giovedì 4 agosto 2011

Qualche riflessione sull’intervento italiano in Libia

Sono passati quasi cinque mesi dai primi attacchi della coalizione internazionale a seguito della risoluzione ONU n°1973 del 17 marzo 2011 e la situazione in Libia sembra ben lungi dal trovare quella rapida soluzione che era stata troppo ottimisticamente prospettata. Intanto le nostre forze armate rimangono impantanate nell’ennesimo conflitto/intervento sovranazionale che, come i precedenti (per esempio; La Somalia, L’Afghanistan, l’Iraq, il Libano, ecc.), avrebbe dovuto essere rapido e chirurgico ed invece continua a trascinarsi e anzi rischia, come già è avvenuto nei casi precedenti, di trasformarsi in un impegno a lungo termine con il possibile impiego di truppe di terra e pertanto con il conseguente rischio di vittime fra i nostri militari. Nel frattempo comunque stiamo bombardando il territorio libico e difficilmente possiamo escludere totalmente che i nostri interventi non vadano a far aumentare le vittime civili di questo ennesimo conflitto. Forse dunque bisognerebbe cominciare a chiedersi quanto sia etico, opportuno e lecito questo nostro modo di agire che è diventato ricorrente. Premetto che tutti i conflitti citati si presentano ognuno con caratteristiche differenti rispetto agli altri e pertanto non sarebbe serio fare di “ogni erba un fascio”. Per molti di essi però, almeno ex-post e nonostante il fatto che qualcuno sia ancora ben lontano dalla conclusione, si potrebbero levare parecchie critiche riguardo all’opportunità e soprattutto rispetto all’efficacia del nostro intervento. Tra l’altro poi, nel fare un bilancio effettivo secondo il nostro personale punto di vista (ovvero quello di noi italiani), bisognerebbe distinguere fra l’effettiva liceità e/o opportunità di un intervento internazionale in sé, rispetto a quanto fosse invece necessario un nostro impegno militare diretto, non siamo forse una Nazione che ripudia la guerra come modo di soluzione dei conflitti? Al di là dei richiami costituzionali e tralasciando persino i ragionamenti che possano basarsi sui cosiddetti interessi economici e strategici in gioco, eticamente come la mettiamo? Nel caso della Libia, per esempio è abbastanza arduo sostenere che il nostro si tratti semplicemente di un appoggio ad un moto popolare spontaneo di natura democratica! Certo nessuno dubita che Gheddafi sia un dittatore brutale e forse, per molti libici, anche impopolare, viene però spontaneo pensare, almeno a chi conosce un minimo del substrato culturale della Libia, che non fosse amato neanche prima e che la sua struttura di potere fosse più dovuto ad una serie di accordi fra le varie cabile (le varie famiglie/tribù libiche), che a un vero e proprio afflato di approvazione da parte dei singoli cittadini. L’attuale situazione di instabilità sembra quindi più dovuta alla rottura di consolidati equilibri politici ed economici interni che ormai si sono logorati, rispetto a quanto sia un vero segno di maturazione democratica del popolo libico. Per farla breve, se sostanzialmente le cose stessero così, noi non siamo entrati in campo per aprire la strada alla democrazia, ma stiamo semplicemente appoggiando una fazione contro un’altra. Se questo non ci preoccupa eticamente dovrebbe almeno allarmarci pragmaticamente, nessuno molla il potere volontariamente e quando il potere è conquistato da un’altra elite in maniera violenta, nascono subito altre tensioni. Noi siamo pronti ad una guerra lunga? E soprattutto, .......... ci siamo almeno scelti gli “amici” giusti?

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