venerdì 17 maggio 2013

Recensione: Europa Tedesca – La nuova geografia del potere


"Europa Tedesca – La nuova geografia del potere”, titolo originale: “ Das deutsche   Europa. Neus Machtlandschaften im Zeichen der Krise” di Ulrich Beck, traduzione di Michele Sampaolo, Edizioni Laterza, ISBN: 978-88-581-0736-2. 

L’Autore offre una descrizione di come e perché, a seguito della crisi economica, la Germania abbia acquisito un ruolo sempre maggiore come arbitro politico ed economico nell’ambito dell’Unione Europea. L’indispensabile capacità tedesca di fungere da creditore per tutti quei paesi europei che risultano gravati da un disavanzo pubblico rilevante, la volontà di imporre una politica finanziaria paneuropea improntata al rigore e la necessità di rassicurare l’opinione pubblica interna attraverso una politica comunitaria basata, apparentemente, sulla salvaguardia degli equilibri di bilancio e sulla lotta all’inflazione, hanno determinato un forte accentramento di potere in favore della cancelleria tedesca, la quale, è riuscita a porre in atto una politica vincente sia sul tavolo della politica europea che su quello della politica interna forzando più di una volta la mano sia ai partner europei sia al parlamento tedesco attraverso una politica che subordina l’erogazione di crediti ai paesi a rischio alla realizzazione di pesanti tagli e ristrutturazioni e, nel contempo, sventola in ambito nazionale lo spauracchio del fallimento dell’euro. Questa formula di successo si basa su un’accorta dose di “soft power” caratterizzato da una certa ambivalenza sia in politica estera dove, verso i partner europei si cerca di  combinare il rispetto formale di facciata dell’indipendenza degli stessi con l’ingerenza sostanziale nelle loro politiche di bilancio, sia sul  fronte interno, dove attraverso l’idea dell’applicazione agli stati UE della formula del rigore, si sponsorizza, in teoria, la difesa degli interessi e dello stile di vita tedesco, ma in realtà, spesso, in nome dell’emergenza, si impone ai tedeschi lo sforzo finanziario di stabilizzazione dell’euro e di finanziare i crescenti disavanzi di alcuni dei partner UE. Tale formula di pragmatismo politico, fino ad adesso pagante, comincia a mostrare aspetti di squilibrio e, “de facto”, rischia di minare alla base alcune caratteristiche dell’Unione che, fino ad ora, si è aggregata attorno a ideali di libertà e uguaglianza e si è sorretta su basi associative volontarie non gerarchiche. Crescono intanto le contraddizioni intorno al modello attuale dell’Unione che, ormai, ha rivelato una serie di linee di fascia fra “Nord” e “Sud”, oppure fra i paesi che aderiscono all’euro o che mantengono ancora la moneta nazionale. Sembra dunque avvicinarsi il momento in cui bisognerà scegliere più chiaramente se ripiegare verso istanze nazionali oppure rilanciare quelle unitarie rivitalizzando il progetto d’integrazione politica. L’Autore mette in guardia rispetto a un programma d’integrazione che parta dall’alto, che sia sostanzialmente frutto solo di scelte istituzionali e che si occupi principalmente solo di aspetti amministrativi, fisco, finanza ed economia. Egli, invece, intravvede la possibilità di attuare un processo che parta dal basso, da promuovere, soprattutto, attraverso le istituzioni politiche e democratiche. Esso dovrebbe fare perno, ad esempio, sulla rete di scambi culturali intereuropei e coinvolgere in primis le persone e, in particolare, le nuove generazioni; avendo l’obiettivo di far acquisire una maggior coscienza della propria qualità di ”europei”, sensibilizzando l’opinione pubblica rispetto al bagaglio di valori comuni che caratterizzano la cultura “Europea”, seppur nel rispetto delle nostre diverse tradizioni culturali. Ciò, con lo scopo di far emergere chiaramente nella percezione degli europei la consapevolezza di quei vantaggi che, spesso, diamo per scontati e che rischiamo inconsapevolmente di perdere nel caso fallisse il progetto unitario.

 

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