lunedì 23 marzo 2015

Recensione: Il Grande Califfato


“Il Grande Califfato”, di Domenico Quirico, edizioni Neri Pozza, ISBN: 978-88-545-0891-0.
Domenico Quirico, giornalista de La Stampa è un grande conoscitore delle società islamiche. Prigioniero di un gruppo jihadista in Siria per un periodo di cinque mesi nel corso del 2013, ha anche sperimentato sulla propria persona gli effetti perversi dell’estremismo islamico. Ne “Il Grande Califfato” descrive un fenomeno sia geografico sia storico, le cui radice risalgono lontane nel tempo. L’idea del Califfato, nel mondo islamico è vecchia di secoli e si riaggancia, dal punto di vista dei musulmani, soprattutto di quelli più militanti, all’età dell’oro di quella istituzione politica e religiosa che è l’Islam, quella dello slancio iniziale, prolungato e dilagante che li portò a estendere la loro fede per buona parte di tre continenti. Più recentemente però, anche i semi di questo ritorno sono germogliati lontano nel tempo, Quirico li fa risalire fin alle guerre di Cecenia. Lentamente,  il testimone passa da gruppo estremista a gruppo estremista, mentre il fondamentalismo muta e passa dal caratterizzare aspetti locali e circoscritti ad assumere un aspetto globalizzato per poi, infine, incarnarsi in un progetto politico e territoriale preciso, il Califfato dell’ISIS che, si insedia in Siria e Iraq ma raccoglie adesioni in tutto il mondo islamico, dal Medioriente al Maghreb, giù fino all’Africa Nera dei Boko Haram e al Corno d’Africa degli Shebab, nelle steppe dell’Asia e nelle periferie delle città europee. Quirico quindi ci porta in giro per buona parte di quelle terre che furono e, in parte sono ancora, il “Dar al Islam”, i territori dove storicamente si estese il dominio musulmano e, attraverso un continuo andirivieni fra passato e presente, ci dimostra come le radici del fondamentalismo debbano essere ricercate lontane nel tempo  L’Autore ci spiega, in parte le ragioni di tale fenomeno che, ovviamente, nasce innanzi tutto dalla crisi, dal sottosviluppo e da conflitti etnici e generazionali che oppongono popolazioni immiserite e deluse e giovani disoccupati e ormai privi di speranze a élite politiche corrotte o, comunque, incapaci di affrontare efficacemente il loro problemi. L’Autore ci mostra anche i limiti della nostro modello culturale e politico, incapace anch’esso di assimilare veramente le seconde e persino terze generazioni di immigrati e, neanche troppo tra le righe, critica la nostra debolezza spirituale, l’incapacità del mondo occidentale di proporre, al di là di un modello consumista e di un ideale democratico sempre meno credibile pure ai nostri occhi, un’alternativa morale convincente che vada a contrapporsi al manicheismo di matrice islamica.

A mio avviso, però, la visione dell’Autore ha anche qualche difetto, Quirico individua chiaramente le cause del male ma non è altrettanto esplicito nell’illustrare una soluzione. Il saggio si chiude con una descrizione della battaglia di Poitier (732 d.C.), per alcuni scontro marginale, per altri evento storico che determinò l’arresto della prima marea islamica. Così inizia il capitolo, citando L’Anonimo di Cordoba: “Al momento dell’attacco … i popoli del nord restarono immobili, come un muro di ghiaccio, stretti gli uni contro gli altri come immobilizzati dal freddo, e uccisero gli Arabi a colpi di spada …”.
 Qual è il messaggio?   

venerdì 6 marzo 2015

Recensione: Battle Royale


“Battle Royale”, di Koushun Takami, edizioni Mondadori, ISBN: 978-88-04-58687-6.
Ogni anno, nella Repubblica della Grande Asia dell’Est, alcune classi della terza media vengono scelte per partecipare al “Programma”. Esso prevede di collocare gli alunni di una stessa classe in un luogo isolato appositamente predisposto che dovrà fungere da scenario e da arena per la “Battle Royale”.
La “Battle Royale” è un termine preso a prestito dalle gare di Wrestling e indica un combattimento dove un solo contendente fra molti può uscire vincitore.
Lo scopo del “Programma” o, per alcuni, del “Gioco” è dunque semplice, gli alunni dovranno competere in un confronto mortale dove saranno costretti a uccidersi fra loro fino a che non emerga un unico sopravvissuto.
La storia, scritta nel 1996 e pubblicata nel 1999 (fonte Wikipedia) è ambientata nell’anno 1997 in un Giappone distopico, retto da un regime dittatoriale, paranoico e richiuso su se stesso (seppur relativamente fiorente) e vede come protagonisti gli sfortunati quarantadue ragazzi della classe terza B, scuola media di Shiroiwa, provincia di Kagawa.
Non sarà difficile, per il lettore tracciare alcuni paragoni fra il clima che si respira nella Repubblica della Grande Asia dell’Est e quanto si riferisce a situazioni ben più reali, come quella della Corea del Nord o, persino, individuare alcuni paralleli con qualche noto disastro politico-sociale (e economico, ovviamente) di matrice asiatica, quale: l’esperienza cinese delle “Guardie Rosse” e del “Grande Balzo in Avanti”, oppure, il regime dei Khmer Rossi in Cambogia.
Ma non è per queste "dotte" ragioni che questo romanzo, a distanza di più di quindici anni dalla sua pubblicazione in Giappone (dove ebbe un notevole successo), sta acquisendo una certa notorietà anche da noi attraverso il semplice “tam tam” dei lettori. I suoi veri punti di forza sono nella trama, nell’ambientazione e, persino, nella caratterizzazione di alcuni personaggi, che richiamano molto da vicino il noto ciclo degli “Hunger Games”, lasciando nei più, lo sgradevole sospetto che la trilogia scritta dalla scrittrice Suzanne Collins, della quale, il primo romanzo fu pubblicato nel 2008 (fonte Wikipedia), sia in realtà un plagio, tra l’altro neanche particolarmente ben riuscito, alla luce di “Battle Royale”, dell’opera di Koushun Takami.
A scuola (ai miei tempi) ci ripetevano che copiare è male! In effetti, anche secondo il mio parere, “Hunger Games” si è dimostrato una scopiazzatura non all’altezza dell’originale (anche se a me il ciclo è comunque piaciuto!). Come lettore, però, non mi sento di biasimare troppo la scrittrice americana, infatti, senza di lei e senza il conseguente coro di indignazione che si è levato sempre più forte dalla tribù dei lettori, non mi sarei mai incuriosito nei confronti di “Battle Royale”; e questo sarebbe stato un peccato!
Prima, però, di definire questo romanzo come “Molto Bello” bisognerebbe intendersi chiaramente sui termini. “Battle Royale” è duro, crudo e cinico. Molte situazioni sono abbastanza realistiche e, di conseguenza, molto violente e oggettivamente disgustose. In più, lo stile di scrittura sembra riprendere un certo tono volutamente piatto e, pertanto, visto il contesto, inquietante; proprio quello che ci si aspetterebbe di trovare leggendo il resoconto di un bollettino burocratico. Infine, l’Autore pone una certa sadica meticolosità nel dimostrarsi preciso nella descrizione di alcuni particolari, ad esempio le caratteristiche delle armi in genere e, di quelle da fuoco in particolare.
Si tratta quindi di una lettura adatta a chi sa già cosa va a trovare. Il clima dominante sono il panico, la paura di essere uccisi e l’istinto di sopravvivenza mentre, tutti i valori sociali e morali nei quali credono almeno alcuni degli sfortunati protagonisti, verranno seriamente messi in crisi di fronte al materializzarsi dell’hobbesiano “Homo homini lupus” (a questo proposito sarà illuminante la spiegazione finale riguardo agli obiettivi del “Programma”).
Anche il finale risulterà piuttosto imprevedibile (o persino troppo scontato J?!), in ogni caso, anche riguardo a questo punto non mancheranno certo le sorprese.