"Bancarotta
– L’economia globale in caduta libera”, titolo originale: “Freefall. America,
Free Markets and the Sinking of the World Economy”, di Joseph E. Stiglitz,
traduzione di Daria Cavallini, edizioni Einaudi, ISBN: 978-88-06-20526-3.
Il libro
del noto economista Joseph Stiglitz si riferisce alla crisi finanziaria del
2008 ed è stato scritto ormai più di tre anni fa. Esso, comunque, rimane
attuale sia riguardo all’analisi che spiega le ragioni del crollo, sia rispetto
alle soluzioni che sono suggerite per uscire stabilmente dalla situazione di disequilibrio
economico che la crisi ha chiaramente delineato.
Riguardo
alle cause del crollo del 2008, il libro fornisce spiegazioni dettagliate che
confermano un quadro, rispetto al quale, sono ormai stati scritti fiumi d’inchiostro
e, riguardo al quale, non sono mancati i dibattiti. In sostanza si è capito
chiaramente che la crisi è stata causata, soprattutto, dall’eccessivo ricorso
all’ingegneria finanziaria e agli strumenti finanziari “complessi” (ABS, CDO,
CDS, ecc.), spesso dal funzionamento piuttosto ermetico se non volutamente truffaldino;
finalizzati alla ripartizione del rischio sul mercato del credito e, in
particolare, principali indiziati nel favorire la crescita e il successivo
scoppio della bolla immobiliare. Il perché siano stati inventati questi
prodotti, i meccanismi perversi che essi hanno avuto sugli incentivi a
commercializzarli e il loro conseguente impatto sui bilanci delle aziende
bancarie e assicurative da una parte e, dall’altra, sulla vita di tanti
cittadini che si sono trovati spesso sia senza casa, sia senza lavoro, sono
spiegati efficacemente all’interno dell’opera. Queste però, se vogliamo, sono
grossomodo le cause dirette della crisi, ma è risaputo che il vero aspetto
interessante e cruciale di questa tragica vicenda verte soprattutto sulla
ricerca delle cause profonde per le quali il mercato ha fallito. Riguardo a
questo tema, continuano a contrapporsi due filosofie di pensiero che,
grossomodo, vedono le cose in maniera speculare. I liberisti della scuola
economica classica, sostengono che il mercato abbia fallito per l’eccesso di
regole e di tutele e, soprattutto, affermano che, se nessuno (i diversi
Governi) fosse intervenuto per alleviare gli effetti della crisi, questa si
sarebbe rapidamente risolta. All’opposto, e l’Autore si dichiara di questa
fazione, ci sono i neo Keynesiani, che sostengono l’incapacità dei mercati di
regolarsi perfettamente da soli e fanno risalire le origini della crisi alla
sperequazione fiscale e all’onda lunga della deregulation, progressivamente
estesasi a partire dagli oramai lontani anni ottanta del novecento.
Sposando il
credo keynesiano, l’Autore ha, a mio avviso, gioco facile nel dimostrare come
si sono creati i presupposti del crollo: la crisi è stata determinata
dall’assenza dei controlli, che sono stati eliminati grazie all’opera delle
lobby e in nome di un’ideologia sbagliata (la visione neoliberista) che, tra l’altro
prevedeva (e lo fa ancora!) un ampio ricorso alla politica monetaria e l’abbattimento
delle aliquote fiscali soprattutto per le classi agiate. E’ stato possibile
ottenere tutto ciò facendo leva su una rappresentanza politica
accondiscendente, poco indipendente largamente incompetente e, diciamolo, se
non proprio corrotta e in malafede, almeno di parte o poco lungimirante, che si
è schiacciata completamente sugli interessi delle grandi corporation,
soprattutto di matrice bancaria e finanziaria. Questo il succo!
Un po’ più
fumoso il quadro delle ricette per uscire dalla crisi, che tra l’altro Stiglitz
mette a fuoco soprattutto riferendosi alla situazione degli USA, mentre è noto
che per l’Europa, le soluzioni proposte dai neokeynesiani risulterebbero di
difficile applicabilità dal punto di vista politico, visto che essa è maggiormente vincolata riguardo alla
possibilità di mettere in atto una politica di “deficit spending”.
Alla fine,
comunque, ne viene fuori un bel libro, istruttivo e non noioso che, a mio
avviso ma, neanche tanto fra le righe, riafferma ciò che ormai è gridato da
ogni parte da un crescente numero di economisti e non: il nostro sistema
economico richiede un profondo ripensamento, che Keynes aveva ritenuto
necessario fin dall’elaborazione del suo modello teorico per salvare il
capitalismo da se stesso; servono più regole e controlli per correggere le inefficienze
e le sperequazioni del liberismo “selvaggio” e queste, tanto più sono
necessarie, tanto più l’economia si trova lontano dal suo punto di equilibrio
naturale. E’ dunque ruolo fondamentale di stati e governi quello di badare a regolare
il sistema. Questo ragionamento, secondo me, finisce per mettere il dito nella
vera piaga che ci affligge, che si riassume nella crisi della politica e dei
nostri modelli democratici che si riflettono nella perdita di credibilità, autorevolezza
e indipendenza della classe politica occidentale.