Come altri aspetti legati alla
riforma del lavoro in corso di definizione in Italia, anche la discussione che
si sta svolgendo riguardo alla possibilità di incassare anzitempo il TFR mi
lascia perplesso. Effettivamente, visti i tempi che corrono, non è facile
immaginare cosa sarebbe meglio augurarsi!
Il TFR è sempre stato una forma
di risparmio forzoso abbastanza apprezzata dai lavoratori; all’origine, poteva
essere incassato nel momento in cui si cambiava lavoro o in presenza di alcuni eventi
particolari ben specifici (es. acquisto della prima casa, gravi malattie, ecc.)
ma la sua ragione principale era quella di costituire un piccolo (o grande) “gruzzoletto”
in forma di capitale che poi il neopensionato, che si supponeva ancora
essere abbastanza giovane (allora si andava in pensione mediamente prima dei
sessant’anni!), poteva impiegare per il suo “buen retiro”, magari per comprarsi
la casetta al mare o in campagna o per aiutare i figli, a loro volta, a mettere
su casa. Nel corso del tempo lo strumento è stato rimaneggiato, ma è rimasto
tale nella sostanza, nel frattempo, però è cambiato radicalmente il contesto.
In primo luogo non si va più in pensione “giovani” (al limite si prospetta per
molti in futuro un periodo più o meno lungo da “esodati”) e, di conseguenza,
calano le prospettive per una “seconda giovinezza” passata a zappare l’orto in
campagna o a fare passeggiate sul lungo mare in riviera. Ben peggio, da qualche
tempo intorno al TFR svolazzano avvoltoi e corvacci neri che pensano di
attingere al gruzzoletto per risolvere i loro problemi contingenti; ad esempio,
non è passato molto tempo da quando s’ipotizzava di trasformare la liquidazione
in una rendita periodica per rimpinguare quello che si prospettava essere un
assegno pensionistico assai “magro” eliminando di conseguenza la corresponsione
del capitale che, invece, è sempre stata la vera caratteristica positiva del
TFR.
Vediamo quindi, in maniera
disincantata quali potrebbero essere le ragioni pro o contro l’incasso
immediato:
In Italia, il primo pensiero va
sempre e subito alla “fiducia” (o meglio “sfiducia” nel nostro caso!) nelle
istituzioni e, soprattutto negli ultimi tempi, questo criterio di giudizio ha
assunto un cruciale ruolo di guida decisionale quasi di natura darwinista. In
conformità a questo principio, in termini di strategia, “Incassare” sarebbe
sempre meglio di “attendere” qualunque sia lo scenario e il contesto. Ad
esempio, se anche per caso ci si trova nella fortunata situazione di chi non ha
bisogno immediato di contanti, sarebbe comunque auspicabile incassare la
mensilità aggiuntiva garantita dal TFR (peccato per le tasse in sovrappiù!) e
reinvestirla seduta stante acquistando, per esempio, una polizza assicurativa
completamente sotto il personale controllo del contraente. Sarebbe una tattica
che comporta dei costi aggiuntivi (più tasse, più commissioni, ecc.) ma
garantirebbe almeno i seguenti risultati: la sottrazione di questa forma di
risparmio al rischio di “pensate” future da parte della nostra classe politica,
l’assunzione del controllo diretto di questa forma di risparmio con la
prospettiva di poterne usufruire con maggiore elasticità. Se poi il
reinvestimento assumesse comunque la forma di un impegno fisso, continuerebbe
anche a funzionare come forma di accantonamento forzoso anche se, dall’altra
parte, verrebbe meno l’attuale garanzia di rendimento che, normalmente
caratterizza questa forma di accantonamento.
Specularmente, l’opportunità di
un incasso immediato sembra anche andare incontro maggiormente al punto di
vista di chi, purtroppo, avrebbe bisogno di quei soldi nell’immediato per
vivere (un po’) meglio. E’ chiaro, infatti, che in momenti d’incertezza spesso
si sceglie “l’uovo oggi …”, inutile, infatti, preoccuparsi molto della
vecchiaia se i problemi stanno già condizionandoti pesantemente il presente. In
questi casi, la logica del “tirare a campare” rimane, in fondo, l’unica
perseguibile.
Vi sono però anche delle considerazioni
che vanno contro questo tentativo di riforma. A me sembra che queste ragioni
siano meno pratiche e più di principio rispetto a quelle evidenziate qui sopra:
Il TFR, proprio per le sue
caratteristiche e vincoli normativi, aveva un che di paternalistico, in altre
parole costringeva tutti, volenti o nolenti a essere almeno in parte avveduti e
virtuosi. Il paternalismo, ormai non è più di moda, anzi, sembra quasi un
insulto nei confronti dei cittadini che si suppongono sempre avveduti e
lungimiranti. Personalmente nutro qualche dubbio su questo dogma che stabilisce la conclamata e naturale saggezza del cittadino medio (soprattutto quando si parla di questioni potenzialmente difficili da capire come quelle finanziarie!), ma pazienza!
Intravvedo, invece, un aspetto
più insidioso legato alle logiche retributive; adesso il TFR è accantonato, nel
momento in cui, invece, ci sarà la facoltà di erogarlo, esso apparirà come una
forma di aumento di stipendio senza essere tale nella sostanza. Ora, in
prospettiva, questo mette in difficoltà le imprese che dovranno trovare nuova
liquidità (ma sulla soluzione di questo problema sta lavorando il governo) ma a
tendere, sfavorirà il lavoratore che di fronte alla richiesta di aumenti “veri”
si vedrà presentare come prima scelta il ricorso al prelievo dal TFR (del tipo:
“Se hai bisogno di soldi, prendili di lì!”). In pratica, questa riforma,
rischia di essere un altro fattore di abbassamento del costo del lavoro fatto a
spese delle future entrate (posto che si materializzino) del lavoratore che,
detto in altre parole, si pagherebbe da sé parte dello stipendio corrente
attingendo al tesoretto.
Vi sono, infine, alcuni argomenti
che, probabilmente poco sposterebbero dall’essenza del dibattito ma, che a mio
avviso, sono usati in maniera strumentale, o peggio, illusoria, per veicolare
la riforma. Ad esempio, s’immagina che il denaro in più messo a disposizione
dei lavoratori produca non meglio identificati effetti positivi sui consumi. Qualcosa
si otterrebbe certamente, ma riguardo all’effetto globale io sono scettico,
infatti: in primo luogo, in assenza d’interventi concreti, parte dell’effetto
si tradurrebbe semplicemente in nuove tasse (l’imposizione sui redditi sono
mediamente superiori a quelle che gravano il TFR a scadenza), dubito poi, che
chi abbia la possibilità di accantonarlo, si precipiti invece a spenderlo! Come
spiegavo prima, infatti, quelli che ne hanno la possibilità, lo investirebbero probabilmente
in qualche altra forma di risparmio. Non ci sarebbe, invece, nessun impatto
serio per i precari che, mediamente, già lo incassano e, per i quali, in ogni
caso, si tratta d’importi non significativi.
Detto in altre parole,
l’incremento dei consumi verrebbe da chi ha proprio necessità di incrementare
le spese, ma a questo punto, non sono più tanto sicuro che questa sia la forma
ideale per garantire loro un reddito più decente nell’immediato, soprattutto,
tenendo conto, tra l’altro, che c’è una buona possibilità che le medesime
categorie vadano aiutate e tutelate anche successivamente. Pertanto, a me sembra
doppiamente ingiusto che esse “brucino” anche ciò che sono state costrette per
legge ad accantonare per il futuro.
Alla fine, almeno al
sottoscritto, il problema del TFR appare, tutto sommato, “piccolo” e non penso che
esso cambierà la situazione comunque lo si tratti (la cosa potrebbe cambiare
se, invece, lo Stato decidesse di “sequestrarlo” in qualche forma!). Sullo
sfondo rimane, invece, sempre da affrontare il problema “vero” che affligge
l’Italia e non solo lei. Manca il lavoro perché, progressivamente vengono meno
la base produttiva e la convenienza a mantenerla nel paese, se ci fosse il
lavoro, ci sarebbero anche i consumi! Non è invece detto il viceversa, perché bisogna
ancora vedere, anche nell’ipotesi che si riuscisse a far emergere una maggiore
capacità di spesa, se questa andrebbe a favorire il prodotto interno del paese
oppure se, alla lunga non si trasformerebbe per lo più in disavanzo
commerciale. Pertanto, la questione se “E’ nato prima l’uovo o la gallina” dove
s’invoca lavoro per creare domanda interna, oppure al contrario, si punta sugli
incrementi dei consumi per stimolare il mercato del lavoro, appare
semplicemente quello che è, un bel circolo vizioso! … Ma anche un facile mantra
per i creduloni che sperano di risolvere facilmente dei problemi che semplici
non sono. Per altro, se il problema è dare più soldi a chi, in un modo o nell’altro,
il lavoro l’ha già (che non è niente di più di quello che si pone come
obiettivo la riforma del TFR), sarebbe meglio puntare su un taglio degli
sprechi compensato da una politica di sostegno per i redditi bassi o, in
maniera presumibilmente meno efficace, procedere a un taglio generalizzato
delle imposte sul reddito (sempre da finanziarsi con recuperi di efficienza!).
In quello studio, non era il
costo del lavoro (se non per l’aspetto del cosiddetto “cuneo fiscale”) il
principale indiziato per spiegare la nostra scarsa competitività, ma ben altri
fattori che ci distinguevano nettamente anche dagli altri partner europei. E’
su quelli e non sui palliativi che, con impegno e senza false demagogie
bisognerebbe lavorare.