sabato 31 marzo 2012

Recensione: Il Predominio dell’Occidente – Tecnologia, ambiente, imperialismo

“Il Predominio dell’Occidente – Tecnologia, ambiente, imperialismo”, titolo originale: “Power over Peoples. Tecnology, Environments and Western Imperialism, 1400 to the Present”, di Daniel R. Headrick, editrice Il Mulino, traduzione di Giovanni Arganese, iSBN 978-88-15-23315-8.
Si tratta di un saggio molto interessante nel quale l’Autore fornisce la propria analisi riguardo ai fattori che furono determinanti per l’instaurazione di quel predominio delle nazioni occidentali in campo economico, politico, tecnologico e militare che solo recentemente, a parer mio, comincia a essere messo seriamente in discussione dalla rinascita di una serie di culture e nazioni leader portatrici di modelli alternativi.
Dalla caduta dell’impero romano e almeno fino a buona parte del XV secolo, il cosiddetto Occidente non poteva certo essere considerato particolarmente rilevante rispetto ad altri luoghi e culture del pianeta, e anzi appariva piuttosto isolato, sottosviluppato e marginale. Ben più importante era, infatti, l’impero e la civiltà cinese, quell’indiana (che tra l’altro nei secoli successivi sarebbe stata sostanzialmente unificata sotto la dinastia dei Moghul), la cultura musulmana, dominante il bacino del Mediterraneo, il Medio Oriente e l’Asia Centrale e persino, anche se all’epoca se ne ignorava l’esistenza, gli imperi Inca e Azteco del continente americano. Nei secoli a seguire l’importanza dell’Occidente crebbe progressivamente fino a manifestarsi come chiaramente predominante; ma quali furono i fattori che ne determinarono tale successo? L’Autore prende in considerazione parecchie argomentazioni, alcune delle quali legate anche a fattori accidentali, in parte già note e in precedenza analizzate in altre opere di contenuto simile, integrandole, a mio avviso, sapientemente, con elementi nuovi e comunque svolgendo una tesi abbastanza originale. Vengono dunque analizzati gli aspetti tecnologici, in particolare l’evoluzione navale e i nuovi strumenti bellici, gli aspetti politici, economici, sociali, i fattori ambientali ed anche la grande importanza di alcuni aspetti occasionali, come, ad esempio, le differenze resistenze alle patologie (che se da una parte furono importanti per la conquista del Continente americano, dall’altro costituirono un serio limite alla penetrazione in terra africana fino a che non furono disponibili una serie di nuovi trattamenti preventivi e/o curativi in campo farmacologico e sanitario). Soprattutto è spiegato come l’interrelazione di molti di questi fattori abbia creato un sistema virtuoso che ha permesso alle nazioni occidentali, prima di recuperare il gap culturale che le separava dagli altri concorrenti e poi di creare un divario tecnologico talmente rilevante da permettere la dominazione della stragrande maggioranza degli altri popoli e culture. Nello stesso tempo, l’Autore mette anche chiaramente in evidenza come questo dominio, spesso brutalmente imperialistico e basato sullo strapotere militare, non sia sempre stato sufficiente per prevalere e, ora, esso sia sempre più spesso inadeguato e insufficiente per mantenere il controllo e il predominio anche su aree geografiche relativamente ristrette. Questa è, infatti, l’amara lezione di molte delle guerre di liberazione dal dominio coloniale, del conflitto del Vietnam, il risultato sempre frustrato di tutti i tentativi di controllo del territorio afghano e, più recentemente l’epilogo, in parte ancora da scrivere, dell’intervento in Iraq e in Libia.

A titolo di considerazione personale, di fronte a quella che sembra un periodo di forte crisi del modello occidentale, il libro sembra portare a una riflessione dal gusto un po’ amaro. Il dominio dell’occidente, visto senza ipocrisie, sembra soprattutto derivare dall’uso della forza bruta, molto di più di quanto non si possa dire che sia il risultato di un genuino accoglimento da parte degli altri popoli di una nostra valida proposta culturale. In sintesi, non mi sembra che, nel nostro passato, anche recente, siamo stati particolarmente abili a creare, a fianco al classico Hard Power basato sul potere delle armi, anche un più insinuante, accattivante, ma anche duraturo Soft Power. Ecco una ragione, per esempio, per la quale non siamo in grado di esportare con successo il nostro format politico improntato su un modello democratico, spesso assai ipocrita, e su di uno economico basato su un capitalismo liberista spesso zoppicante. Temo che, se non inventeremo nulla di nuovo, in un prossimo futuro possiamo dover esser chiamati a pagare per la nostra arroganza e per la nostra scarsa saggezza e lungimiranza, speriamo di no!

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