venerdì 9 novembre 2012

Recensione: Il Pestifero e contagioso morbo – Combattere la Peste nell’Italia del Seicento

“Il Pestifero e contagioso morbo – Combattere la Peste nell’Italia del Seicento”, di Carlo M. Cipolla, edizioni Il Mulino, ISBN: 978-88-15-23838-2.

Bellissimo piccolo saggio costituito sostanzialmente da tre parti distinte. La prima parte descrive quella che si può definire come la prima organizzazione internazionale di controllo della sanità. All’epoca il territorio italiano era suddiviso in numerosi Stati e Signorie indipendenti e alcuni di queste organizzazioni statali avevano creato una magistratura incaricata dei controlli sanitari al fine di prevenire le epidemie; si era quindi sviluppata una prassi che prevedeva lo scambio periodico di corrispondenza fra ufficiali e “uffici” sanitari diversi e che aveva lo scopo di individuare le aree soggette a focolai d’infezione per poterle prontamente isolare e interdire ai traffici in modo da contenere la diffusione delle malattie. A partire da questa prassi viene poi descritto un tentativo di accordo più impegnativo che coinvolse il Granducato di Toscana, la Repubblica di Genova, i domini del Papa e quelli partenopei (questi ultimi, all’epoca, soggetti a controllo spagnolo), che aveva lo scopo di creare un protocollo di controlli e un corpo di magistratura congiunto che monitorasse i porti principali di queste aree (Livorno, Genova, Anzio e Napoli). L’accordo, che, tra l’altro, prevedeva l’applicazione di un sistema protocollato di “bandi” e “esclusioni” delle aree colpite dalle epidemie (accordo importantissimo ai fini di evitare l’instaurarsi di vere e proprie “guerre” commerciali), fallì a causa dei diversi e spesso contrastanti interessi commerciali, ma anche per colpa dell’inefficienza della magistratura laziale e partenopea che non era, di fatto, in garantire lo svolgimento di controlli adeguati. Una forma ridotta di quest’accordo rimase comunque in vigore per un certo periodo fra la Toscana e Genova, per poi venire meno intorno alla metà dei Seicento a seguito di una disastrosa pestilenza (1656-1657) che colpì il genovese e che costrinse i toscani a inasprire i controlli nei confronti dei vicini. E’ interessante notare che per rintracciare analoghi tentativi di accordi internazionali riguardanti il controllo sanitario si deve passare direttamente al XIX Secolo quando, nel 1851, spinti dallo spauracchio delle epidemie di colera, si tentò di sviluppare un protocollo d’intesa fra undici paesi. Tale tentativo si risolse comunque in un nulla di fatto.

La seconda parte descrive, con dovizia di fonti e dati, la lotta condotta dalle autorità sanitarie di Pistoia per il controllo dell’epidemia di peste scatenatasi nel biennio 1630-31. Tenendo presente i mezzi a disposizione e le conoscenze scientifiche dell’epoca, ben lungi dall’aver individuato le origini e le cause del male, lo sforzo intrapreso riuscì in qualche modo a contenere i tremendi tassi di contagio e di mortalità caratteristici delle pestilenze e ha lasciato ai posteri del materiale interessante non solo sotto forma di osservazioni “scientifiche”, ma soprattutto, per valutare lo sforzo intrapreso dalla comunità cittadina sul piano organizzativo, logistico e finanziario.

L’ultima parte è invece rappresentata dall’appendice che fornisce un quadro della pericolosità del morbo mostrando una serie di statistiche che si riferiscono alle percentuali di contagio e di mortalità, ma che descrive, soprattutto, lo stato delle conoscenze scientifiche dell’epoca. L’eziologia del male era sconosciuta e poco si sapeva delle modalità attraverso le quali avveniva il contagio. In particolare, non si era riuscito a individuare il veicolo principale attraverso il quale agiva il batterio dell’Yersinia Pestis, cioè la pulce del ratto. Di conseguenza, tutti gli aspetti preventivi e ancor più quelli curativi erano basati sul presupposto che la peste fosse causata dai cosiddetti “miasmi”, cioè dall’aria corrotta, che, secondo le conoscenze d'allora, doveva avere la caratteristica di essere formata da atomi velenosi e particolarmente “vischiosi”. Da questa concezione, che adesso può sembrare strana, ma che all’epoca trovava riscontro in non poche osservazioni “scientifiche”, venivano prese decisioni che alle volte risultavano sensate (ad es. considerare pericolosi i tessuti e i pagliericci per la loro propensione ad attirare le sostanze appiccicose!), inutili (es. profumare gli ambienti) o controproducenti (es. eseguire salassi o somministrare purghe). Attualissimo il richiamo dell’Autore riguardo ai limiti della conoscenza scientifica che, ovviamente, rimane valido tutt’oggi e che deve mettere in guardia gli osservatori dei fenomeni naturali riguardo al nesso fra cause ed effetti; nel momento in cui si rimane all’oscuro delle reali cause di un fenomeno, si può finire per estrapolare dalle nostre osservazioni delle norme apparentemente e logicamente inoppugnabili, ma che in realtà rimangono deboli ed evanescenti come castelli in aria perché semplicemente costruite su presupposti non validi.

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