lunedì 6 ottobre 2014

Riforma del TFR, parliamone un po'!

Come altri aspetti legati alla riforma del lavoro in corso di definizione in Italia, anche la discussione che si sta svolgendo riguardo alla possibilità di incassare anzitempo il TFR mi lascia perplesso. Effettivamente, visti i tempi che corrono, non è facile immaginare cosa sarebbe meglio augurarsi!

Il TFR è sempre stato una forma di risparmio forzoso abbastanza apprezzata dai lavoratori; all’origine, poteva essere incassato nel momento in cui si cambiava lavoro o in presenza di alcuni eventi particolari ben specifici (es. acquisto della prima casa, gravi malattie, ecc.) ma la sua ragione principale era quella di costituire un piccolo (o grande) “gruzzoletto” in forma di capitale che poi il neopensionato, che si supponeva ancora essere abbastanza giovane (allora si andava in pensione mediamente prima dei sessant’anni!), poteva impiegare per il suo “buen retiro”, magari per comprarsi la casetta al mare o in campagna o per aiutare i figli, a loro volta, a mettere su casa. Nel corso del tempo lo strumento è stato rimaneggiato, ma è rimasto tale nella sostanza, nel frattempo, però è cambiato radicalmente il contesto. In primo luogo non si va più in pensione “giovani” (al limite si prospetta per molti in futuro un periodo più o meno lungo da “esodati”) e, di conseguenza, calano le prospettive per una “seconda giovinezza” passata a zappare l’orto in campagna o a fare passeggiate sul lungo mare in riviera. Ben peggio, da qualche tempo intorno al TFR svolazzano avvoltoi e corvacci neri che pensano di attingere al gruzzoletto per risolvere i loro problemi contingenti; ad esempio, non è passato molto tempo da quando s’ipotizzava di trasformare la liquidazione in una rendita periodica per rimpinguare quello che si prospettava essere un assegno pensionistico assai “magro” eliminando di conseguenza la corresponsione del capitale che, invece, è sempre stata la vera caratteristica positiva del TFR.
Vediamo quindi, in maniera disincantata quali potrebbero essere le ragioni pro o contro l’incasso immediato:

In Italia, il primo pensiero va sempre e subito alla “fiducia” (o meglio “sfiducia” nel nostro caso!) nelle istituzioni e, soprattutto negli ultimi tempi, questo criterio di giudizio ha assunto un cruciale ruolo di guida decisionale quasi di natura darwinista. In conformità a questo principio, in termini di strategia, “Incassare” sarebbe sempre meglio di “attendere” qualunque sia lo scenario e il contesto. Ad esempio, se anche per caso ci si trova nella fortunata situazione di chi non ha bisogno immediato di contanti, sarebbe comunque auspicabile incassare la mensilità aggiuntiva garantita dal TFR (peccato per le tasse in sovrappiù!) e reinvestirla seduta stante acquistando, per esempio, una polizza assicurativa completamente sotto il personale controllo del contraente. Sarebbe una tattica che comporta dei costi aggiuntivi (più tasse, più commissioni, ecc.) ma garantirebbe almeno i seguenti risultati: la sottrazione di questa forma di risparmio al rischio di “pensate” future da parte della nostra classe politica, l’assunzione del controllo diretto di questa forma di risparmio con la prospettiva di poterne usufruire con maggiore elasticità. Se poi il reinvestimento assumesse comunque la forma di un impegno fisso, continuerebbe anche a funzionare come forma di accantonamento forzoso anche se, dall’altra parte, verrebbe meno l’attuale garanzia di rendimento che, normalmente caratterizza questa forma di accantonamento.
Specularmente, l’opportunità di un incasso immediato sembra anche andare incontro maggiormente al punto di vista di chi, purtroppo, avrebbe bisogno di quei soldi nell’immediato per vivere (un po’) meglio. E’ chiaro, infatti, che in momenti d’incertezza spesso si sceglie “l’uovo oggi …”, inutile, infatti, preoccuparsi molto della vecchiaia se i problemi stanno già condizionandoti pesantemente il presente. In questi casi, la logica del “tirare a campare” rimane, in fondo, l’unica perseguibile.

Vi sono però anche delle considerazioni che vanno contro questo tentativo di riforma. A me sembra che queste ragioni siano meno pratiche e più di principio rispetto a quelle evidenziate qui sopra:
Il TFR, proprio per le sue caratteristiche e vincoli normativi, aveva un che di paternalistico, in altre parole costringeva tutti, volenti o nolenti a essere almeno in parte avveduti e virtuosi. Il paternalismo, ormai non è più di moda, anzi, sembra quasi un insulto nei confronti dei cittadini che si suppongono sempre avveduti e lungimiranti. Personalmente nutro qualche dubbio su questo dogma che stabilisce la conclamata e naturale saggezza del cittadino medio (soprattutto quando si parla di questioni potenzialmente difficili da capire come quelle finanziarie!), ma pazienza!

Intravvedo, invece, un aspetto più insidioso legato alle logiche retributive; adesso il TFR è accantonato, nel momento in cui, invece, ci sarà la facoltà di erogarlo, esso apparirà come una forma di aumento di stipendio senza essere tale nella sostanza. Ora, in prospettiva, questo mette in difficoltà le imprese che dovranno trovare nuova liquidità (ma sulla soluzione di questo problema sta lavorando il governo) ma a tendere, sfavorirà il lavoratore che di fronte alla richiesta di aumenti “veri” si vedrà presentare come prima scelta il ricorso al prelievo dal TFR (del tipo: “Se hai bisogno di soldi, prendili di lì!”). In pratica, questa riforma, rischia di essere un altro fattore di abbassamento del costo del lavoro fatto a spese delle future entrate (posto che si materializzino) del lavoratore che, detto in altre parole, si pagherebbe da sé parte dello stipendio corrente attingendo al tesoretto.
Vi sono, infine, alcuni argomenti che, probabilmente poco sposterebbero dall’essenza del dibattito ma, che a mio avviso, sono usati in maniera strumentale, o peggio, illusoria, per veicolare la riforma. Ad esempio, s’immagina che il denaro in più messo a disposizione dei lavoratori produca non meglio identificati effetti positivi sui consumi. Qualcosa si otterrebbe certamente, ma riguardo all’effetto globale io sono scettico, infatti: in primo luogo, in assenza d’interventi concreti, parte dell’effetto si tradurrebbe semplicemente in nuove tasse (l’imposizione sui redditi sono mediamente superiori a quelle che gravano il TFR a scadenza), dubito poi, che chi abbia la possibilità di accantonarlo, si precipiti invece a spenderlo! Come spiegavo prima, infatti, quelli che ne hanno la possibilità, lo investirebbero probabilmente in qualche altra forma di risparmio. Non ci sarebbe, invece, nessun impatto serio per i precari che, mediamente, già lo incassano e, per i quali, in ogni caso, si tratta d’importi non significativi.

Detto in altre parole, l’incremento dei consumi verrebbe da chi ha proprio necessità di incrementare le spese, ma a questo punto, non sono più tanto sicuro che questa sia la forma ideale per garantire loro un reddito più decente nell’immediato, soprattutto, tenendo conto, tra l’altro, che c’è una buona possibilità che le medesime categorie vadano aiutate e tutelate anche successivamente. Pertanto, a me sembra doppiamente ingiusto che esse “brucino” anche ciò che sono state costrette per legge ad accantonare per il futuro.
Alla fine, almeno al sottoscritto, il problema del TFR appare, tutto sommato, “piccolo” e non penso che esso cambierà la situazione comunque lo si tratti (la cosa potrebbe cambiare se, invece, lo Stato decidesse di “sequestrarlo” in qualche forma!). Sullo sfondo rimane, invece, sempre da affrontare il problema “vero” che affligge l’Italia e non solo lei. Manca il lavoro perché, progressivamente vengono meno la base produttiva e la convenienza a mantenerla nel paese, se ci fosse il lavoro, ci sarebbero anche i consumi! Non è invece detto il viceversa, perché bisogna ancora vedere, anche nell’ipotesi che si riuscisse a far emergere una maggiore capacità di spesa, se questa andrebbe a favorire il prodotto interno del paese oppure se, alla lunga non si trasformerebbe per lo più in disavanzo commerciale. Pertanto, la questione se “E’ nato prima l’uovo o la gallina” dove s’invoca lavoro per creare domanda interna, oppure al contrario, si punta sugli incrementi dei consumi per stimolare il mercato del lavoro, appare semplicemente quello che è, un bel circolo vizioso! … Ma anche un facile mantra per i creduloni che sperano di risolvere facilmente dei problemi che semplici non sono. Per altro, se il problema è dare più soldi a chi, in un modo o nell’altro, il lavoro l’ha già (che non è niente di più di quello che si pone come obiettivo la riforma del TFR), sarebbe meglio puntare su un taglio degli sprechi compensato da una politica di sostegno per i redditi bassi o, in maniera presumibilmente meno efficace, procedere a un taglio generalizzato delle imposte sul reddito (sempre da finanziarsi con recuperi di efficienza!).

 Rimane quindi il problema di sempre, è più facile cercare di estrarre i soldi dove ci sono (i redditi e i patrimoni dei cittadini) che affrontare il problema delle inefficienze “vere” che affliggono il paese. A questo proposito, ricordo che circa due anni fa uscì sul quotidiano La Stampa un’interessante serie di articoli corredati da una sintesi finale: “H 312 L’handicap dell’impresa Italia” a firma di Luca Ricolfi (si veda anche mio blog: https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=3245748741540988419#editor/target=post;postID=7910961950821196345;onPublishedMenu=posts;onClosedMenu=posts;postNum=5;src=link).
In quello studio, non era il costo del lavoro (se non per l’aspetto del cosiddetto “cuneo fiscale”) il principale indiziato per spiegare la nostra scarsa competitività, ma ben altri fattori che ci distinguevano nettamente anche dagli altri partner europei. E’ su quelli e non sui palliativi che, con impegno e senza false demagogie bisognerebbe lavorare.

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