venerdì 16 settembre 2011

Recensione: La nascita delle civiltà

“La nascita delle civiltà”, titolo originale “Civilizations”, di Felipe Fernàndez-Armesto, edizione Bruno Mondadori, ISBN: 978-88-61-593947.
L’Autore affronta il tema della nascita della diffusione e, nei molti casi in cui ciò è avvenuto, della decadenza e dell’estinzione delle civiltà umane. Il tema è già stato trattato in passato da molti autori e secondo molti punti di vista ma Fernàndez_Armesto riesce a conferire alla sua opera un taglio particolarmente interessante e di grande originalità. L’Autore sviluppa una serie di tesi convincenti che rompono i soliti schemi basati sul “diffusionismo”, la teoria che in sostanza descrive la civiltà umana come un percorso cronologico basato su un processo di progressivo irraggiamento avente origine da pochi e specifici luoghi, quali ad esempio: l’Egitto, la Mesopotamia, la Cina, l’india, l’America Centrale, ecc. Secondo l’Autore invece, la storia della civiltà, o meglio, delle civiltà umane è molto più ricca e variegata e può essere meglio compresa se osservata con riferimento ai diversi ambienti fisici e geografici ai quali la vita umana ha finito per adattarsi. Il libro quindi non descrive le civiltà secondo un criterio tradizionale e scolastico, ma cercando di instaurare una relazione fra le diverse tipologie di ambienti fisici e geografici e le varie società umane che hanno finito per colonizzarli, modificarli o comunque adattarsi a essi. l'opera è suddivisa in varie parti che descrivono vari casi di adattamento a diverse tipologie di ambiente, fra i quali vengono ricompresi ad esempio: i deserti caldi e quelli freddi, le praterie e le steppe, le foreste e le giungle, le pianure alluvionali, le montagne, le isole, le coste e i mari. Se ne ricava una visione fantasmagorica e caleidoscopica delle diverse società umane che si sono succedute o che ancora permangono nei più svariati ecosistemi e, in molti casi citati, nei luoghi più impensabili e inospitali, e sono descritte le tante strategie adattive messe in atto per sopravvivere e prosperare nelle più diverse situazioni ambientali. Questa particolare impostazione della narrazione che permette appunto di comparare la capacità di sopravvivenza delle diverse organizzazioni umane rispetto alle reali potenzialità fornite dall’ecosistema nel quale furono o sono ancora collocate, è utile per rendere giustizia a quelle culture che, secondo standard meno ponderati, sono state o vengono considerate sottosviluppate. Pertanto, uno degli aspetti positivi del libro è di estendere, elevare e rendere più equo il concetto riferibile al termine “civiltà”. Importantissimo anche il messaggio dell’Autore che ci ricorda che lo sforzo di civilizzazione non è di norma una mera risposta organizzativa a degli stimoli ambientali, ma storicamente si è più spesso configurato come un’esplicita scelta e un ideale che prescinde dalle caratteristiche fisiche del proprio ecosistema di riferimento e che è originato soprattutto dalla volontà di una certa organizzazione umana di adattare e modificare l’ambiente circostante. Questa volontà di “civilizzare” non sempre ha prodotto risultati positivi in termini di costi umani; spesso ha favorito l’instaurazione di regimi fortemente gerarchizzati, oligarchici ed autoritari e la concentrazione della ricchezza, del potere e degli agi nelle mani di un’elite ristretta. A questi aspetti vanno aggiunti quei casi nei quali sono stati prodotti effetti deleteri anche sull’ambiente che in più di un caso ha smesso di essere “sostenibile” perché modificatosi, magari a seguito di fattori concomitanti, ma fra i quali spesso figurava l’eccessivo sfruttamento da parte dell’uomo. Eppure, nonostante i fallimenti, le ingiustizie e i disastri prodotti, la volontà di civilizzare continua a rimanere una di quelle specificità del genere umano che lo distingue, in termini positivi, dal resto degli esseri viventi.

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