“Non luogo a procedere”,
di Claudio Magris, edizioni Garzanti, ISBN: 978-88-11-68917-1.
Libro che reputo vicino ai confini dell’” illeggibile” e che ho
rischiato di interrompere più di una volta. Evidentemente non mi è piaciuto lo
stile dell’Autore che potrei definire: psichedelico, allucinato, delirante, frenetico
e, comunque, disordinato. Forse Magris voleva scrivere troppe cose, infatti, ad
ogni riga emergono notizie e riferimenti curiosi che, però, finiscono per
stordire e far perdere il filo di una storia che, per inciso, non c’è! Ho trovato strabordante la necessità dell’Autore di mettere in mostra troppi
concetti e troppa conoscenza al costo di mantenersi distante da una trama che,
a mio avviso si perde, o meglio, si profila come una semplice scusa per parlare
d’altro. Sicuramente, egli riesce in più parti a descrivere la brutalità e la
follia della guerra ma, per il resto, il romanzo è solo un caleidoscopio di
immagini slegate
mercoledì 30 dicembre 2015
lunedì 21 dicembre 2015
Recensione: L’invisibile ovunque
“L’invisibile ovunque”, di
Wu Ming, edizioni Einaudi, ISBN: 978-88-0622591-9.
Più che un romanzo
completo, si tratta di quattro racconti incentrati sulla Grande Guerra. I primi
due, a mio avviso completamente slegati dal resto, gli ultimi due collegati da
un filo conduttore che è l’arte, in particolare, la pittura surrealista.
Viste le aspettative che
ho verso questo collettivo di autori, considero “L’invisibile ovunque” al di sotto
degli standard ai quali questi scrittori mi hanno ormai abituato, questo però
non vuol dire che esso manchi d’interesse, semplicemente, forse, non è sempre
possibile produrre capolavori, ogni tanto, viene fuori “solo” qualcosa di
godibile ma non di eccezionale.
C’è da aggiungere comunque
che Wu Ming qualcosa finisce sempre per regalarlo ai suoi lettori, e non c’è
volta che io non sia stato costretto a fare qualche breve ricerca per appagare
la curiosità che suscitano le loro idee e i loro protagonisti. Per me, quest’aspetto
è l’unica caratteristica che salva questa raccolta da un giudizio più impietoso
e riguarda il caso del terzo e quarto racconto che, fanno emergere alcuni personaggi
storici, aspetti ed eventi della prima guerra mondiale veramente impensabili dando
a quest’opera un taglio originale e un punto di vista sul conflitto assai
inconsueto. Nello specifico, si finisce per portare alla luce un insospettabile
quanto stranissimo rapporto fra il filone artistico del surrealismo e l’arte
del mimetismo e del camuffamento. Chi l’avrebbe mai detto! Eppure sembra tutto
vero o, almeno, plausibile.
Già solo per seguire questa
traccia, dunque, potrebbe valere la pena di leggersi questa breve raccolta che,
comunque, non annoia e si divora in un attimo.
domenica 13 dicembre 2015
Decreto salvabanche: I risparmiatori hanno ragione? Parte 2
Avevo cominciato la prima parte
di questo intervento chiedendomi chi dovesse sopportare il peso economico di
questo dissesto e, nella mia riflessione precedente ho sostenuto che fossero
gli investitori a dover sopportare il costo delle proprie scelte incaute. Questa
affermazione, per me rimane ancora valida e, pertanto la ribadisco, nel
contempo però è importantissimo cercare di spiegare il processo attraverso la
quale queste cose succedono.
La domanda giusta da porsi è
dunque la seguente: “Com’è potuto accadere?”. Com’è possibile che dopo la firma
di montagne di carta straccia incomprensibile da parte dei risparmiatori, l’istituzione
di autority di controllo e tutela degli stessi, l’adesione a codici etici di grande
spessore morale da parte degli organi delle banche, eccetera, eccetera, alla
fine si scopre che tutto ciò non riesce mai a risultare né sufficiente né utile
per tutelare effettivamente i soggetti che farebbero volentieri a meno di
correre rischi finanziari? Il sospetto che viene è che in realtà, nella sostanza,
non si voglia veramente intervenire in questa direzione anche perché, lavorare
seriamente verso questo obiettivo, non solo ridurrebbe la
redditività dell’attività di intermediazione, ma farebbe venire meno uno dei
ruoli dichiarati della stessa, ovvero l’obiettivo di trasferire e distribuire
certi tipi di rischi!
Torniamo però al nostro caso! Mano
a mano che sui quotidiani vengono pubblicate le informazioni che riguardano la
prima applicazione del “Salva banche” ecco che si delinea il solito quadro dei “furbetti
del quartierino” e la tragedia (che è tale, visto che, oltre al danno
economico, c’è anche scappato il morto!) si muta nella solita farsa all’italiana
o meglio, nel solito copione nostrano. Riassumiamo i punti principali:
-
Il nostro Ente di controllo (la Banca d’Italia),
anche di fronte ad una serie di norme europee vincolanti, impone l’emissione di
nuova liquidità allo scopo di rafforzare gli indici patrimoniali degli istituti e per far fronte alla grave situazione di dissesto. che incombe
sugli stessi.
-
A questo scopo, gli istituti emettono strumenti
ad alto rischio: azioni e obbligazioni subordinate, adeguandosi alle
disposizioni del “controller”.
-
Questi titoli, al posto di essere collocati
presso investitori istituzionali vengono “spacciati” (è proprio il caso di
dirlo) a gente sostanzialmente ignara attraverso una politica “commerciale”
avallata dai vertici presso la rete attraverso la solita ricetta di minacce ed
incentivi nei confronti dei collocatori.
-
Post operazione, salta fuori la leggina “Salva
vertici”, la rete viene in parte abbandonata a se stessa e/o sacrificata di
fronte al popolo in tumulto e i risparmiatori rimangono con il cerino in mano.
-
Dopo un po’ di clamore popolare, l’” Uomo del
destino” del momento (toccherà a Renzi la parte?), accoglie i postulanti
rappresentanti del popolo dei truffati e arrangia un po’ le cose. Alla peggio
pagheranno i contribuenti!
Cerchiamo però di entrare un po’
più nel meccanismo esaminando più da vicino i singoli punti.
La Banca d’Italia effettua i suoi
controlli e, giustamente, deve anche adeguarsi alle norme europee che, tra le
altre cose, si occupano di garantire il sistema contro il dissesto degli
istituzioni di credito (ci ricordiamo dell’ultima crisi legata ai mutui sub-prime?).
Da anni l’Unione Europea e gli organi di controllo lavorano su norme e
indicatori di solidità patrimoniali che dovrebbero limitare il rischio di
dissenso bancario. Fin qui tutto bene! Quello che però non si riesce mai a
capire bene è il “perché” la Banca d’Italia, una volta che siano state scoperti
seri indizi di dissesto e di sbilancio patrimoniale non possa/voglia incidere
di più promuovendo anche la messa in atto di processi più tempestivi nella
messa sotto tutela di quelle istituzioni che danno segnali di preoccupazione e,
in particolare, non si comprende bene perché in queste situazioni non si promuova
fin da subito una politica più incisiva di risanamento diretta dall’alto e, tra
l’altro finalizzata anche ad ottenere un serio e tempestivo ricambio di quei
vertici aziendali che, avendo prodotto tale
situazioni negative, si sono chiaramente dimostrati non confacenti all’incarico.
Ci sarà forse qualche remora che impedisce di agire tempestivamente contro soggetti
che, non raramente, sono titolari di posti e rendite di posizione tipicamente
allocati a lobbisti e attaché della politica? Il sospetto è legittimo …
Ma passiamo al punto successivo!
Come abbiamo visto il processo di rifinanziamento passa di solito attraverso l’iniezione
di nuovi capitali di rischio raccolti sotto varia forma. Nel nostro caso si è
trattato soprattutto di azioni e obbligazioni subordinate. Questi, sono
strumenti tipicamente speculativi e dovrebbero essere collocati solo presso
investitori istituzionali e/o accorti e informati. Chiaramente, queste
categorie di investitori si tengono ben distanti in questi casi da questo genere
di impegni a meno che: il rendimento garantito sia “notevolmente alto” e quindi
compensativo di un rischio altrettanto marcato e/o, intendano intervenire essi
stessi direttamente nella gestione, presumibilmente estromettendo i
preesistenti organi di controllo. Ecco quindi che si crea un altro elemento di
cortocircuito del sistema. Per ottenere nuove risorse gli istituti coinvolti, o
meglio, i vertici degli stessi, dovrebbero o attirare nuovi investitori a “interessi
d’usura”, oppure lasciare le proprie comode poltrone ad altri che, mettendo i
soldi, vorranno anche poter prendere le decisioni! Questo vorrebbe il “mercato”,
ma questo è esattamente ciò che è inviso ai nostri vertici perché i “licenziati”
in questo caso sarebbero esattamente loro!
Qual è la via di uscita quindi?
La “via di mezzo”, ovviamente,
cioè quella di collocare “spazzatura” rischiosa ma a tassi accettabili per la
banca (solo un po’ migliori di quelli ottenibili su attività prive di
altrettanto rischio!) a investitori ignari del vero pericolo che stanno
correndo.
E, qual è il modo attraverso il
quale si riesce a fare ciò?
Il solito modo, cioè applicare solo la “forma”
delle leggi evitando, con la complicità di tutti (i potenti) di applicarle
anche nella “sostanza”.
Ecco quindi che all’investitore
viene fatta firmare un profilo di rischio complicato e incomprensibile e,
quando serve, ecco che si usa la rete commerciale per irretire il cliente e
costringerlo a modificare le posizioni più prudenziali. Tutto nel nome della “libertà”
di scelta dell’investitore (che quando fa comodo si suppone laureato in
economia!). Ma tutto ciò non basta!
Cosa dovrebbe fare l’autority e non fa (almeno
con chiarezza)?
Essa dovrebbe classificare chiaramente i prodotti bancari in funzione del rischio costringendo le banche a fornire come prima cosa un documento molto sintetico (una pagina) in cui si metta in estrema evidenza il rischio per l’investitore. Immagino che, per esempio che, se per ogni forma d’investimento dovessimo firmare un foglio che presenta in bell’evidenza un grosso cerchio “rosso”, “giallo” o “verde” e portasse una grossa dicitura sulla sfondo con le parole “Alto rischio”, “Rischioso”, “Rischio limitato”, forse entreremmo un po’ più nello spirito dell’informativa che un “non addetto ai lavori” dovrebbe ricevere. Dopo di ciò, l’investitore dovrebbe ricevere l’intero regolamento del titolo e dovrebbe essere obbligatoriamente rispedito a casa a leggerselo! Se dopo un’opportuna meditazione già non lo capisce, evidentemente non si tratta di qualcosa che va bene per lui.
Essa dovrebbe classificare chiaramente i prodotti bancari in funzione del rischio costringendo le banche a fornire come prima cosa un documento molto sintetico (una pagina) in cui si metta in estrema evidenza il rischio per l’investitore. Immagino che, per esempio che, se per ogni forma d’investimento dovessimo firmare un foglio che presenta in bell’evidenza un grosso cerchio “rosso”, “giallo” o “verde” e portasse una grossa dicitura sulla sfondo con le parole “Alto rischio”, “Rischioso”, “Rischio limitato”, forse entreremmo un po’ più nello spirito dell’informativa che un “non addetto ai lavori” dovrebbe ricevere. Dopo di ciò, l’investitore dovrebbe ricevere l’intero regolamento del titolo e dovrebbe essere obbligatoriamente rispedito a casa a leggerselo! Se dopo un’opportuna meditazione già non lo capisce, evidentemente non si tratta di qualcosa che va bene per lui.
Riamane comunque il fatto, in
ogni caso, certi tipi di prodotto non potrebbero essere presentati a soggetti
che dichiarano un profilo “prudenziale”; sono gli stessi clienti, infatti che
dovrebbero presentare istanza per il cambiamento del loro profilo di rischio e non
viceversa. Solo dopo di ciò, si dovrebbe poter proporre loro prodotti
strutturati sulla base del nuovo profilo. Tra l’altro, anche solo il sottomettere
all’attenzione dei clienti strumenti non idonei dovrebbe essere considerato
sanzionabile. Infine, forse si dovrebbe distinguere chiaramente la figura del
consulente e quella del collocatore. Il primo avrebbe l’obiettivo di capire le
esigenze del cliente e consigliarlo e, ove serve, anche scoraggiarlo fortemente
ad effettuare avventure finanziarie di dubbio esito. Questi dovrebbe, in
sostanza essere il “tutore” del proprio cliente. Il secondo, invece, si
incarica di promuovere la vendita di prodotti che possano essere posti in
relazione con le esigenze dell’investitore, ma dovrebbe, in primo luogo,
superare le obiezioni del tutore, prima che quelle del cliente stesso (che
diciamolo, spesso non è in grado di capire di cosa si sta parlando!).
Fatto tutto questo, si vedrebbe
chiaramente quello che gli “addetti” sanno già, cioè, che la maggior parte dei
prodotti bancari, soprattutto quelli che comportano i maggiori margini per le banche
sarebbero per lo più invendibili per la fascia della clientela “retail” che si
qualifichi anche come “prudente”. Non parlo solo degli strumenti finanziari che
hanno dato scandalo in questi giorni (azioni e obbligazioni), ma anche di tutti
gli altri prodotti assicurativi e previdenziali che, continuamente vengono normalmente
proposti dalla rete (es. Unit linked, index linked, fondi pensione, fondi e
Sicav, ecc.). Tutto finito!
Visto così è chiaro dunque il “perché”
succedono queste cose. In altre parole è quasi impossibile mantenere l’enfasi
sulla parola “tutela” e nel contempo, sperare anche di “far soldi” o spesso,
persino, di rimanere entro un canale di “margini” accettabili e, di
conseguenza, tutti fanno finta di non vedere e tirano avanti come sempre, sennò
il sistema si inceppa!
giovedì 10 dicembre 2015
Decreto salvabanche: I risparmiatori hanno ragione? Parte 1
Il decreto “Salva banche”, recentemente
applicato nei casi di dissesto della Banca dell’Etruria, Banca Marche, Carife e
CariChieti, ha scatenato l’ira dei risparmiatori.
Ora, a parer mio, anche tenendo
presente la rabbia legittima di chi è stato truffato dal proprio istituto di
credito di fiducia, bisognerebbe fare le dovute distinzioni rispetto alle
ragioni e all’opportunità di applicazione di tale decreto e, soprattutto, si potrebbe prendere in considerazione (eventualmente anche in sede europea) l'opportunità per procedere ad alcune modifiche dei principi che stanno alla base dello stesso.
Innanzi tutto, per entrare nel
merito bisognerebbe distinguere fra due tipi di casistiche che, a parer mio,
sono molto diverse fra loro:
-
I soggetti che hanno perso i risparmi in quanto
titolari di azioni e obbligazioni degli istituti oggetto della procedura concorsuale.
-
I soggetti che hanno perduto la quota eccedente
dei loro saldo di conto corrente rispetto a quanto coperto dal fondo di
garanzia, attualmente fissato a 100.000 euro.
Anche se a prima vista questa può
sembrare una posizione “dura”, personalmente, penso che la prima categoria di
soggetti non debba venire tutelata. Questo anche in quei casi dove, purtroppo,
gli istituti abbiano abusato della fiducia dei loro risparmiatori.
Forse il mio
parere potrebbe apparire un po’ spietato ma, ricordo a tutti, che i prodotti
finanziari sono prodotti speculativi, si viene remunerati anche in virtù dei
rischi che si corrono e, pertanto, l’ignoranza non può essere portata a
giustificazione dei propri errori d’investimento. In ogni caso, non si può
pensare e sperare che sia la collettività a dover far fronte ai propri
personali ammanchi.
Semmai, forse si potrebbe
intervenire in maniera più radicale riguardo alla stesura dei profili di
rischio dei risparmiatori, ad esempio, ai titolari di un profilo “basso”, certi
prodotti non dovrebbero nemmeno essere presentati e, nel caso in cui questi
vengano effettivamente collocati, allora sì, dovrebbe scattare qualche forma di
assicurazione o garanzia a favore dell’investitore ignaro, ma nel contempo
dovrebbe anche partire un’azione penale nei confronti del soggetto (parlo
proprio dell’addetto bancario, non dell’istituto) che ha incautamente e forse
fraudolentemente proposto e collocato strumenti non adatti al profilo di
rischio dell’investitore. Insomma, se non si individuano correttamente le
responsabilità e i soggetti di queste azioni a che cosa serve firmare tutte
quelle scartoffie che ci propinano periodicamente gli istituti di credito?
Comunque, ribadisco il concetto,
in quei casi nei quali l’investimento corrispondeva al profilo di rischio dell’investitore,
nulla dovrebbe essere dovuto ne garantito. Queste sono le regole del gioco e se
non si vuole fronteggiare la possibilità di una perdita si deve anche evitare
di correre il corrispondente rischio.
Giudizio diverso per il secondo
tipo di risparmiatori, per me andrebbero tutelati, anzi dico di più, secondo me
bisognerebbe estendere significativamente le garanzie a favore di chi tiene i
soldi sul conto corrente proprio al fine di evitare i rischi e, per esempio,
sarei chiaro nel ricomprendere in queste casistiche anche gli investimenti
finanziari che sono comunque di liquidità (es. i depositi a termine).
Per certi versi, mi rendo conto
che il mio approccio potrebbe essere visto come paradossale, in fondo esiste
già una garanzia notevole per questi soggetti (100.000 euro) e, di conseguenza,
sembrerebbe che l’intenzione sia quella di tutelare chi è già ricco persino di
più di quanto lo sia già! Penso però che non sia corretto vedere le cose in
questo modo un po’ “populista”. La ratio sulla quale si basa il mio approccio
benevolo verso i “correntisti” (come concetto esteso ai detentori di
investimenti assimilabili alle posizioni di conto corrente) poggia sul fatto
che l’investimento in liquidità non può certo qualificarsi come un investimento
“rischioso”, anzi, è estremamente evidente l’intento dell’investitore di
evitare i rischi.
Tra l’altro, chi non ha paura di
nascondere la sua liquidità, magari ingente, difficilmente ha pendenze e “scheletri
nell’armadio” nei confronti del fisco o di eventuali creditori, né,
tendenzialmente è interessato a truffare gli enti attraverso dichiarazioni ISEE
mendaci. In pratica, un alto saldo di conto corrente, può anche essere visto
come un indice, seppur rozzo, della “trasparenza” di un certo soggetto e, come
tale, questa forma d’impiego andrebbe incentivata rispetto ad altre più “furtive”
e sospette (es. oro, brillanti, titoli al portatore, rapporti di gestione
aperti presso fiduciarie, ecc.).
A tutto ciò ci sono poi da
aggiungere alcune considerazioni di ordine più pratico. La prima è
semplicissima, i soldi, se si ha la fortuna di averli, da qualche parte bisogna
pur metterli! E allora che si fa se si possiede più di 100.000 euro e li si
vuole tenere liquidi? Si apre un c/c presso un altro istituto? Questa sarebbe l’unica
soluzione prospettata attualmente perché garantirebbe anche su questi nuovi
depositi l’estensione della garanzia; tale approccio però ha il difetto di
essere poco pratico, inutilmente costoso, nonché meno trasparente per tutti
coloro che hanno buone ragione legali per accertare l’origine e l’ammontare di
queste sostanze.
In sintesi, non capisco perché non si incentiva di più il
risparmiatore a seguire soluzioni semplici e trasparenti rimuovendo anche quei
residui elementi di rischio che non portano nessun vantaggio alla collettività.
In pratica servirebbe verificare I presupposti che regolano il fondo di garanzia che, per mio conto, dovrebbe essere innanzi tutto uno strumento per tutelare le forme di risparmio svincolandole dai destini degli istituti presso I quali esse vengono funzionalmente poste in essere, nel contempo, mantenendo un occhio di riguardo anche rispetto alle ragioni, alle forme e alle funzioni di tale risparmio. Il fondo di garanzia, invece, non ha nessuna ragione per effettuare un'opera di tutela nei confronti di chi si assume un rischio speculativo nei confronti del quale, è il singolo investitore che deve provvedere a cautelarsi.
Iscriviti a:
Post (Atom)