La domanda giusta da porsi è
dunque la seguente: “Com’è potuto accadere?”. Com’è possibile che dopo la firma
di montagne di carta straccia incomprensibile da parte dei risparmiatori, l’istituzione
di autority di controllo e tutela degli stessi, l’adesione a codici etici di grande
spessore morale da parte degli organi delle banche, eccetera, eccetera, alla
fine si scopre che tutto ciò non riesce mai a risultare né sufficiente né utile
per tutelare effettivamente i soggetti che farebbero volentieri a meno di
correre rischi finanziari? Il sospetto che viene è che in realtà, nella sostanza,
non si voglia veramente intervenire in questa direzione anche perché, lavorare
seriamente verso questo obiettivo, non solo ridurrebbe la
redditività dell’attività di intermediazione, ma farebbe venire meno uno dei
ruoli dichiarati della stessa, ovvero l’obiettivo di trasferire e distribuire
certi tipi di rischi!
Torniamo però al nostro caso! Mano
a mano che sui quotidiani vengono pubblicate le informazioni che riguardano la
prima applicazione del “Salva banche” ecco che si delinea il solito quadro dei “furbetti
del quartierino” e la tragedia (che è tale, visto che, oltre al danno
economico, c’è anche scappato il morto!) si muta nella solita farsa all’italiana
o meglio, nel solito copione nostrano. Riassumiamo i punti principali:
-
Il nostro Ente di controllo (la Banca d’Italia),
anche di fronte ad una serie di norme europee vincolanti, impone l’emissione di
nuova liquidità allo scopo di rafforzare gli indici patrimoniali degli istituti e per far fronte alla grave situazione di dissesto. che incombe
sugli stessi.
-
A questo scopo, gli istituti emettono strumenti
ad alto rischio: azioni e obbligazioni subordinate, adeguandosi alle
disposizioni del “controller”.
-
Questi titoli, al posto di essere collocati
presso investitori istituzionali vengono “spacciati” (è proprio il caso di
dirlo) a gente sostanzialmente ignara attraverso una politica “commerciale”
avallata dai vertici presso la rete attraverso la solita ricetta di minacce ed
incentivi nei confronti dei collocatori.
-
Post operazione, salta fuori la leggina “Salva
vertici”, la rete viene in parte abbandonata a se stessa e/o sacrificata di
fronte al popolo in tumulto e i risparmiatori rimangono con il cerino in mano.
-
Dopo un po’ di clamore popolare, l’” Uomo del
destino” del momento (toccherà a Renzi la parte?), accoglie i postulanti
rappresentanti del popolo dei truffati e arrangia un po’ le cose. Alla peggio
pagheranno i contribuenti!
Cerchiamo però di entrare un po’
più nel meccanismo esaminando più da vicino i singoli punti.
La Banca d’Italia effettua i suoi
controlli e, giustamente, deve anche adeguarsi alle norme europee che, tra le
altre cose, si occupano di garantire il sistema contro il dissesto degli
istituzioni di credito (ci ricordiamo dell’ultima crisi legata ai mutui sub-prime?).
Da anni l’Unione Europea e gli organi di controllo lavorano su norme e
indicatori di solidità patrimoniali che dovrebbero limitare il rischio di
dissenso bancario. Fin qui tutto bene! Quello che però non si riesce mai a
capire bene è il “perché” la Banca d’Italia, una volta che siano state scoperti
seri indizi di dissesto e di sbilancio patrimoniale non possa/voglia incidere
di più promuovendo anche la messa in atto di processi più tempestivi nella
messa sotto tutela di quelle istituzioni che danno segnali di preoccupazione e,
in particolare, non si comprende bene perché in queste situazioni non si promuova
fin da subito una politica più incisiva di risanamento diretta dall’alto e, tra
l’altro finalizzata anche ad ottenere un serio e tempestivo ricambio di quei
vertici aziendali che, avendo prodotto tale
situazioni negative, si sono chiaramente dimostrati non confacenti all’incarico.
Ci sarà forse qualche remora che impedisce di agire tempestivamente contro soggetti
che, non raramente, sono titolari di posti e rendite di posizione tipicamente
allocati a lobbisti e attaché della politica? Il sospetto è legittimo …
Ma passiamo al punto successivo!
Come abbiamo visto il processo di rifinanziamento passa di solito attraverso l’iniezione
di nuovi capitali di rischio raccolti sotto varia forma. Nel nostro caso si è
trattato soprattutto di azioni e obbligazioni subordinate. Questi, sono
strumenti tipicamente speculativi e dovrebbero essere collocati solo presso
investitori istituzionali e/o accorti e informati. Chiaramente, queste
categorie di investitori si tengono ben distanti in questi casi da questo genere
di impegni a meno che: il rendimento garantito sia “notevolmente alto” e quindi
compensativo di un rischio altrettanto marcato e/o, intendano intervenire essi
stessi direttamente nella gestione, presumibilmente estromettendo i
preesistenti organi di controllo. Ecco quindi che si crea un altro elemento di
cortocircuito del sistema. Per ottenere nuove risorse gli istituti coinvolti, o
meglio, i vertici degli stessi, dovrebbero o attirare nuovi investitori a “interessi
d’usura”, oppure lasciare le proprie comode poltrone ad altri che, mettendo i
soldi, vorranno anche poter prendere le decisioni! Questo vorrebbe il “mercato”,
ma questo è esattamente ciò che è inviso ai nostri vertici perché i “licenziati”
in questo caso sarebbero esattamente loro!
Qual è la via di uscita quindi?
La “via di mezzo”, ovviamente,
cioè quella di collocare “spazzatura” rischiosa ma a tassi accettabili per la
banca (solo un po’ migliori di quelli ottenibili su attività prive di
altrettanto rischio!) a investitori ignari del vero pericolo che stanno
correndo.
E, qual è il modo attraverso il
quale si riesce a fare ciò?
Il solito modo, cioè applicare solo la “forma”
delle leggi evitando, con la complicità di tutti (i potenti) di applicarle
anche nella “sostanza”.
Ecco quindi che all’investitore
viene fatta firmare un profilo di rischio complicato e incomprensibile e,
quando serve, ecco che si usa la rete commerciale per irretire il cliente e
costringerlo a modificare le posizioni più prudenziali. Tutto nel nome della “libertà”
di scelta dell’investitore (che quando fa comodo si suppone laureato in
economia!). Ma tutto ciò non basta!
Cosa dovrebbe fare l’autority e non fa (almeno
con chiarezza)?
Essa dovrebbe classificare chiaramente i prodotti bancari in funzione del rischio costringendo le banche a fornire come prima cosa un documento molto sintetico (una pagina) in cui si metta in estrema evidenza il rischio per l’investitore. Immagino che, per esempio che, se per ogni forma d’investimento dovessimo firmare un foglio che presenta in bell’evidenza un grosso cerchio “rosso”, “giallo” o “verde” e portasse una grossa dicitura sulla sfondo con le parole “Alto rischio”, “Rischioso”, “Rischio limitato”, forse entreremmo un po’ più nello spirito dell’informativa che un “non addetto ai lavori” dovrebbe ricevere. Dopo di ciò, l’investitore dovrebbe ricevere l’intero regolamento del titolo e dovrebbe essere obbligatoriamente rispedito a casa a leggerselo! Se dopo un’opportuna meditazione già non lo capisce, evidentemente non si tratta di qualcosa che va bene per lui.
Essa dovrebbe classificare chiaramente i prodotti bancari in funzione del rischio costringendo le banche a fornire come prima cosa un documento molto sintetico (una pagina) in cui si metta in estrema evidenza il rischio per l’investitore. Immagino che, per esempio che, se per ogni forma d’investimento dovessimo firmare un foglio che presenta in bell’evidenza un grosso cerchio “rosso”, “giallo” o “verde” e portasse una grossa dicitura sulla sfondo con le parole “Alto rischio”, “Rischioso”, “Rischio limitato”, forse entreremmo un po’ più nello spirito dell’informativa che un “non addetto ai lavori” dovrebbe ricevere. Dopo di ciò, l’investitore dovrebbe ricevere l’intero regolamento del titolo e dovrebbe essere obbligatoriamente rispedito a casa a leggerselo! Se dopo un’opportuna meditazione già non lo capisce, evidentemente non si tratta di qualcosa che va bene per lui.
Riamane comunque il fatto, in
ogni caso, certi tipi di prodotto non potrebbero essere presentati a soggetti
che dichiarano un profilo “prudenziale”; sono gli stessi clienti, infatti che
dovrebbero presentare istanza per il cambiamento del loro profilo di rischio e non
viceversa. Solo dopo di ciò, si dovrebbe poter proporre loro prodotti
strutturati sulla base del nuovo profilo. Tra l’altro, anche solo il sottomettere
all’attenzione dei clienti strumenti non idonei dovrebbe essere considerato
sanzionabile. Infine, forse si dovrebbe distinguere chiaramente la figura del
consulente e quella del collocatore. Il primo avrebbe l’obiettivo di capire le
esigenze del cliente e consigliarlo e, ove serve, anche scoraggiarlo fortemente
ad effettuare avventure finanziarie di dubbio esito. Questi dovrebbe, in
sostanza essere il “tutore” del proprio cliente. Il secondo, invece, si
incarica di promuovere la vendita di prodotti che possano essere posti in
relazione con le esigenze dell’investitore, ma dovrebbe, in primo luogo,
superare le obiezioni del tutore, prima che quelle del cliente stesso (che
diciamolo, spesso non è in grado di capire di cosa si sta parlando!).
Fatto tutto questo, si vedrebbe
chiaramente quello che gli “addetti” sanno già, cioè, che la maggior parte dei
prodotti bancari, soprattutto quelli che comportano i maggiori margini per le banche
sarebbero per lo più invendibili per la fascia della clientela “retail” che si
qualifichi anche come “prudente”. Non parlo solo degli strumenti finanziari che
hanno dato scandalo in questi giorni (azioni e obbligazioni), ma anche di tutti
gli altri prodotti assicurativi e previdenziali che, continuamente vengono normalmente
proposti dalla rete (es. Unit linked, index linked, fondi pensione, fondi e
Sicav, ecc.). Tutto finito!
Visto così è chiaro dunque il “perché”
succedono queste cose. In altre parole è quasi impossibile mantenere l’enfasi
sulla parola “tutela” e nel contempo, sperare anche di “far soldi” o spesso,
persino, di rimanere entro un canale di “margini” accettabili e, di
conseguenza, tutti fanno finta di non vedere e tirano avanti come sempre, sennò
il sistema si inceppa!
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.