“Anatomia delle Brigate Rosse – Le Radici Ideologiche del
Terrorismo Rivoluzionario” di Alessandro Orsini, edizioni Rubbettino, ISBN: 978-88-498-2853-5.
Premetto di non aver mai approfondito molto il tema della
stagione del terrorismo politico europeo che ha caratterizzato la seconda metà del
novecento. Questi eventi li ho sempre considerati “fatti”, mai “storia” e,
avendoli vissuti, seppur indirettamente, semplicemente respirando il clima di
quegli anni, li ho sempre considerati parte delle mie esperienze e dei miei
ricordi e, stimandoli già sufficientemente noti, non ho mai pensato
(erroneamente) di doverli analizzare più precisamente.
Il terrorismo me lo
ricordo prima come una serie di sensazioni insieme forti e vaghe, come sono
quelle che possono essere captate, ma non pienamente comprese, da un bambino
(sono nato nel 1965). Poi, un po’ più grande, come fenomeno legato a eventi
esterni e pericolosi dei quali bisognava tenere conto; basti pensare che, tutte
le mattine, in “branchi” vocianti, percorrevamo Via Asti (a Torino) per andare a
scuola ma, giunti ai margini del lungo muraglione della caserma La Marmora, dove
si allestì l’aula bunker e si tenne il maxi processo contro il nucleo storico
delle BR, calava il silenzio. I nostri genitori ci avevano fatto il lavaggio
del cervello: non urlate, non correte, non “sfottete”, non vi fermate,
camminate sul lato opposto al muro della caserma, non vi avvicinate al portone,
insomma, … non “fate i cretini”! Vedevamo i poliziotti davanti al portone e
sugli spalti, stavano immobili, infagottati nel giubbotto antiproiettile. Si
capiva che non erano statue perché vedevamo sbuffare il fiato gelato del loro
respiro, ma per il resto non c’era un movimento, non si sentiva un rumore.
Portavano la mitraglietta M12 un po’ sul davanti, canna rivolta verso il basso,
entrambe le mani sull’arma, pronti a imbracciarla. Sapevamo che avevano il
colpo in canna, che erano tesi e nervosi … eppure tutto era immobile,
congelato. Ho altre reminiscenze “forti” legate al terrorismo. Per esempio, ricordo
vivamente l’attentato alla stazione di Bologna, quello alla scuola di
Amministrazione Aziendale di Torino, il giorno del referendum per confermare le
“leggi Cossiga” (accompagnai mia nonna ai seggi!)… ma per me, il terrorismo
rimane indissolubilmente legato alla sensazione di freddo, silenzio e immobilità
che permeava quel tratto particolare di via Asti, oppure a quella vaga
sensazione di disagio e tensione che ancora mi coglie quando incappo negli ormai
sporadici posti di blocco dei carabinieri.
In età più matura ho inevitabilmente letto libri e articoli
collegati al terrorismo di destra e sinistra e, a questo soggetto, si è
aggiunto il tema del terrorismo di natura religiosa, tutto ciò, non in funzione
di un vero interesse per quest’argomento, ma come semplice conseguenza di un
fenomeno che è, semplicemente troppo legato alla nostra storia alla politica e
alla cronaca recenti per poterlo ignorare. Non avevo, però, mai letto opere e
saggi che si occupassero nello specifico della figura del terrorista, del suo mondo,
della sua estrazione sociale e culturale, delle sue motivazioni psicologiche e
dei suoi obiettivi. Da questo punto di vista il saggio dell’Autore è
illuminante, convincente oltre che sconvolgente.
Per l’Autore i terroristi di sinistra e di destra, per non
parlare di quelli esplicitamente religiosi, appartengono alla corrente delle
sette gnostiche. Questo fa di loro dei soggetti molto più complessi, diversi e
pericolosi rispetto a quanto siano normalmente considerati dall’opinione
pubblica. L’approccio dello gnostico, quando si manifesta in un processo
attivo, si basa sul presupposto di essere tanto “illuminati” quanto incompresi.
Egli è un “eletto” un “puro”, unico depositario, insieme a pochi intimi, di una
verità superiore che gli altri individui non riescono o non vogliono scorgere.
Il suo modo di ragionare è strettamente dualistico o, come spiega l’Autore, “binario”:
zero o uno, bianco o nero, puro o impuro, tanto peggio e tanto meglio … Chi non
sta dalla parte del terrorista è automaticamente un nemico, qualsiasi cosa egli
dica o faccia e va sterminato. Da qui nasce l’odio viscerale del terrorista soprattutto
nei confronti di qualsiasi forma di riformismo, colpevole di allontanare le prospettive
dell’inevitabile sovvertimento e rivoluzione. L’obiettivo, infatti, è
nientemeno che salvare e purificare il mondo dai suoi mali (il quale è,
inevitabilmente corrotto e decadente!), al fine di creare una società perfetta
di pace e amore (e di norma, rigorosamente egualitaria). Per raggiungere tale
fine, ogni mezzo può essere impiegato a partire, ovviamente, dalla violenza e
dallo sterminio fisico dell’avversario che, come si è appena visto, è visto
come un soggetto irrimediabilmente corrotto e che viene, pertanto,
completamente disumanizzato solo per il fatto di non aderire acriticamente all’ideale
gnostico del momento. Per gli gnostici è quindi “normale” e necessario prevedere
di sterminare milioni d’individui al fine di purificare la società dai soggetti
“infetti”. In sintesi, dal punto di vista psicologico è semplicistico e
riduttivo pensare a questi soggetti come semplici “pazzi” o come “criminali”
(magari prezzolati), mentre è quasi certamente più corretto collocarli fra i
veri e propri “alienati” (inteso nel senso di personaggi “ai margini”). In
sintesi, forse la pericolosità del terrorista gnostico consiste proprio nel
fatto di considerarsi troppo “puro” e “perfetto” rispetto alla “massa” che lo
circonda.
Rispetto a una prospettiva sociale e storica, l’Autore ci fa
notare come le forme violente dello gnosticismo siano parte integrante della
nostra cultura e, pertanto, rimane costante il rischio che esse, una volta
debellate si ripresentino. Molti degli aspetti culturali e delle idee dalle
quali deriva il repertorio violento delle sette gnostiche traggono origine da concetti
e da aspirazioni che, in linea di principio sono considerati positivi,
condivisibili o, quantomeno, accettabili e che stanno spesso alla base sia
della visione etica e morale del cristianesimo, sia del pensiero liberale e
illuminista: uguaglianza, libertà civili e religiose, equità economica, diritti
civili e individuali, … Lo gnostico, però porta all’estremo l’applicazione di
questi concetti ambendo a trasformarli in icone assolute da realizzare
perfettamente, ad ogni costo e senza alcun compromesso. Pertanto, ad esempio,
dalle forme di predicazione di stampo chiliastico e dalle esigenze di rigenerazione
della chiesa spesso si sono originati movimenti improntati alla violenza
sociale e politica e, anche la Rivoluzione francese, per altro fortemente
ispirata dal pensiero illuminista, ha avuto la sua fase degenerativa rappresentata
dal Terrore promosso dai giacobini. Il riferimento culturale per eccellenza del
terrorismo di sinistra fu invece un'altra ideologia “millenarista” cioè il
marxismo-leninismo che fu (è!), secondo l’Autore un vero è proprio “credo” gnostico.
In appendice, è anche presente un’interessante anche se succinta
panoramica del fenomeno del “brigatismo nero” e dei suoi riferimenti culturali
che, curiosamente, ma forse non così inaspettatamente, in alcuni casi
coincidono con quelli dei brigatisti di sinistra (ad esempio convergendo sulla
figura del rivoluzionario nichilista Sergej Gennadievič Nečaev!).
Decisamente un bel saggio, del quale ne consiglio vivamente la lettura!
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