“Tristi Tropici”, titolo originale: “Tristes
tropiques”, di Claude Lévi-Strauss, traduzione di Bianca Garufi, edizioni
il Saggiatore, ISBN 978-884282160-1.
Un libro “strano”; in parte saggio di
antropologia, in parte diario di viaggio e autobiografia inframezzata di
riflessioni filosofiche sul proprio ruolo e sulle proprie motivazioni, sulla
figura dello studioso e, più in generale, sui limiti e sulle caratteristiche
delle società umane.
L’opera descrive principalmente l’esperienza
di ricerca sul campo svolta in Brasile nel corso degli anni trenta del
novecento, anche se spesso emergono paragoni con delle ricerche successive
svolte principalmente lungo la fascia tropicale asiatica. Le osservazioni dell’Autore
non si limitano al solo studio delle popolazioni ancora “non civilizzate” con
le quali egli entra in contatto, ma si estende a tutto l’ambiente “di frontiera”
che, letteralmente punteggia l’entroterra brasiliano e che, mano a mano che ci
si allontana dalle città principali e dai centri di più antico insediamento coloniale
tende a creare una specie di società intermedia del sertão (boscaglia) o della foresta pluviale che sfuma dal modello classico proposto dalla civiltà
occidentale per contrapporsi, avvicinarsi, contaminarsi e integrarsi con quello
indigeno.
Perché però questi tropici sarebbero “Tristi”,
un po’ in contraddizione con il nostro immaginario collettivo? Devo ammettere
di non averlo capito in pieno, certo però che l’occhio attentamente indagatore
dell’Autore, accompagnato alle sue profonde riflessioni ci portano a
comprendere non solo molte delle contraddizioni e storture della nostra civiltà,
ma nulla viene neanche risparmiato a quelle indigene che vengono descritte in
tutta la loro asprezza e, letteralmente “senza veli”.
Il clima che emerge è, in un certo senso
malinconico, da qui forse si spiega il titolo dell’opera!
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.