlare dei NoVax, che c'è da chiedersi se sono "veri" o parto di una qualche fabbrica di Troll post sovietica!
Ma chi sono?  L'ennesima nuova tribù di selvaggi che, come altri "signor distinguo" ci tocca di dover ascoltare e sopportare per mal indirizzato "spirito democratico" invece di lasciarli alle "cure" del Grande Inquisitore?

Ora, non entro nel merito sui sedicenti rischi delle vaccinazioni, infatti non sono un medico e, pertanto, ritengo di non essere abbastanza competente in materia (posso al più vantare la discendenza diretta da un pediatra, vaccinista convinto!). A me sembra però che la comunità scientifica sia abbastanza compatta nel giudizio su rischi e benefici e, a meno di qualche personaggio discutibile e secondario, sia favorevole alle campagne di vaccinazione. È anche abbastanza noto che il problema della profilassi non sia solo un problema di scelte personali, ma anche di “copertura” e, pertanto, anche ove esista qualche possibile correlazione con fattori di rischio individuali, questi sia “compensati” da un minore “morbilità” e mortalità a livello della società vista nel suo insieme. Detto in sintesi, vaccinarsi forse ci fa correre qualche rischio (ma li corriamo, ad esempio, anche quando ingeriamo antibiotici!), ma tende a proteggere, oltre a noi stessi, anche chi ci sta intorno.

Per altro, è ovvio che anche l’approccio favorevole ai vaccini non debba essere dogmatico; è giusto che la comunità medico-scientifica dibatta il tema, migliori le formule, continui la ricerca e discuta, anche pubblicamente di eventuali effetti collaterali delle cure; lasciamo però che siano loro e non un esercito di ciarlatani o, peggio ancora “il popolo bue” (al quale in sintesi apparteniamo tutti noi “non medici”) a decidere di una questione che non ha proprio senso affrontare in assenza di conoscenze specifiche. In questi casi, infatti, se si è profani bisogna semplicemente “fidarsi”! Esattamente come ci fidiamo che un ingegnere abbia fatto correttamente il calcolo del cemento di casa nostra, o che il nostro panettiere non panifichi giornalmente con farina contaminata la nostra baguette!

Finiamola con il buonismo da quattro soldi e con la tolleranza verso tutte le opinioni anche le più idiote e ripartiamo innanzi tutto dal rispetto delle regole e dal ruolo dell’autorità, che non è quello di dar voce e scelta per forza a tutti su ogni tema possibile, ma è quello di tutelare il più possibile la collettività nel suo insieme, persino, in casi estremi, contro il volere di singoli suoi componenti. Dunque, se vaccinarsi è un obbligo “sociale” per accedere a certi luoghi pubblici, oltreché sanitario, bisogna fare in modo che i soggetti siano messi in regola con le buone o con le cattive e, esattamente come se si evade l’obbligo scolastico, si finisce per ricevere la visita dei carabinieri, nello stesso modo deve essere trattato chi è vaccino-renitente!

Chiaro, poi, ad esempio, che se si permette a chi è contrario ai vaccini di “autocertificarsi” e fa di tutto ciò un moto quasi religioso, non ci si potrà poi aspettarsi veramente che questi non sia, come minimo, tentato a produrre un falso! E’ evidente quindi che non basta un pezzo di carta ad attestare la vaccinazione, ma essa va fatta e registrata sotto stretto controllo pubblico come in effetti avveniva ai bei “vecchi tempi” (sono nato nel 1965) dove il benemerito “ufficio d’igiene”, a spese del sistema sanitario, vaccinava tutto e tutti registrando l’operazione a futura memoria e per futuri richiami, in più di un caso, effettuando direttamente la campagna nei corridoi delle scuole; “tutti in fila, braccio sinistro scoperto … e una buona dose non si nega a nessuno!”.