“Contro le elezioni – Perché votare non è più democratico”,
titolo originale: “Tegen verkiezingen”, di David Van Reybrouck, traduzione di Matilde
Pinamonti, Feltrinelli editore, ISBN: 978-88-07-17295-3.
L’istituzione politica della democrazia sta
attraversando un periodo di crisi particolarmente evidente proprio in quei
paesi nei quali essa ha avuto origine. In tutte le democrazie occidentali, da
anni crescono costantemente l’astensione al voto e la sfiducia verso politici e
partiti, mentre si diffonde la sensazione che il regime democratico non sia
sufficientemente rapido, decisionista ed efficiente per affrontare le nuove sfide che si
intravvedono per il futuro.
Questo breve saggio cerca in maniera sintetica di analizzare
le principali cause di tale crisi e propone qualche strumento correttivo
facendo innanzitutto riferimento alla storia delle istituzioni democratiche.
Interessante la tesi di fondo: la nomina di delegati attraverso un meccanismo
elettivo non è l’unico modo per affrontare il problema della rappresentanza, né
forse il migliore, né tanto meno quello che ha caratterizzato alcune rilevanti
esperienze democratiche del passato, prima fra tutte quella Ateniese. Ma quale
sarebbe invece, oltre alle forme di democrazia diretta, un’alternativa
credibile alle votazioni di candidati professionisti? La risposta dell’Autore è
semplice (anche se solo in apparenza!) quanto inattesa e sconcertante: bisogna
ricorrere a metodi d’estrazione casuale! Sistemi che, in passato erano tutt’altro
che inusuali. Questo era anche il modo che veniva impiegato per eleggere i principali
organi rappresentativi dell’antica città ellenica durante la sua età dell’oro, cioè: il Consiglio
dei cinquecento, il Tribunale del Popolo e la Magistratura, ma che venne anche
utilizzato diffusamente in altri contesti lungo tutto il medioevo e il periodo
rinascimentale.
Ancora più sorprendente, è la tesi dell’Autore che
insinua qualche dubbio rispetto ai veri obiettivi dei sistemi elettorali
settecenteschi. Egli spiega come il ricorso alle elezioni dei primi regimi repubblicani,
lungi dal doversi considerare come metodi genuinamente democratici, fossero
stati istituiti per garantire una composizione elitaria delle camere rappresentative
(di origine borghese e aristocratica) a tutto discapito dei ceti più popolari e
meno abbienti.
Di conseguenza, ecco che l’Autore cerca, da una parte di
spiegare che siamo intrappolati in un ragionamento pregiudizievole che egli
definisce “fondamentalismo elettorale” che dà per scontato il nesso necessario democrazia-elezioni,
mentre dall’altro illustra i risultati di un altro modo di procede e intendere
la democrazia, la cosiddetta “democrazia deliberativa”, che si basa sull’utilizzo
dell’estrazione casuale per sostituire e/o integrare il funzionamento degli
esistenti organismi di rappresentanza e che ha già prodotto risultati concreti
in alcuni casi tanto rilevanti quanto insospettabili.
Si tratta quindi di un saggio che, personalmente, ho
trovato molto interessante; anche se, devo comunque avvertire che, collocandomi
anch’io fra gli scontenti della politica e conoscendo già le antiche tecniche
dei “ballottaggi”, avevo già autonomamente accarezzato queste idee ed ero,
conseguentemente, un soggetto adatto ad accogliere prontamente le proposte dell’Autore.
Ho invece trovato criticabile il titolo dell’opera,
almeno per come si presenta nella versione italiana. Personalmente, ho dato fiducia
all’Autore solo sulla base di una sua opera precedente (“Congo”, Feltrinelli, ISBN: 978-88-07-49177-1), che verte su tutt’altro argomento; diversamente invece, salvo esplicite segnalazioni, difficilmente avrei
scelto un saggio con un titolo così poco accattivante.
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