“Un Anno sull’Altipiano”, di Emilio Lussu, edizioni
Einaudi, ISBN: 978-88-06-21917-8.
Si tratta di un classico sulla Prima Guerra Mondiale
scritto dall’Autore fra il 1936 e il 1937 durante una convalescenza in Svizzera
e pubblicato in Francia nel 1938 (Lussu era un fuoriuscito antifascista fuggito
dal confino e, pertanto, egli non poteva rientrare in patria). Il libro venne
pubblicato in Italia per la prima volta solo nel dopoguerra.
Gli eventi trattati riguardano un solo anno di guerra,
fra il giugno 1916 e il luglio 1917, periodo entro il quale la Brigata Sassari
fu trasferita sull’Altipiano di Asiago per arginare l’offensiva della truppe
austro-ungariche attuata nel corso della “Strafexpedition", (“Spedizione punitiva”).
Lussu scrisse il suo resoconto solo a seguito delle
forti pressioni esercitate da Gaetano Salvemini, suo grande amico e compagno di
lotta contro il regime fascista e forse, proprio per questo, il libro si
presenta sotto forma di un memoriale molto “asciutto” (circa 200 pagine), sobrio,
incredibilmente scorrevole, coinvolgente ma, curiosamente privo di eccessi
retorici. Ciò mi appare singolare, se si tiene conto che l’Autore non nasconde
ne rinnega il fatto di essere stato un giovane studente “interventista”.
Coerentemente, egli si arruolò volontario per la
Grande Guerra e ne uscì con il grado di capitano dopo essere stato decorato più
volte per atti di coraggio (fonte Wikipedia); eppure, a parer mio, in “Un Anno
sull’Altipiano” emerge il ritratto di una figura pacata, lontanissimo dalla
prosopopea dell’eroe marziale, agli antipodi rispetto a figure guerresche e grottesche
quali ad esempio, il nostro “vate” nazionale, Gabriele D’Annunzio.
Osservatore attento e empatico nei confronti dei propri commilitoni e persino dei suoi avversari, per i quali è capace di parole d’ammirazione, non ama evidentemente i paroloni e le frasi altisonanti e si limita a descrivere la realtà della guerra per quel che è, facendo ricorso ad uno stile da cronista moderno che, a parer mio precorre i tempi. Semmai, egli, pone una certa enfasi nello stigmatizzare l’incredibile stupidità, disumanità, supponenza e impreparazione degli ufficiali di grado superiore e, in poche pagine riesce a rendere chiaro al lettore dove va il merito del successo italiano, tutto da ascrivere alla tenacia, al coraggio e allo spirito di corpo di soldati e ufficiali inferiori e non certo dovuto alle doti tattiche e strategiche dei nostri alti comandi.
Osservatore attento e empatico nei confronti dei propri commilitoni e persino dei suoi avversari, per i quali è capace di parole d’ammirazione, non ama evidentemente i paroloni e le frasi altisonanti e si limita a descrivere la realtà della guerra per quel che è, facendo ricorso ad uno stile da cronista moderno che, a parer mio precorre i tempi. Semmai, egli, pone una certa enfasi nello stigmatizzare l’incredibile stupidità, disumanità, supponenza e impreparazione degli ufficiali di grado superiore e, in poche pagine riesce a rendere chiaro al lettore dove va il merito del successo italiano, tutto da ascrivere alla tenacia, al coraggio e allo spirito di corpo di soldati e ufficiali inferiori e non certo dovuto alle doti tattiche e strategiche dei nostri alti comandi.
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