venerdì 11 agosto 2017

Recensione: Tristi tropici

“Tristi Tropici”, titolo originale: “Tristes tropiques”, di Claude Lévi-Strauss, traduzione di Bianca Garufi, edizioni il Saggiatore, ISBN 978-884282160-1.

Un libro “strano”; in parte saggio di antropologia, in parte diario di viaggio e autobiografia inframezzata di riflessioni filosofiche sul proprio ruolo e sulle proprie motivazioni, sulla figura dello studioso e, più in generale, sui limiti e sulle caratteristiche delle società umane.

L’opera descrive principalmente l’esperienza di ricerca sul campo svolta in Brasile nel corso degli anni trenta del novecento, anche se spesso emergono paragoni con delle ricerche successive svolte principalmente lungo la fascia tropicale asiatica. Le osservazioni dell’Autore non si limitano al solo studio delle popolazioni ancora “non civilizzate” con le quali egli entra in contatto, ma si estende a tutto l’ambiente “di frontiera” che, letteralmente punteggia l’entroterra brasiliano e che, mano a mano che ci si allontana dalle città principali e dai centri di più antico insediamento coloniale tende a creare una specie di società intermedia del sertão (boscaglia) o della foresta pluviale che sfuma dal  modello classico proposto dalla civiltà occidentale per contrapporsi, avvicinarsi, contaminarsi e integrarsi con quello indigeno.

Perché però questi tropici sarebbero “Tristi”, un po’ in contraddizione con il nostro immaginario collettivo? Devo ammettere di non averlo capito in pieno, certo però che l’occhio attentamente indagatore dell’Autore, accompagnato alle sue profonde riflessioni ci portano a comprendere non solo molte delle contraddizioni e storture della nostra civiltà, ma nulla viene neanche risparmiato a quelle indigene che vengono descritte in tutta la loro asprezza e, letteralmente “senza veli”.
Il clima che emerge è, in un certo senso malinconico, da qui forse si spiega il titolo dell’opera!

Non bisogna pensare però che il libro sia in qualche modo noioso o poco interessante, al contrario, esso stimola la curiosità per l’esotico e per l’ignoto, che viene però collocato in una corretta, seppur tagliente dimensione terrena priva di quella carica ideale che spesso la mistifica. 

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