giovedì 23 gennaio 2014

Recensione: Il Castello dei Destini Incrociati


“Il Castello dei Destini Incrociati”, di Italo Calvino, edizioni Mondadori, ISBN: 978-88-04-39027-5.
Il libro in realtà contiene due racconti: “Il Castello dei Destini Incrociati” e “La Taverna dei Destini Incrociati”. Entrambe le storie sono costruite nel medesimo modo: un certo numero di viaggiatori si ritrova al Castello (o nella Taverna) dopo aver attraversato una selva densa di pericoli. A causa di qualche arcano tutti i viandanti hanno perso l’uso della parola e, avendo a disposizione solo un mazzo di carte di tarocchi, cominciano a illustrare le loro peripezie in modo figurato disponendole su un tavolo comune e aiutandosi con la mimica, lasciando l’interpretazione delle carte ai presenti. Rapidamente viene a crearsi una griglia e un intreccio di carte che può essere letto dall’alto al basso, da destra a sinistra dando diversi significati alle medesime carte in funzione dell’ordine di apparizione in ogni vicenda e che racchiude tutte le storie dei protagonisti presenti.
Bisogna dire che l’idea è assolutamente geniale ma, alla fine, il susseguirsi dei vari racconti non mi ha appassionato. La mia ipotesi è che effettivamente, la necessità di rendere l’effetto dei “Destini incrociarti” grazie all’intreccio di tutte le carte disposte a mano a mano dai protagonisti, abbia limitato molto le opzioni disponibili all’Autore. A peggiorare le cose devo aggiungere che il racconto della “Taverna” si sviluppa sulla medesima idea di quello del “Castello” (seppur con storie diverse) e, pertanto, anche la trovata originalissima alla base dei due racconti finisce per apparire un po’ stucchevole. Effettivamente, leggendo quanto è riportato nell’introduzione,  pare che lo scopo dell’Autore riguardo al secondo racconto fosse soprattutto quello di adattare l’idea e le metodologie impiegati nel primo alla nuova situazione e, tra l’altro, utilizzando un diverso tipo di mazzo di Tarocchi, i cosiddetti “Marsigliesi”.
Devo dire che dall’Autore del “Barone Rampante” mi aspettavo di più.

 

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