domenica 5 febbraio 2012

Un Nuovo Mondo è possile? Fra passato e futuro, riflessioni sul tema della stabilità e mobilità lavorativa

Da La Stampa 30 gennaio 2012 Intervista a Muhammad Yunus : “Il capitalismo è un’auto vecchia. Va cambiato”.

http://www.ftcoop.it/portal/tabid/151/mid/786/newsid786/1471/dnnprintmode/true/Default.aspx?SkinSrc=%5BG%5DSkins%2F_default%2FNo+Skin&ContainerSrc=%5BG%5DContainers%2F_default%2FNo+Container

Da La Stampa 02 febbraio 2012 Mario Monti: “Il posto fisso? Che noia i giovani si abituino”

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/440845/

Ho trovato interessante rilevare come i due sovra citati articoli, apparsi su La Stampa a distanza di pochi giorni, parlino in qualche modo del medesimo tema, la "Stabilità", vedendolo però a partire da punti di vista apparentemente diversi e forse persino antitetici. Yunus, dal vertice di Davos invita ad un superamento del modello capitalistico, la provocazione sembra forte, ma cosa dice in sintesi? Leggendo l’intervista si ha l’impressione che l’economista non sia in grado di fornire nessuna indicazione precisa riguardo alle modalità attraverso le quali si può giungere ad un aggiornamento/superamento del sistema capitalista, egli però, ad un certo punto propone una riflessione interessante sul ruolo sociale dell’impresa e sul mestiere dell’imprenditore. Questi, secondo Yunus, non può essere solo ridotto a figura tesa unicamente a far soldi ed interessato all’unico obiettivo della massimizzazione del profitto. Sicuramente infatti, fra le motivazioni che spingono a fare impresa c’è spazio anche per altri temi personali, come la realizzazione di se e delle proprie idee, la ricerca dell’eccellenza del prodotto e la coscienza della sua rilevanza sociale. Ci sono poi ampie possibilità anche per appagare aspirazioni più altruistiche che possono spingere a desiderare il perseguimento di obiettivi di miglioramento delle condizioni locali e del livello di sicurezza e di benessere della propria comunità di appartenenza, a partire, magari da quella dei propri dipendenti. Tale commistione di obiettivi, tra l’altro, non fa parte dell’etereo mondo delle idee, ma è chiaramente riscontrabile in numerosissime esperienze sia del nostro passato che del nostro presente industriale. Basti pensare, anche solo limitandosi ad alcune realtà piemontesi, alle realizzazioni di Leumann a Collegno (To), degli Olivetti ad Ivrea (To), dei Miroglio e dei Ferrero ad Alba (Cn) e di tanti altri imprenditori che nel passato strutturarono o, ancora adesso pensano, le loro realtà aziendali tenendo presente obiettivi più lungimiranti rispetto ai soli fini produttivi; per quale motivo, ad esempio, si dovrebbe promuovere l’apertura di un asilo nido presso le proprie strutture? Per massimizzare i profitti? Io penso che il motivo alla base non sia questo, ma che vada ricercato nel semplice piacere di vedere e creare intorno a se il “benessere”. In sintesi, penso che Yunus lasci intendere che la via per superare alcune contraddizioni della nostra società possa passare attraverso un cambiamento culturale che promuova, aiuti e stimoli quegli istinti positivi ed originari che già tendono ad emergere sporadicamente nel mondo imprenditoriale.
Ma cosa c’entra tutto ciò con le affermazioni di Mario Monti, il quale stigmatizza la propensione dei giovani verso il posto fisso? Se da una parte il capo del Governo ha ragione quando constata la sempre maggiore difficoltà a trovare un impiego definitivo ed invita pertanto a non illudersi in questo senso, dall’altra, a mio avviso, sbaglia quando sottostima le conseguenze sociali che comporta un’eccessiva dinamica e mobilità lavorativa e territoriale. E’ ben diverso quindi il prendere atto di un certo tipo di situazione rispetto all’affermare che questa sia auspicabile. In primo luogo, cambiare lavoro è bello quando presuppone un miglioramento, non lo è invece nel momento in cui implica un ripiegamento economico, una necessità di risposta ad una situazione di crisi oppure un indesiderato sradicamento dalla propria realtà sociale, famigliare e territoriale. Per ciò che riguarda la noia poi, spesso questa è il rovescio della medaglia di un compromesso che è implicito all’esigenza dei singoli e dei nuclei famigliari di addivenire ad una certa stabilizzazione, ad esempio: la famiglia, la casa, i figli, le scelte educative, le relazioni sociali, ecc. sono tutte scelte che implicano un certo grado di radicamento almeno nel medio termine. Queste scelte implicano l'implementazione di routine, forse anche "noiose", ma in un certo senso funzionali allo scopo, può sembrare lapalissiano, ma questa è la vita!
Un altro aspetto che poi dovrebbe indurre a scoraggiare e non ad incoraggiare l’eccessiva mobilità e che, dall’altra parte dovrebbe portare ad una rivitalizzazione del concetto di carriera interna è di fidelizzazione del dipendente è proprio riconducibile alle tematiche svolte precedentemente e legate al concetto, forse superato, ma comunque accattivante di “azienda-famiglia”, vista come volano economico, sociale e culturale di un certo territorio. Bisognerebbe infatti cominciare ad ammettere onestamente che, spesso, la mobilità ha compromesso pesantemente il legame di fedeltà fra dipendenti ed aziende diminuendo le mutue aspettative e la produttività, in più, il continuo turnover ha contribuito pesantemente ad impoverire il know how all’interno di molte realtà aziendali, mentre, dall’altro lato, il ricorso a management di provenienza esogena ha spesso prodotto situazioni di “scollamento” con il personale alle dipendenze nonché frustrazione e demotivazione e, non di rado, ha esposto i vertici delle strutture a situazioni di clamorosa incompetenza, appena lenite da quella che potremmo definire “la tirannia della consulenza”, genia che si occupa sempre più spesso di sopperire alle carenze di competenze interne e a quelle manageriali e culturali di tutti quei soggetti che non hanno maturato la necessaria conoscenza del proprio ramo di attività. Per concludere, bisognerebbe dunque riconoscere che la stabilità va di nuovo posta all’ordine del giorno come condizione da ricercare per i propri cittadini, mentre solo la genuina curiosità del nuovo e la tensione verso il miglioramento e non il darwinismo sociale, devono essere riconosciute come condizioni auspicabili del cambiamento.

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