giovedì 3 maggio 2012

Recensione: Ordine nero, guerriglia rossa - La violenza politica nell’Italia sessanta e settanta (1966-1975)

“Ordine nero, guerriglia rossa - La violenza politica nell’Italia sessanta e settanta (1966-1975)”, Guido Panvini, editrice Einaudi, iSBN 978-88-06-19449-9.
Il saggio cerca di spiegare la genesi e l’evoluzione della violenza politica in Italia nel cruciale decennio che va dalla seconda parte degli anni sessanta alla prima metà dei settanta del novecento. Durante quel particolare periodo il nostro paese fu, da una parte, inserito in una situazione più generale a livello internazionale di fermenti politici, scontri ideologici e movimenti rivoluzionari, dall’altra, anche riferendosi al solo contesto europeo, l’Italia, rispetto ad altri paesi, fu caratterizzata da un tipo di violenza politica molto più estesa e radicale e che traeva origine da una serie di specificità nazionali. Il periodo trattato fu denso di cambiamenti sociali ed economici, basti ricordare: le lotte sindacali per la tutela dei lavoratori (in quegli anni fu promulgato lo “Statuto dei lavoratori”), i primi problemi di crisi e di riconversione industriale seguiti a un lungo periodo di sviluppo, i temi riguardanti l’immigrazione e ai conseguenti mutamenti sociali legati al cambiamento da una società agricola a una maggiormente incentrata su industria e terziario, la crescita disordinata delle metropoli in assenza di organici piani di sviluppo urbanistico, le tensioni nelle scuole e nelle università, eccetera. A tutto questo, andrebbe aggiunto un altro aspetto caratterizzante che può farsi risalire al travagliato periodo della guerra civile e alla difficile transizione del dopo guerra; infatti, per molti che aderirono all’RSI oppure che condussero la guerra partigiana, la neonata Repubblica italiana fu vista più che come vero momento di cambiamento e di riconciliazione nazionale, come creatura politica sotto tutela degli alleati e frutto di accordi internazionali. Forte rimase nelle nuove generazioni di estrema sinistra il richiamo alla rivoluzione mancata e all’epica dell’esperienza partigiana vista come antesignana della guerra di popolo di matrice rivoluzionaria; mentre, nell’estrema destra continuavano a rimanere un numero consistente di nostalgici e, fra i giovani, come anche all’interno di alcuni settori delle istituzioni era molto radicato il sentimento di timore e di forte avversione verso il comunismo, ma anche verso la società liberale e democratica, il modello capitalista, come anche verso quelle forme di riformismo sociale ed economico che, non di rado, erano viste come elementi perturbatori dell’ordine tradizionale. Nello stesso tempo, l’estremismo di destra poteva anche trarre ispirazione da una serie di esperienze estere che, come nel caso del colpo di stato dei “colonnelli” in Grecia, mostravano una certa propensione dell’esercito a interferire per sovvertire i regimi democratici. La polarizzazione della violenza venne anche favorita dal montante clima di confronto internazionale e dalla messa in atto di quella strategia di contenimento che caratterizzerà l’operato dell’amministrazione americana nei confronti del blocco sovietico e dei vari movimenti d’insorgenza. Infine, per quanto riguarda il caso italiano, non va neanche dimenticato che una parte non trascurabile della pubblica amministrazione e soprattutto delle forze armate e di quelle dell’ordine era di orientamento molto conservatore, quando persino non era stato formato durante il passato regime fascista; quest’aspetto influenzerà non poco il clima politico dell’epoca favorendo l’insorgere di un certo pregiudizio nei confronti della sinistra istituzionale e delle parti sociali più propense al varo di riforme. L’insieme di queste caratteristiche, da una parte finirà per dare maggiore credibilità alla sinistra extraparlamentare e radicale a scapito di altre componenti più moderate, favorendone la visibilità e l’opera di proselitismo e, dall’altra, vedrà il crearsi di tutta una serie di situazioni, ancora oggi ampiamente da chiarire, che favorirono gli estremisti di destra, i quali, non di rado furono aiutati, manipolati e fiancheggiati da soggetti appartenenti alle istituzioni.
Il libro cerca di riassumere tutte questi e altri molteplici aspetti, lo fa con un grande equilibrio e attraverso una seria attività di ricerca e il ricorso a una copiosa documentazione e fonti d’archivio, mantenendo uno stile di scrittura neutrale e privo di enfasi. Proprio quest’approccio, che, si potrebbe definire come “Accademico”, costituisce sia il principale pregio, sia, specularmente, il peggiore difetto di questo saggio che, a mio avviso, è assai utile, ma che, dalla’altra parte, potrebbe lasciare alcuni perplessi perché, nonostante riguardi un periodo storico tormentato e rilevante della nostra storia recente, finisce anche per non coinvolgere molto il lettore.

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