giovedì 10 dicembre 2015

Decreto salvabanche: I risparmiatori hanno ragione? Parte 1


Il decreto “Salva banche”, recentemente applicato nei casi di dissesto della Banca dell’Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti, ha scatenato l’ira dei risparmiatori.
Ora, a parer mio, anche tenendo presente la rabbia legittima di chi è stato truffato dal proprio istituto di credito di fiducia, bisognerebbe fare le dovute distinzioni rispetto alle ragioni e all’opportunità di applicazione di tale decreto e, soprattutto, si potrebbe prendere in considerazione (eventualmente anche in sede europea) l'opportunità per procedere ad alcune modifiche dei principi che stanno alla base dello stesso.
Innanzi tutto, per entrare nel merito bisognerebbe distinguere fra due tipi di casistiche che, a parer mio, sono molto diverse fra loro:
-          I soggetti che hanno perso i risparmi in quanto titolari di azioni e obbligazioni degli istituti oggetto della procedura concorsuale.

-          I soggetti che hanno perduto la quota eccedente dei loro saldo di conto corrente rispetto a quanto coperto dal fondo di garanzia, attualmente fissato a 100.000 euro.
Anche se a prima vista questa può sembrare una posizione “dura”, personalmente, penso che la prima categoria di soggetti non debba venire tutelata. Questo anche in quei casi dove, purtroppo, gli istituti abbiano abusato della fiducia dei loro risparmiatori.
Forse il mio parere potrebbe apparire un po’ spietato ma, ricordo a tutti, che i prodotti finanziari sono prodotti speculativi, si viene remunerati anche in virtù dei rischi che si corrono e, pertanto, l’ignoranza non può essere portata a giustificazione dei propri errori d’investimento. In ogni caso, non si può pensare e sperare che sia la collettività a dover far fronte ai propri personali ammanchi.
Semmai, forse si potrebbe intervenire in maniera più radicale riguardo alla stesura dei profili di rischio dei risparmiatori, ad esempio, ai titolari di un profilo “basso”, certi prodotti non dovrebbero nemmeno essere presentati e, nel caso in cui questi vengano effettivamente collocati, allora sì, dovrebbe scattare qualche forma di assicurazione o garanzia a favore dell’investitore ignaro, ma nel contempo dovrebbe anche partire un’azione penale nei confronti del soggetto (parlo proprio dell’addetto bancario, non dell’istituto) che ha incautamente e forse fraudolentemente proposto e collocato strumenti non adatti al profilo di rischio dell’investitore. Insomma, se non si individuano correttamente le responsabilità e i soggetti di queste azioni a che cosa serve firmare tutte quelle scartoffie che ci propinano periodicamente gli istituti di credito?
Comunque, ribadisco il concetto, in quei casi nei quali l’investimento corrispondeva al profilo di rischio dell’investitore, nulla dovrebbe essere dovuto ne garantito. Queste sono le regole del gioco e se non si vuole fronteggiare la possibilità di una perdita si deve anche evitare di correre il corrispondente rischio.
Giudizio diverso per il secondo tipo di risparmiatori, per me andrebbero tutelati, anzi dico di più, secondo me bisognerebbe estendere significativamente le garanzie a favore di chi tiene i soldi sul conto corrente proprio al fine di evitare i rischi e, per esempio, sarei chiaro nel ricomprendere in queste casistiche anche gli investimenti finanziari che sono comunque di liquidità (es. i depositi a termine).
Per certi versi, mi rendo conto che il mio approccio potrebbe essere visto come paradossale, in fondo esiste già una garanzia notevole per questi soggetti (100.000 euro) e, di conseguenza, sembrerebbe che l’intenzione sia quella di tutelare chi è già ricco persino di più di quanto lo sia già! Penso però che non sia corretto vedere le cose in questo modo un po’ “populista”. La ratio sulla quale si basa il mio approccio benevolo verso i “correntisti” (come concetto esteso ai detentori di investimenti assimilabili alle posizioni di conto corrente) poggia sul fatto che l’investimento in liquidità non può certo qualificarsi come un investimento “rischioso”, anzi, è estremamente evidente l’intento dell’investitore di evitare i rischi.
Tra l’altro, chi non ha paura di nascondere la sua liquidità, magari ingente, difficilmente ha pendenze e “scheletri nell’armadio” nei confronti del fisco o di eventuali creditori, né, tendenzialmente è interessato a truffare gli enti attraverso dichiarazioni ISEE mendaci. In pratica, un alto saldo di conto corrente, può anche essere visto come un indice, seppur rozzo, della “trasparenza” di un certo soggetto e, come tale, questa forma d’impiego andrebbe incentivata rispetto ad altre più “furtive” e sospette (es. oro, brillanti, titoli al portatore, rapporti di gestione aperti presso fiduciarie, ecc.).
A tutto ciò ci sono poi da aggiungere alcune considerazioni di ordine più pratico. La prima è semplicissima, i soldi, se si ha la fortuna di averli, da qualche parte bisogna pur metterli! E allora che si fa se si possiede più di 100.000 euro e li si vuole tenere liquidi? Si apre un c/c presso un altro istituto? Questa sarebbe l’unica soluzione prospettata attualmente perché garantirebbe anche su questi nuovi depositi l’estensione della garanzia; tale approccio però ha il difetto di essere poco pratico, inutilmente costoso, nonché meno trasparente per tutti coloro che hanno buone ragione legali per accertare l’origine e l’ammontare di queste sostanze.
In sintesi,  non capisco perché non si incentiva di più il risparmiatore a seguire soluzioni semplici e trasparenti rimuovendo anche quei residui elementi di rischio che non portano nessun vantaggio alla collettività.
In pratica servirebbe verificare I presupposti che regolano il fondo di garanzia che, per mio conto, dovrebbe essere innanzi tutto uno strumento per tutelare le forme di risparmio svincolandole dai destini degli istituti presso I quali esse vengono funzionalmente poste in essere, nel contempo, mantenendo un occhio di riguardo anche rispetto alle ragioni, alle forme e alle funzioni di tale risparmio. Il fondo di garanzia, invece, non ha nessuna ragione per effettuare un'opera di tutela nei confronti di chi si assume un rischio speculativo nei confronti del quale, è il singolo investitore che deve provvedere a cautelarsi.
 

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