mercoledì 1 febbraio 2012

Mercato del lavoro: Una proposta per la flessibilità e di revisione dell’art.18

Il Governo Monti sembra voler prendere seriamente in considerazione il tema della riforma del mercato del lavoro ricercando un difficile equilibrio fra le richieste di flessibilità e rinnovamento che proviene dal mondo imprenditoriale e l’evidente necessità di ridurre la disoccupazione, il precariato, il lavoro nero e tenendo presente, possibilmente, i vantaggi economici, sociali e psicologici che provengono dall’aver una certa sicurezza riguardo alla stabilità del posto e dell’orario di lavoro. Sembra che i vari rappresentanti delle parti sociali, si siano impegnati in un confronto che non prevede necessariamente né tempi stretti né diktat e che parte anche dal presupposto di superare alcuni atteggiamenti dogmatici, lasciando intendere che l’intenzione sia quella di aggiornare allo spirito dei tempi la disciplina che regola il rapporto di lavoro più di quanto si persegua l’obiettivo di eliminare semplicemente alcune garanzie. Uno degli aspetti dibattuti riguarda la possibilità di avvalersi con maggiore flessibilità dello strumento del licenziamento. A questo tema si ricollega direttamente anche la discussione riguardante il possibile superamento o la modifica delle tutele fornite dall’art.18 dello Statuto dei Lavoratori, contro i licenziamenti privi dei requisiti della giusta causa o del giustificato motivo. Innanzi tutto, bisogna premettere che uno degli aspetti problematici legati a questa norma e che ne mina sostanzialmente lo spirito, scontentando parimenti il mondo imprenditoriale e i tutelati, non riguarda tanto la bontà del principio quanto la sua applicabilità; i tempi dei procedimenti giudiziari sono lunghi e, pare, in passato si sia manifestata anche una certa e non sempre giustificata prevalenza giurisprudenziale a favore di certe categorie di lavoratori. Queste circostanze, estranee al principio e persino contro di esso, minano l’efficacia dello strumento di tutela che, per sua natura, dovrebbe prevedere tempi rapidissimi per dirimere le vertenze. Riguardo a quest’aspetto, pare che il Governo si stia muovendo nella giusta direzione quando sostiene di voler creare una struttura separata e privilegiata che si occupi delle cause legate al mondo del lavoro e dell’impresa. Per tornare al tema del licenziamento, legato eventualmente a problemi di crisi o di ristrutturazioni produttive, o a più o meno “giuste cause” e, pensando anche al ruolo della cassa integrazione, forse la soluzione per superare tutti questi problemi potrebbe consistere nel permettere di licenziare in maniera insindacabile e immediata, ma al costo di erogare al lavoratore una sostanziosa indennità che lo metta al riparo per un orizzonte temporale accettabile dal disagio e dal danno morale e materiale causatogli e, nel contempo, fornendogli quel respiro economico e sicurezza indispensabili per supportarlo nella ricerca di un nuovo posto di lavoro. Indicativamente, mi sembra che tale indennizzo non dovrebbe essere inferiore a tre annualità dell’ultimo stipendio erogato. In questo modo, sarebbe semplicemente possibile smettere di distinguere fra licenziamenti per giusta causa o meno e non sarebbe neanche necessario applicare norme diverse alle imprese con meno o più di quindici dipendenti, non sarebbe necessario alcun ricorso in giudizio perché la volontà del datore di lavoro sarebbe insindacabile e sarebbe forse possibile eliminare la cassa integrazione e lo strumento della mobilità, nel frattempo però, il costo del licenziamento dovrebbe essere sufficientemente elevato per limitare l’arbitrio del datore di lavoro, limitando il ricorso a questo provvedimento estremo ai soli casi di estrema necessità.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.