domenica 18 ottobre 2015

Recensione: Contro le elezioni – Perché votare non è più democratico


“Contro le elezioni – Perché votare non è più democratico”, titolo originale: “Tegen verkiezingen”, di David Van Reybrouck, traduzione di Matilde Pinamonti, Feltrinelli editore, ISBN: 978-88-07-17295-3.
L’istituzione politica della democrazia sta attraversando un periodo di crisi particolarmente evidente proprio in quei paesi nei quali essa ha avuto origine. In tutte le democrazie occidentali, da anni crescono costantemente l’astensione al voto e la sfiducia verso politici e partiti, mentre si diffonde la sensazione che il regime democratico non sia sufficientemente rapido, decisionista ed efficiente per affrontare le nuove sfide che si intravvedono per il futuro.
Questo breve saggio cerca in maniera sintetica di analizzare le principali cause di tale crisi e propone qualche strumento correttivo facendo innanzitutto riferimento alla storia delle istituzioni democratiche.
Interessante la tesi di fondo: la nomina di delegati attraverso un meccanismo elettivo non è l’unico modo per affrontare il problema della rappresentanza, né forse il migliore, né tanto meno quello che ha caratterizzato alcune rilevanti esperienze democratiche del passato, prima fra tutte quella Ateniese. Ma quale sarebbe invece, oltre alle forme di democrazia diretta, un’alternativa credibile alle votazioni di candidati professionisti? La risposta dell’Autore è semplice (anche se solo in apparenza!) quanto inattesa e sconcertante: bisogna ricorrere a metodi d’estrazione casuale! Sistemi che, in passato erano tutt’altro che inusuali. Questo era anche il modo che veniva impiegato per eleggere i principali organi rappresentativi dell’antica città ellenica durante la sua età dell’oro, cioè: il Consiglio dei cinquecento, il Tribunale del Popolo e la Magistratura, ma che venne anche utilizzato diffusamente in altri contesti lungo tutto il medioevo e il periodo rinascimentale.
Ancora più sorprendente, è la tesi dell’Autore che insinua qualche dubbio rispetto ai veri obiettivi dei sistemi elettorali settecenteschi. Egli spiega come il ricorso alle elezioni dei primi regimi repubblicani, lungi dal doversi considerare come metodi genuinamente democratici, fossero stati istituiti per garantire una composizione elitaria delle camere rappresentative (di origine borghese e aristocratica) a tutto discapito dei ceti più popolari e meno abbienti.
Di conseguenza, ecco che l’Autore cerca, da una parte di spiegare che siamo intrappolati in un ragionamento pregiudizievole che egli definisce “fondamentalismo elettorale” che dà per scontato il nesso necessario democrazia-elezioni, mentre dall’altro illustra i risultati di un altro modo di procede e intendere la democrazia, la cosiddetta “democrazia deliberativa”, che si basa sull’utilizzo dell’estrazione casuale per sostituire e/o integrare il funzionamento degli esistenti organismi di rappresentanza e che ha già prodotto risultati concreti in alcuni casi tanto rilevanti quanto insospettabili.
Si tratta quindi di un saggio che, personalmente, ho trovato molto interessante; anche se, devo comunque avvertire che, collocandomi anch’io fra gli scontenti della politica e conoscendo già le antiche tecniche dei “ballottaggi”, avevo già autonomamente accarezzato queste idee ed ero, conseguentemente, un soggetto adatto ad accogliere prontamente le proposte dell’Autore.
Ho invece trovato criticabile il titolo dell’opera, almeno per come si presenta nella versione italiana. Personalmente, ho dato fiducia all’Autore solo sulla base di una sua opera precedente (“Congo”, Feltrinelli, ISBN: 978-88-07-49177-1), che verte su tutt’altro argomento; diversamente invece, salvo esplicite segnalazioni, difficilmente avrei scelto un saggio con un titolo così poco accattivante.

 

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