Oggi sulla Stampa è uscito un
articolo che giudico sia interessante sia controverso: http://www.lastampa.it/2014/12/09/esteri/da-londra-alla-siria-per-la-jihad-via-la-cittadinanza-alla-famiglia-EjGVkXh0i4HZuvuormNCRL/premium.html
I fatti riguardano una famiglia
Anglo –Pakistana; il padre è nato a Newcastle da genitori pakistani e i figli
sono nati tutti in Inghilterra. Tutti quanti hanno dunque una doppia
cittadinanza: inglese e pakistana. La famiglia, da due anni in Pakistan, è in
odore di terrorismo e uno dei componenti, una ragazza di circa vent’anni, ha
appena raggiunto il marito in Siria per combattere la Jihad.
Il Governo inglese, nel timore di
attentati terroristici ha revocato la cittadinanza a tutti i membri della
famiglia ad eccezione della madre e di un figlio portatore di handicap. Io mi
chiedo: “E’ giusto tutto ciò?”.
E’ bene premettere che, innanzi
tutto, si tratta di un provvedimento previsto dalle leggi inglesi e, pertanto,
legittimo. Lo stato britannico ha infatti la facoltà di revocare la
cittadinanza nel caso di minacce alla sicurezza nazionale; mi domando però se
una tale norma debba essere considerata etica, soprattutto, nel momento in cui si
applichi a soggetti che hanno acquisito la cittadinanza in base allo “jus soli”
e, ancora di più, che abbiano tale status da più generazioni. Quante
generazioni ci vogliono per essere considerato veramente inglese (o italiano)?
E, pertanto per essere trattato come un semplice delinquente (seppur altamente
pericoloso) e non come uno straniero? La cittadinanza è un diritto acquisto, un dovere o
una semplice “qualità” dell’individuo? E poi, altre domande … cosa sarebbe
successo se i soggetti implicati non avessero avuto anche la cittadinanza
pakistana? E se fossero proprio stati inglesi da generazioni? Magari biondi, anglicani
da sempre e poi “fulminati” recentemente da una conversione all’Islam (ci sono
anche neoconvertiti “europeissimi” nelle file dell’ISIS!)? Quali sono i precedenti
storici (purtroppo ci sono!) in cui dei soggetti sono stati costretti ad
assumere lo status di apolidi? Dove ha portato questa politica?
Sono interrogativi nei confronti
dei quali, sinceramente, non penso di avere ancora né risposte definitive né
tantomeno idee chiare. E’ difficile, infatti, bilanciare ragione, rabbia, paura, orgoglio
nazionale, senso di appartenenza, spirito di accoglienza, rispetto della libertà
individuale, ma anche senso del dovere, fedeltà allo Stato e lealtà verso i
propri concittadini.
Questi fatti però devono fare
riflettere perché, forse è giunto finalmente il momento di domandarci seriamente
chi siamo e cosa vogliamo dalla nostra cultura che, penso si possa
tranquillamente definire con orgoglio come “europea”. Se però vogliamo anche
definire i nostri valori come “superiori” e non semplicemente come “diversi” rispetto
ad altri, abbiamo la responsabilità di dare risposte ponderate a domande
difficili in modo che esse siano adeguate a questi obiettivi ambiziosi in termini di esempio e di
civiltà.
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