"L’educazione di un fascista”,
di Paolo Berizzi, editore Feltrinelli, ISBN 978-88-07-17372-1.
Si tratta di un’indagine
inquietante riguardante la tendenza crescente verso una progressiva “fascistizzazione”
che sembra caratterizzare fasce sempre più ampie della popolazione a partire
soprattutto dai giovanissimi.
Ho poco da aggiungere al mio
giudizio su quest’opera, a parte il fatto di dire che il quadro disegnato dall'Autore
mi appare, almeno a grandi linee, credibile.
C’è però un particolare legato al
mio vissuto personale che mi impedisce di valutare correttamente parte del quadro presentato. In particolare, proprio in virtù della mia esperienza diretta
faccio fatica a giudicare l’obiettività di quanto riportato nella prima parte
del saggio: “L’arte della lotta”; anche perché sono rimasto sinceramente
stupito di scoprire di conoscere (sarebbe meglio dire: di scoprire di aver
conosciuto in passato!) almeno uno dei personaggi citati nel saggio.
Pratico un’arte marziale da più
di trent'anni!
E, nella mia esperienza, che ha brevemente toccato anche l’agonismo
(ma che si è interrotta circa 25 anni fa!), mi sono anche cimentato nei
circuiti di gara del kung fu e della kick boxing che, all'epoca, includevano spesso
i praticanti della muay tay.
Sono sempre stato orgoglioso di praticare
la mia disciplina (che appartiene certamente e orgogliosamente al filone “delle
arti marziali miste”) e a dividere la mia esperienza con praticanti di altre
forme di quest’”arte” e, pertanto, trovo estremamente difficile ricollocare la
mia esperienza nel quadro un po’ fosco tracciato dall'Autore.
Personalmente, non
ho mai minimamente pensato ad abbinare pratica sportiva e politica, ne ho mai
visto tali atteggiamenti messi in atto dai maestri che ho frequentato, ne ho
mai notato che qualche praticante ostentasse le sue idee nonostante il fatto che,
spesso, fossero ben note ad ognuno le rispettive ideologie e/o inclinazioni
politiche. In palestra, al di là di qualche “sfottò” in periodi particolarmente
“caldi” (ad esempio, prima o dopo le tornate elettorali) proprio di politica
non si parlava e non si parla mai e questo senza nemmeno che esistano norme che
prevengano tali tipi di discussione. Semplicemente, per come la vedo io, perché
sul tatami tutto ciò non interessa a nessuno, in quanto, al di là delle differenze,
su quel parterre siamo solo “noi”, gruppo di sportivi accomunati dalla medesima
passione. Forse sono solo stato fortunato!
Detto ciò, che riassume la mia
esperienza e che va detto a difesa del buon nome dei praticanti di tutte queste
forme di sport, ritengo che il quadro tracciato dall'Autore possa essere considerato
veritiero se applicato a certi contesti e luoghi specifici; forse più oggi rispetto
a ieri; ed è anche innegabile come, purtroppo, questi sport attirino spesso
anche una buona dose di esaltati e spostati. Ho sempre pensato che questo fosse,
in fondo, inevitabile.
Dunque, “casco” dal proverbiale “pero”
e prendo atto! Tutto ciò, senza contestare le argomentazioni dell’Autore, che
mi sembrano basate su di un'esperienza e ricerche rigorose.
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