domenica 14 dicembre 2014

Recensione: Uccideresti l’Uomo Grasso? Il dilemma etico del male minore


“Uccideresti l’Uomo Grasso? Il dilemma etico del male minore”, titolo originale: “Would You Kill The Fat Man? The Trolley Problem and What Your Answer Tells Us about Right and Wrong”, di David Edmonds, tradotto da Gianbruno Guerrerio, edizioni Raffaello Cortina, ISBN: 978-88-6030-697-5.
Si tratta di uno dei tanti casi estremi e paradossali prodotti dalla filosofia morale: “Un carrello ferroviario fuori controllo corre verso cinque uomini che sono legati sui binari: se non sarà fermato li ucciderà tutti e cinque. Vi trovate su un cavalcavia e osservate la tragedia imminente. Tuttavia, un uomo molto grasso, un estraneo, è in piedi accanto a voi: se lo spingete facendolo cadere sui binari, la notevole stazza del suo corpo fermerà il carrello, salvando cinque vite, anche se lui morirà. Voi uccidereste l’uomo grasso?”
Bella domanda! Soprattutto quando si esplorano anche le diverse e divertenti varianti comprese nel saggio che tendono a precisare lo scenario e a prevenire le diverse scappatoie morali che l’interlocutore cerca di mettere rapidamente in atto per “evitare” di uccidere l’uomo grasso!
Mentre per i filosofi l’argomento appare così appassionante da aver dato origine a una vera e propria branca della filosofia morale chiamata, appunto, “Trolleyology” (da “Trolley” = Vagone o Carrello), per le persone comuni, lo scenario appare un po’ per quel che è, cioè una forzatura un po’ troppo assurda o, al più, una storiella accattivante buona per movimentare la conversazione di una serata fra amici.
Ciò non toglie nulla alla bellezza di questo saggio che, nello svolgere le sue tesi, non solo riprende le diverse posizioni filosofiche sull’argomento, aggiungendo anche qualche considerazione in base ai risultati ottenuti dagli studi delle ormai sempre presenti neuroscienze ma che, soprattutto, riporta qualche caso storico nel quale il dilemma del “Male Minore” ha dovuto effettivamente essere soppesato nelle scelte operate da chi doveva prendere delle decisioni che implicassero il bene di alcuni a scapito di altri.
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A titolo di piccola curiosità, per chi volesse riflettere su qualche altro caso reale, posso segnalarne uno che, personalmente, ho trovato molto interessante. Potete trovare una descrizione di questo fatto in un libro che ho molto apprezzato: “Giustizia, il nostro bene comune” di Michael Sandel (ISBN 978-88-07-10454-1), l’episodio è riportato nel capitolo “I caprai afghani”. Da questa vicenda è stato recentemente tratto anche un film: “Lone Survivor” (2013) che, purtroppo, lascia spazio solo all’azione e nulla lascia trapelare del dilemma morale e del caso umano che l’ha reso famoso.
La storia in breve è la seguente:
Nel giugno 2005 una piccola squadra delle forze speciali della marina USA s’infiltra in territorio afghano con l’intento di localizzare un capo talebano e il suo gruppo costituito da un centinaio di combattenti. Durante l’operazione i militari vengono casualmente in contatto con alcuni caprai del luogo che sono rapidamente catturati. Gli afghani sono civili disarmati e vengono resi completamente innocui, ma gli incursori non hanno la possibilità di immobilizzarli (sono privi di corde o manette) per un tempo sufficiente a cambiare posizione e far perdere le loro tracce. Lasciandoli liberi i militari si esporrebbero al rischio che i civili segnalino la loro presenza ai guerriglieri talebani. Nasce una discussione fra gli elementi della squadra, qualcuno suggerisce di eliminare i pastori inermi ma il caposquadra Martin Luttrell si oppone e, alla fine, i civili sono liberati.
La storia purtroppo non ha un lieto fine. Poco tempo dopo aver liberato i pastori, il piccolo gruppo si trova braccato da una nutrita schiera di guerriglieri talebani. La maggior parte dei fanti di marina perde la vita nello scontro e anche fra i soccorritori, arrivati nel frattempo, si registrano perdite consistenti.
 Martin Luttrell sopravvivrà al combattimento e scriverà una biografia dove, secondo quanto riportato sul saggio di Sandel, affermerà essersi pentito della decisione presa di liberare i civili anziché procedere a sopprimerli.
Questo è un finale che lascia nell’inquietudine ma che, personalmente, riesco ben a comprendere e, nel frattempo mi rifiuto di giudicare e stigmatizzare.
Tutto ciò, in effetti, appare molto più tragico, più pregnante e meno salottiero rispetto alle storie di scambi da azionare, botole da aprire e spinte da assestare che attengono ai diversi scenari di ’“Uccideresti l’Uomo Grasso”!

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