mercoledì 5 giugno 2013

Recensione: Bancarotta – L’economia globale in caduta libera


"Bancarotta – L’economia globale in caduta libera”, titolo originale: “Freefall. America, Free Markets and the Sinking of the World Economy”, di Joseph E. Stiglitz, traduzione di Daria Cavallini, edizioni Einaudi, ISBN: 978-88-06-20526-3. 

Il libro del noto economista Joseph Stiglitz si riferisce alla crisi finanziaria del 2008 ed è stato scritto ormai più di tre anni fa. Esso, comunque, rimane attuale sia riguardo all’analisi che spiega le ragioni del crollo, sia rispetto alle soluzioni che sono suggerite per uscire stabilmente dalla situazione di disequilibrio economico che la crisi ha chiaramente delineato. 

Riguardo alle cause del crollo del 2008, il libro fornisce spiegazioni dettagliate che confermano un quadro, rispetto al quale, sono ormai stati scritti fiumi d’inchiostro e, riguardo al quale, non sono mancati i dibattiti. In sostanza si è capito chiaramente che la crisi è stata causata, soprattutto, dall’eccessivo ricorso all’ingegneria finanziaria e agli strumenti finanziari “complessi” (ABS, CDO, CDS, ecc.), spesso dal funzionamento piuttosto ermetico se non volutamente truffaldino; finalizzati alla ripartizione del rischio sul mercato del credito e, in particolare, principali indiziati nel favorire la crescita e il successivo scoppio della bolla immobiliare. Il perché siano stati inventati questi prodotti, i meccanismi perversi che essi hanno avuto sugli incentivi a commercializzarli e il loro conseguente impatto sui bilanci delle aziende bancarie e assicurative da una parte e, dall’altra, sulla vita di tanti cittadini che si sono trovati spesso sia senza casa, sia senza lavoro, sono spiegati efficacemente all’interno dell’opera. Queste però, se vogliamo, sono grossomodo le cause dirette della crisi, ma è risaputo che il vero aspetto interessante e cruciale di questa tragica vicenda verte soprattutto sulla ricerca delle cause profonde per le quali il mercato ha fallito. Riguardo a questo tema, continuano a contrapporsi due filosofie di pensiero che, grossomodo, vedono le cose in maniera speculare. I liberisti della scuola economica classica, sostengono che il mercato abbia fallito per l’eccesso di regole e di tutele e, soprattutto, affermano che, se nessuno (i diversi Governi) fosse intervenuto per alleviare gli effetti della crisi, questa si sarebbe rapidamente risolta. All’opposto, e l’Autore si dichiara di questa fazione, ci sono i neo Keynesiani, che sostengono l’incapacità dei mercati di regolarsi perfettamente da soli e fanno risalire le origini della crisi alla sperequazione fiscale e all’onda lunga della deregulation, progressivamente estesasi a partire dagli oramai lontani anni ottanta del novecento.  

Sposando il credo keynesiano, l’Autore ha, a mio avviso, gioco facile nel dimostrare come si sono creati i presupposti del crollo: la crisi è stata determinata dall’assenza dei controlli, che sono stati eliminati grazie all’opera delle lobby e in nome di un’ideologia sbagliata (la visione neoliberista) che, tra l’altro prevedeva (e lo fa ancora!) un ampio ricorso alla politica monetaria e l’abbattimento delle aliquote fiscali soprattutto per le classi agiate. E’ stato possibile ottenere tutto ciò facendo leva su una rappresentanza politica accondiscendente, poco indipendente largamente incompetente e, diciamolo, se non proprio corrotta e in malafede, almeno di parte o poco lungimirante, che si è schiacciata completamente sugli interessi delle grandi corporation, soprattutto di matrice bancaria e finanziaria. Questo il succo!

Un po’ più fumoso il quadro delle ricette per uscire dalla crisi, che tra l’altro Stiglitz mette a fuoco soprattutto riferendosi alla situazione degli USA, mentre è noto che per l’Europa, le soluzioni proposte dai neokeynesiani risulterebbero di difficile applicabilità dal punto di vista politico, visto che essa è  maggiormente vincolata riguardo alla possibilità di mettere in atto una politica di “deficit spending”. 

Alla fine, comunque, ne viene fuori un bel libro, istruttivo e non noioso che, a mio avviso ma, neanche tanto fra le righe, riafferma ciò che ormai è gridato da ogni parte da un crescente numero di economisti e non: il nostro sistema economico richiede un profondo ripensamento, che Keynes aveva ritenuto necessario fin dall’elaborazione del suo modello teorico per salvare il capitalismo da se stesso; servono più regole e controlli per correggere le inefficienze e le sperequazioni del liberismo “selvaggio” e queste, tanto più sono necessarie, tanto più l’economia si trova lontano dal suo punto di equilibrio naturale. E’ dunque ruolo fondamentale di stati e governi quello di badare a regolare il sistema. Questo ragionamento, secondo me, finisce per mettere il dito nella vera piaga che ci affligge, che si riassume nella crisi della politica e dei nostri modelli democratici che si riflettono nella perdita di credibilità, autorevolezza e indipendenza della classe politica occidentale.

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