venerdì 29 agosto 2014

Perché cala la fiducia dei consumatori italiani? Una riflessione sull'importanza che l'esempio venga "dall'alto".

In Agosto si è assistito all’ennesimo calo della fiducia dei consumatori italiani, il terzo consecutivo negli ultimi mesi. La gente “non spende” e anche i famosi 80 euro non sembrano produrre alcun effetto positivo sull’economia. Mentre una pletora di esperti, apparentemente costernata, si è lanciata alla ricerca di dotte spiegazioni che diano ragione di quest’ostentato pessimismo sia per l’Italia sia per il resto d’Europa, i cui consumatori sembrano avere le stesse reticenze di quelli italiani, a noi non rimane altro che guardarci intorno stupiti chiedendoci se ciò che appare ovvio al nostro sguardo sia davvero così poco intellegibile alla nostra massa di sedicenti esperti e politici di ogni faccia e colori.
Ma insomma, perché la gente non spende? A me, personalmente la spiegazione appare abbastanza semplice; innanzi tutto moltissimi non hanno né soldi né lavoro. La disoccupazione giovanile ha raggiunto, almeno in Italia livelli mostruosi (con punte anche superiori al 40%); spesso poi, in questo caso, anche quando il lavoro c’è, finisce per essere precario e sottopagato.  Anche la cosiddetta “mobilità”, in questo caso, intesa proprio in senso fisico di propensione a spostarsi, spesso non aiuta a stimolare la propensione a investire, precludendo così un’ampia fetta di potenziali consumi. Difficile, infatti, pensare di sposarsi, comprare una casa e, persino un’auto, se si pensa di trasferirsi a breve e comunque più di una volta nel breve termine e magari all’estero. La mancanza di serie certezze rispetto alla propria capacità di reddito lavorativo non implica tanto l’esistenza e la ricerca del famigerato “posto fisso”, quanto l’accesso a un’ampia disponibilità di lavoro ragionevolmente remunerato e che permetta di stabilizzarsi nel medio - lungo termine in un’area geograficamente sufficientemente ristretta da permettere spostamenti quotidiani partendo dal medesimo punto fisso (il proprio domicilio!). Basandosi su osservazioni e su riflessioni che a me paiono di semplice buon senso, la mancanza di queste condizioni condiziona negativamente fin dal principio la propensione a sostenere buona parte delle spese che, fino a poco tempo fa, erano date per scontate perché funzionali al puro e semplice “ciclo vitale” delle persone.
E’ anche vero, però, che altri il lavoro ce l’hanno e, spesso si tratta di un impiego relativamente fisso e tutelato. E allora perché anche questi soggetti si mostrano molto cauti nelle spese? Per queste fasce di consumatori il problema, a mio avviso, è legato alle percezioni riguardo al futuro. Nell’immediato, sono molte le persone che sono spaventate dalla possibilità di perdere il posto di lavoro sapendo, tra l’altro di avere scarse opportunità di ritrovare rapidamente un impiego che garantisca un reddito almeno equivalente. Facendo poi delle valutazioni un po’ a più ampio respiro, purtroppo realistiche, tutti si aspettano semplicemente di fare nel proprio futuro l’esperienza di una serie più o meno lunga di anni da “esodati”, cioè in una condizione dove si è privi di lavoro, ma non si sono ancora raggiunti i limiti di età per accedere alla pensione. Infatti, chi crede veramente che conserverà il proprio posto di lavoro fino a sessantasette anni di età? Come se questo non bastasse, la fiducia nella società e nello Stato è al minimo; nessuno si aspetta veramente un livello di pensione dignitoso (posto di arrivarci), nessuno pensa che potrà conservare il proprio TFR e ottenerlo a scadenza sotto forma di capitale. In compenso, tutti sono abbastanza certi che la pressione fiscale su chi è ancora in grado di produrre un reddito che non sia in “nero” non diminuirà, e anzi, tutti sospettano che essa sia destinata a salire in varie forme poiché il futuro lascia intendere che, a parità di costi dell’apparato statale, ci siano meno contribuenti a suddividersene il carico. Dall’altra parte, è anche chiaro che il welfare sarà sostanzialmente ridimensionato e che, pertanto, il livello dei servizi erogati dallo Stato e dagli Enti locali sarà destinato a diminuire drasticamente in termini sia di qualità sia quantità. Tutto ciò sarebbe già abbastanza grave se non intervenissero anche ulteriori fattori negativi a minare il già critico livello di fiducia, cioè, da una parte, la costatazione che le difficoltà economiche che attanagliano la vecchia Europa siano dovute a un’epocale e irreversibile fase di trasformazione economica originata dal fenomeno della globalizzazione, nei confronti della quale sembra difficile uscire completamente indenni; mentre dall’altra, si aggiunge la semplice osservazione che gli organi politici e amministrativi non sembrano in grado (almeno non lo sono stati fino a ora!) di trovare delle soluzioni veramente valide per far fronte a questa situazione e, più importante ancora, non appaiono in possesso né della forza, né della volontà, ma soprattutto dell’interesse di riformare se stessi per sgravare la società civile del peso della loro stessa cronica inefficienza (che spesso riflette solo l’entità della loro “rendita di posizione”). Proprio in un momento dove sarebbe necessario fare ogni sforzo per gestire al meglio le risorse in contrazione che ancora sono in nostro possesso, l’”Apparato” si mostra ogni giorno inadeguato, impreparato e ripiegato su se stesso e sulle proprie chiacchiere, eppure chiaramente intento a mantenere a qualunque costo il controllo dei propri privilegi.
E’ certo, che se l’”esempio viene dall’alto”, nessuno si fida più di nessuno e, di conseguenza diventa illusorio aspettarsi che si agisca di comune accordo per fare quei sacrifici che sembrano necessari per riequilibrare il “patto generazionale” e rimettere in piedi l’economia. Dunque, chi può permetterselo aspetta al palo, ben conscio che, così facendo la situazione peggiorerà ulteriormente ma contando sul fatto che, alla fine, saranno quelli più esposti che dovranno muoversi (incrociando le dita nel timore di essere fra questi!).
In sintesi, è chiaro a molti che si dovrebbero trovare nuove risorse per favorire la creazione di posti di lavoro, dall’altra parte, a meno di essere fan viscerali della “Teoria Monetaria Moderna”, è pure evidente che non si può agire ulteriormente sui disavanzi (tentazione che sta nuovamente riemergendo nella nostra classe politica!) , infatti, il sistema finanziario internazionale non vedrebbe di buon occhio un visibile peggioramento dei conti pubblici (per altro, pure il buon senso dovrebbe ritenere poco auspicabile tutto ciò!). Rimarrebbe quindi da praticare la via dell’efficienza: investimenti e riforme per favorire l’occupazione fronte di tagli di sprechi e rendite ... la solita proposta che predicano un po’ tutti … e che non viene mai applicata!
E qui si torna al clima di sfiducia! Insomma, tutti si aspettano che le famose risorse da destinare allo sviluppo alla fine emergano da una profonda riduzione dei costi della politica e da un processo che renda più efficiente l’intera galassia della “cosa pubblica”. Tutti, a torto o a ragione, pensano che, in quel buco nero ci siano risorse in abbondanza alle quali attingere senza, per forza passare prima dalle proprie tasche. In poche parole, quello che immagino passi nella testa della gente è questo: “Prima comincino loro, poi, magari ci metto del mio!”. Purtroppo, però, si costata continuamente che di tagli agli sprechi quando si tratta di toccare il “parterre” della politica non se ne parla e, quando si procede (posto che il risultato netto emerga veramente) questo è fatto con una lentezza esasperante. In sette anni di crisi si sono perse centinaia di migliaia di posti di lavoro, ma i nostri emeriti rappresentanti parlano per mesi dei destini di una Camera vista da molti come ormai inutile (Il Senato) che, comunque, non s’intende tagliare ma solo trasformare (non si voglia che la politica perda anche solo “una poltrona”) sottraendola nello stesso tempo al potere elettivo (“potere” si fa per dire!) dell’elettore. Quando si parla di diminuire delle spese, i tagli da una parte ritornano nelle loro tasche per altre vie (si veda ad esempio http://www.lavoce.info/wp-content/uploads/2014/07/bilancio-camera-ebook_finale-1.pdf, oppure,  http://www.lavoce.info/consiglio-regionale-piemonte-veneto-spesa-delle-regioni/ ), mentre i quotidiano sono pieni di notizie delle loro ruberie, come nel caso della nota “Rimborsopoli” piemontese, riguardante i rimborsi spese dei consiglieri regionali  e che si spingono fino al furtarello di piccolo cabotaggio, come emerge dalle indagini riguardanti i  “gettoni di presenza facili” da parte della Circoscrizione n°5 di Torino (circa 60 euro a gettone! Si veda:  http://torino.repubblica.it/cronaca/2014/02/10/news/torino_spese_pazze_nei_dieci_quartieri_inchiesta_su_rimborsi_e_gettoni_di_presenza-78211747/). Nel frattempo, si parla da anni della giungla di enti inutili da chiudere senza che si faccia nulla, mentre, almeno a me, non risulta che si sia mai stai capaci di liquidare una fondazione bancaria (soluzione pro tempore pensata nel lontano 1992!). Figurarsi poi se qualcuno si aspetta veramente che si trovi il tempo per mettere mano a riforme serie (che tutti auspicano e nessuno fa!), come quella che dovrebbe ripensare profondamente l’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale.
In sintesi, è chiarissimo che, dove c’è una poltrona da tutelare, si ferma tutto a costo di affondare l’intero Paese. Quindi che facciamo noi cittadini? … Aspettiamo, ovviamente!

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