sabato 21 gennaio 2012

Recensione: Il Senso Religioso

“Il Senso Religioso”, di Luigi Giussani, editrice Rizzoli, ISBN: 978-88-17-04590-2.
Posto che, come si vedrà, il giudizio riguardo a questo libro non è positivo, sento necessario premettere che spesso incontro un po’ di difficoltà con questo tipo di letture e forse non sono un soggetto particolarmente indicato per darne un giudizio obiettivo. Pertanto, se da una parte ammetto di avere probabilmente una natura, forse irrecuperabile, distratta e poco recettiva verso un certo tipo di letteratura, dall’altra, e almeno in questo caso, mi avvalgo esplicitamente del “Diritto del lettore” che mi consente di definire soggettivamente deludente e poco utile il contenuto di quest’opera. Detto ciò, proverò a motivare più concretamente questo giudizio negativo cominciando, forse un po’ paradossalmente, a elencare i punti condivisibili e quindi, per me percepiti come positivi. Mi tocca, infatti, evidenziare come abbia incontrato parecchi aspetti riguardo ai quali mi sembra di poter concordare con l’Autore. Ad esempio, anch’io sono convinto che sia una necessità e spesso un’esigenza ineludibile dell’essere umano quella di porsi e di cercare di risolvere le grandi domande che si originano a seguito del “Mistero” legato alla nostra natura di esseri viventi razionali e consapevoli, alludo quindi agli interrogativi riguardo al nostro destino, al senso della vita, al nostro ruolo nel mondo e riguardo all’esistenza di un principio causale originario, entità superiore generatrice, senziente, ordinatrice ed anche immanente alla quale imponiamo il nome di “Dio”. Tutto sommato, condivido anche l’approccio dell’Autore che spinge a perseguire e a perfezionare il nostro agire a la nostra ricerca partendo dall’analisi della realtà presente e valendosi dello strumento della “Ragionevolezza”, riguardo a questo, ho anche colto e apprezzato l’ironia dello stesso nello stigmatizzare alcune forzature del pensiero tipiche di alcune correnti filosofiche che producono, in taluni casi, delle conclusioni che si pongono in antitesi con l’evidenza dei fatti. Di nuovo, è comune lo stimolo ad analizzare e a dare un significato, quantomeno personale, a concetti astratti eppure particolarmente rilevanti per l’essere umano e per la società civile come quelli di “Felicità”, “Verità”, “Giustizia” e, “Libertà”. Concordo poi con l’Autore anche riguardo a una certa avversione verso le spinte e le ideologie rivoluzionarie, alle quali preferisco un ben meno cruento sentiero riformista e progressista che possibilmente si accordi con la “Tradizione” e con il patrimonio culturale che essa rappresenta. Anch’io ammiro la rigorosa disciplina personale che porta al dominio delle emozioni fino all'estremo ideale dell’atarassia e concordo pure con Giussani riguardo alla probabile incapacità dell’uomo, essere per sua natura dotato di un elemento “Sensibile”, di mantenere stabilmente questa condizione. Infine, potrei persino aggiungere che mi ha fatto piacere scoprire nell’Autore un senso di ammirazione nei confronti del concetto di “Anarchia”, ideale che io, nella mia particolare interpretazione che questo termine rende possibile, tengo in grandissimo conto; in questo caso però, devo anche rimarcare che le nostre personali conclusioni divergono notevolmente. Dopo aver fatto l’elenco di tutti questi punti di possibile contatto con l’Autore, che per giunta emergono lungo tutto l’arco dell’opera e non solo in parti di essa, diventa forse necessario affermare che la condivisione di singoli, seppur numerosi aspetti non porti necessariamente a comporre infine lo stesso quadro d’insieme e anzi, è proprio caratteristica dei ragionamenti più insidiosi il cercare di spacciare per vero un intero ragionamento cercando di far leva su singole affermazioni indubbiamente corrette. Pertanto, forse adesso sarà più chiaro come, fra gli aspetti che non mi sono piaciuti, vi sia innanzitutto lo stile, che è si semplice e diretto, ma che mi appare in sostanza quello d’imbonitore o di un abile ammaliatore e risulta convincente solo in apparenza. Il ragionamento si svolge scimmiottando in molte parti il linguaggio scientifico e attraverso la continua commistione di argomentazioni logiche e di passaggi demandati al “Sentimento”, oppure al “Buon senso”. Tale modo di esporre gli argomenti a me appare sospetto e non porta alla scoperta di alcun elemento utile a favore della religione o a supporto dell’esistenza di un principio originale identificabile con Dio. Detto ciò, provo nuovamente a giustificare e a mitigare il giudizio pensando che Giussani, probabilmente, abbia scritto quest’opera soprattutto per avvicinare i giovani. A essi l’Autore si rivolge con un notevole entusiasmo e sfoderando un innegabile carisma e indubbie capacità dialettiche, ma anche armato dell’esperienza e delle malizie del buon insegnante. Egli cerca di infondere indubbiamente sicurezza, certezza e fervore, ma a me, che giovane non sono più, le sue argomentazioni non appaiono per niente conclusive. Finirei dicendo che in fondo ho imparato ad amare i miei dubbi e a tenerli in debita considerazione. Tale impostazione, mi sembra, mi distingue nettamente dalla mentalità dell’Autore che sembra identificare nel “Dubbio” un fattore di stasi (non a caso fortemente inviso ai giovani!) quando invece io lo coltivo come strumento di analisi e di prezioso ausilio moderatore nel sovrintendere all’etica comportamentale del mio ”Agire”.

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